Fonte: Quarta Internazionale [New York], vol. 7 n. 11 (l’intero n. 72). Novembre 1946, pp. 327-330.
Per questo 29° anniversario della Rivoluzione Russa stiamo ristampando la breve nota di Trotsky sul grande Sverdlov, l’incomparabile organizzatore bolscevico. I nostri lettori conoscono quest’eroica figura, che incarnò il tipo di rivoluzionario che rese possibile la rivoluzione del 1917 e la successiva vittoria sulla contro-rivoluzione.
Jacob Mikailovich Sverdlov nacque a Nižni-Novgorod il 3 Giugno 1885. Suo padre, un intagliatore, riuscì a dare al figlio un’educazione superiore alle capacità delle famiglie della classe operaia nella Russia zarista. All’età di dieci anni il giovane Jacob fu iscritto in un liceo dove studiò per cinque anni. A quindici anni lasciò la scuola per lavorare in una farmacia. L’anno successivo, il 1901, venne organizzato a Nižni -Novgorod il primo comitato rivoluzionario clandestino. In questo stesso anno Sverdlov, all’età di sedici anni, si unì al movimento rivoluzionario. Malgrado la sua estrema giovinezza, nel periodo di attività clandestina raggiunse rapidamente l’avanguardia facendone parte come una delle figure principali dell’intera Russia. Quando nel 1903 si verificò la scissione del movimento rivoluzionario, Sverdlov aderì ai bolscevichi, nelle cui fila militò fino alla morte. Nel 1905, durante il suo incarico negli Urali, vi organizzò e diresse il Soviet dei deputati degli operai. Come allora per tutti i lavoratori in clandestinità egli trascorse molti lunghi anni in prigione ed in esilio. Nel 1903 ci fu il suo primo arresto. Nel 1906, dopo la disfatta della rivoluzione del 1905, trascorse 18 mesi in prigione ed in seguito due anni in penitenziario. Seguì un’intera serie di arresti, incarceramenti, esili e fughe. Nell’autunno del 1913, alla conferenza bolscevica di Poronin fu cooptato in sua assenza (si trovava in esilio) nel Comitato Centrale del Partito. Quando scoppiò la rivoluzione del Febbraio 1917 egli si trovava in esilio nella regione polare della Siberia, da dove si recò immediatamente a Pietrogrado. Alla Conferenza di Aprile 1917 fu eletto nel Comitato Centrale.
Al Secondo Congresso del Soviet venne eletto Presidente del Comitato Esecutivo di tutti i Soviet. Egli unì questo lavoro con le onerose responsabilità di “capo organizzatore” del Partito Bolscevico fino al giorno della sua morte prematura, all’età di 34 anni. Si conosce poco di questo superbo organizzatore del bolscevismo. Strato su strato, le distorsioni e falsificazioni staliniste hanno incrostato la sua memoria. La mitologia ufficiale del Kremlino non ha soltanto assegnato a Stalin la maggior parte delle funzioni e ruoli che Sverdlov adempì nel periodo della Rivoluzione d’Ottobre e della Guerra Civile, ma ha visto trasfigurare Sverdlov nell’immagine di Stalin. Ma Sverdlov come organizzatore fu l’esatto opposto di Stalin. Nel 1927 Trotsky tracciò il seguente contrasto fra Sverdlov e Stalin “come tipi di organizzatori”:
Fino alla primavera del 1919 Sverdlov era stato il principale organizzatore del partito. Non aveva il nome di Segretario Generale, un nome che allora non era stato ancora inventato, ma lo era di fatto. Egli morì nel Marzo 1919 all’età di 34 anni, a causa della cosiddetta febbre Spagnola che, nella diffusione della guerra civile e dell’epidemia, andava mietendo vittime a destra e a sinistra. Il Partito non comprese subito il peso di questa perdita. Lenin, in due discorsi funebri diede di Sverdlov una valutazione che getta una luce riflessa ma anche molto chiara sui suoi ulteriori rapporti con Stalin. “Nel corso della nostra rivoluzione, nelle sue vittorie,” disse Lenin, “toccò a Sverdlov di esprimere più pienamente e completamente di qualsiasi altro l’essenza vera della rivoluzione proletaria.” Sverdlov fu “prima di tutto e soprattutto un organizzatore. Da un modesto militante clandestino, né teorico né scrittore, crebbe in poco tempo un organizzatore che acquisì un’autorità irreprensibile, un organizzatore dell’intero potere sovietico in Russia, e un organizzatore del lavoro del Partito di un intuito unico.” Lenin non aveva il gusto per le esagerazioni nelle lodi formali degli anniversari o funerali. Il suo apprezzamento di Sverdlov fu nello stesso tempo una caratterizzazione del compito di organizzatore: “Solo grazie al fatto che avemmo un organizzatore come Sverdlov potemmo, in tempi di guerra, lavorare come se non avessimo una singola conflittualità di cui valesse la pena di parlare.” Infatti fu così. Nelle conversazioni con Lenin in quei giorni, notammo più di una volta e con sempre rinnovata soddisfazione, una delle principali condizioni del nostro successo: l’unità e la solidarietà del gruppo dirigente. Malgrado la terribile pressione degli eventi e le difficoltà, la novità dei problemi e gli acuti disaccordi pratici che scoppiavano occasionalmente, il lavoro procedeva con straordinaria scorrevolezza ed amicizia e senza interruzioni. Con una breve parola noi richiamavamo episodi delle vecchie rivoluzioni: “No, è meglio con noi”. “Solo questo garantisce la nostra vittoria”. La solidarietà del centro fu preparata dall’intera storia del Bolscevismo e fu mantenuta dall’indiscussa autorità dei leaders, e soprattutto di Lenin. Ma nella meccanica interna di questa unanimità senza precedenti il tecnico principale era stato Sverdlov. Il segreto della sua arte era semplice: essere guidati dagli interessi della causa e soltanto da questi. Nessun militante del Partito aveva alcun timore di intrighi da parte dei funzionari. La base di questa autorità di Sverdlov era la lealtà. Avendo esaminato mentalmente tutti i leaders del Partito Lenin, nel suo discorso funebre, tracciò la conclusione pratica: “Un tale uomo che non potremo mai rimpiazzare, se per rimpiazzare intendiamo la possibilità di trovare un altro compagno che combini tali qualità… Il lavoro che egli fece da solo ora può essere compiuto soltanto da un intero gruppo di uomini che, seguendo le sue orme, continuerà il suo servizio.” Queste parole non erano retoriche, ma una proposta strettamente pratica. E la proposta fu realizzata. Invece di un singolo Segretario fu designato un collegio di tre persone. Da queste parole di Lenin è evidente, perfino a coloro non sono al corrente della storia del Partito, che durante la vita di Sverdlov Stalin non ricoprì nessun ruolo guida della macchina del partito – sia al tempo della Rivoluzione d’Ottobre, che nel periodo della posa delle fondamenta e delle mura dello stato sovietico. Stalin non venne neanche incluso nel primo Segretariato che rimpiazzò Sverdlov.
Il seguente articolo commemorativo su Sverdlov, scritto da Trotsky nel 1925, apparve originariamente in un volume pubblicato nel 1926 in URSS dall’Ufficio di Storia del Partito. La traduzione dall’originale russo è di John Wright.
Venni informato di Sverdlov solo nel 1917 in una sessione della frazione bolscevica del Primo Congresso dei Soviet che Sverdlov presiedeva. In quei giorni difficilmente c’era qualcuno nel partito che immaginasse la vera statura di quest’uomo straordinario. Ma nell’arco di alcuni mesi egli la mostrò interamente. Immediatamente dopo la rivoluzione gli emigrati, quelli cioè che avevano trascorso molti anni all’estero, potevano essere ancora distinti dai bolscevichi “interni” e “locali”. Sotto molti aspetti gli emigrati possedevano seri vantaggi grazie alla loro esperienza europea, le vedute più ampie ed aggiornate, ed anche perché essi avevano teoricamente generalizzato l’esperienza della lotta di frazione del passato. Naturalmente questa divisione fra emigrati e non emigrati fu del tutto temporanea ed attualmente ogni distinzione è cancellata. Ma nel 1917 e nel 1918 in molti casi era qualcosa del tutto palpabile. Comunque non c’era “provincialismo” avvertibile in Sverdlov perfino in quei giorni. Mese dopo mese egli crebbe e divenne sempre più forte in modo così naturale, così organicamente, in apparenza così senza sforzo, così al passo con gli eventi e a costante contatto e collaborazione con Vladimir Ilych (Lenin) che ad uno sguardo superficiale sarebbe potuto sembrare che Sverdlov fosse nato esperto “statista” rivoluzionario di alto rango.
Tutti i problemi della rivoluzione egli li affrontava non dall’alto, cioè non dal punto di vista di considerazioni teoriche generali, piuttosto dal basso, attraverso gli impulsi diretti della vita stessa come trasmessi dall’organismo del Partito. Quando vennero in discussione nuove questioni politiche qualche volta sarebbe potuto sembrare che Sverdlov – specialmente quando rimaneva in silenzio, il che non era infrequente – stesse esitando o non fosse ancora in grado di assumere una decisione. In realtà, nel corso della discussione, egli era impegnato nell’analisi del problema lungo linee parallele, che possono essere abbozzate come segue: Chi è disponibile? Dove sarebbe assegnato? Come affronteremo il problema e lo armonizzeremo con gli altri compiti? E appena la decisione politica fosse stata presa, appena fosse necessario volgersi al lato organizzativo del problema e alla questione del personale allora, accadeva quasi inevitabilmente che Sverdlov fosse già preparato con proposte pratiche di vasta portata basate sulla sua memoria enciclopedica e sulla conoscenza personale degli individui.
Nei primi stadi della loro formazione tutte le istituzioni e i dipartimenti dei Soviet ricorrevano a lui per il personale, e questa ripartizione iniziale e grossolana dei quadri di partito richiedeva ingegnosità ed iniziativa eccezionali. Era impossibile dipendere da un determinato apparato, dalle schede, archivi, ecc. perché tutto questo era ancora in una forma estremamente nebulosa, e comunque non forniva mezzi atti a verificare fino a che punto il rivoluzionario di professione Ivanov potesse essere qualificato per dirigere un particolare dipartimento del Soviet, del quale esisteva sino ad allora solo il nome.
Era richiesta un’intuizione psicologica speciale per decidere una tale questione: si dovevano individuare nel passato di Ivanov due o tre punti focali e da lì trarre conclusioni per una situazione completamente nuova. Inoltre questi trapianti dovevano essere fatti nei campi più diversi, nella ricerca di un Commissario del Popolo, o per il direttore della tipografia delle Izvestia, o per un membro del Comitato Centrale dei Soviet, o per il comandante del Kremlino e così via ad infinitum.
Questi problemi organizzativi sorsero, naturalmente, senza alcuna consecutività, cioè mai dal posto più alto al più basso e viceversa, ma in qualunque modo, accidentalmente, caoticamente.
Sverdlov fece indagini, raccolse e ricordò dettagli biografici, fece telefonate, offrì raccomandazioni, distribuì compiti, fece nomine. A tutt’oggi non riesco a dire esattamente con quale potere svolse tutto questo lavoro, cioè quali fossero i suoi poteri formali. Ma in ogni caso una parte considerevole di questo lavoro dovette essere svolto sotto la sua responsabilità personale – col sostegno naturalmente di Vladimir Ilych. E nessuno fece mai opposizione, tali erano le esigenze, allora, dell’intera situazione.
Sverdlov svolse una parte considerevole del suo lavoro organizzativo come Presidente del Comitato Esecutivo dei Soviet di tutta l’Unione, utilizzando i membri di questo Esecutivo per varie nomine e compiti particolari. “Parlane con Sverdlov”, consigliava Lenin in molti casi quando qualcuno gli si rivolgeva per un particolare problema. “Devo parlarne con Sverdlov”, diceva a sé stesso un fresco “dignitario” del Soviet ogni qualvolta aveva un intoppo con i suoi collaboratori. Uno dei modi per risolvere un importante problema particolare era – secondo un accordo non scritto – “parlarne con Sverdlov”. Ma egli stesso, naturalmente, non favorì affatto questo metodo altamente individualistico. Al contrario, il suo intero lavoro preparò le condizioni per una soluzione più sistematica e regolare di tutti i problemi del Partito e del Soviet. In quei giorni c’era bisogno di “pionieri” in tutte le sfere, cioè di persone capaci di operare di propria iniziativa in mezzo al più grande caos, nell’assenza di precedenti, senza statuti e regolamenti. Fu per questi pionieri, per tutte le esigenze concepibili che Sverdlov stava in guardia. Egli richiamava, come ho già detto, questo o quel dettaglio biografico, come aveva un tempo condotto egli stesso, e da ciò adduceva se questo o quel candidato fosse o meno adatto. Naturalmente ci furono molti errori, ma la cosa sorprendente è che non ce ne furono molti di più; e ciò che sembra più stupefacente è come Sverdlov riuscisse perfino ad affrontare un problema in mezzo al caos dei compiti, caos delle difficoltà e con il minimo di personale disponibile. Era molto più chiaro e più facile approcciare ogni problema dal punto di vista del principio e dell’opportunità politica piuttosto che dalla prospettiva organizzativa. La fluidità dell’odierna situazione la dobbiamo considerare come l’essenza di un periodo che è transitorio al socialismo. Ma in quei giorni la discrepanza tra uno scopo chiaramente previsto e la mancanza delle risorse umane e materiali si faceva sentire molto più acutamente di oggi.
Era proprio quando i problemi stavano per giungere ad una soluzione che molti di noi cominciavano ad avere perplessità. Ed allora qualcuno chiedeva: “Bene, cosa dici Jacob Mikhailovich?” E Sverdlov offriva la sua soluzione. Secondo lui “l’impresa era del tutto fattibile”. Un gruppo di Bolscevichi selezionati con cura avrebbe dovuto essere mandato, dando ad essi istruzioni adeguate, collegamenti, attenzione ed aiuto necessario – poteva essere fatto. Per avere successo su questo sentiero si doveva avere completa fiducia che fosse possibile risolvere ogni compito e sormontare ogni difficoltà. Un’inesauribile riserva di ottimismo nell’azione alimentava in verità il sottosuolo del lavoro di Sverdlov. Naturalmente questo non significa dire che così il problema veniva risolto al 100%. Al 10% era già buono. In quei giorni questo significava già salvezza perché rendeva certo il domani. Ma dopo tutto, questa fu l’essenza dell’intero lavoro di quei durissimi anni iniziali: era necessario ottenere in qualche modo approvvigionamenti di cibo, era necessario equipaggiare ed addestrare le truppe in qualche modo, era necessario mantenere in qualche modo in funzione il trasporto, era necessario fronteggiare il tifo in qualche modo – la rivoluzione doveva assicurarsi il suo domani a qualunque prezzo.
Le qualità di Sverdlov si manifestano in modo impressionante nei momenti più critici, per esempio dopo i giorni di Giugno 1917, cioè dopo che le Guardie Bianche ebbero annientato il nostro Partito a Pietrogrado, ed ancora durante i giorni di Giugno 1918, cioè dopo che i Socialisti-Rivoluzionari di sinistra effettuarono la loro insurrezione. In entrambi i casi fu necessario ricostruire l’organizzazione, rinnovare i collegamenti o ricrearli di nuovo, indagare su quelli che avevano superato una grande prova. E in entrambi i casi Sverdlov fu insostituibile con la sua calma rivoluzionaria, la sua perspicacia e la sua intraprendenza. In un’altra occasione ho detto la storia di come Sverdlov venne dal Teatro Bolshoi, dal Congresso dei Soviet, al ministero di Vladimir Ilych all’ “apice” dell’insurrezione degli SR di sinistra. Dopo averci salutato con un sorriso disse: “Bene, suppongo che dovremo spostarci di nuovo dal Sovnarkom (Consiglio dei Commissari del Popolo) al Revkom (Consiglio Militare Rivoluzionario), che ne pensate?” Sverdlov restava sé stesso, come al solito. In tali giorni si impara realmente a conoscere le persone. E Jacob Mikhailovich fu veramente senza confronto: fiducioso, coraggioso, risoluto, pieno di risorse – il Bolscevico migliore. Fu esattamente in quei mesi critici che Lenin imparò a conoscere, ad apprezzare Sverdlov. Spesso accadeva che Vladimir Ilych prendesse su il telefono per proporre a Sverdlov una particolare misura d’emergenza, e nella maggior parte dei casi la risposta che otteneva era “Già”. Questo significava che la misura era già stata adottata. Facemmo spesso scherzi su questo argomento, dicendo, “Bene, con tutta probabilità, Sverdlov lo ha - già.”
Lenin una volta notò: “Sai, all’inizio eravamo contrari ad includerlo nel Comitato Centrale. Come sottostimammo l’uomo! Ci fu una disputa considerevole su questo, ma la base ci corresse all’Assemblea, e dimostrò d’essere completamente nel giusto.”. Malgrado il fatto che, naturalmente, non ci fu mai una precisa trattativa per unire le organizzazioni, il blocco degli SR di sinistra fece indiscutibilmente tendere la condotta dei nostri nuclei di Partito a diventare qualcosa di nebuloso. E’ sufficiente menzionare, per esempio, che quando un ampio gruppo di attivisti venne assegnato al fronte orientale, simultaneamente, con la nomina di Muraviev come comandante in capo di quell’area, un SR di sinistra era eletto segretario di questo gruppo di parecchie decine d’attivisti, la maggior parte delle quali erano Bolsceviche. Nelle varie istituzioni e dipartimenti, quanto più grande era il numero di nuovi membri secondari del nostro Partito, tanto più indefiniti erano i rapporti tra i Bolscevichi e gli SR. La rilassatezza, la mancanza di vigilanza e di coesione fra i membri del partito, impiantati di recente nell’ancora fresco apparato statale, sono caratterizzati del tutto singolarmente, dal semplice fatto che il nucleo fondamentale degli insorti fra le truppe della Cheka, era costituito dall’organizzazione degli SR di sinistra.
Il salutare cambiamento avvenne nell’arco di due o tre giorni. Durante i giorni dell’insurrezione organizzata da un partito di governo contro un altro, quando tutti i rapporti personali furono improvvisamente messi in discussione, e quando i funzionari nei dipartimenti iniziarono a vacillare, allora i migliori e i più devoti elementi comunisti nell’ambito di ogni istituzione si strinsero l’un l’altro, rompendo i legami con gli SR e combattendoli. I nuclei comunisti si unirono nelle fabbriche e nelle sezioni dell’esercito.
Per lo sviluppo del Partito e pure dello Stato, questo fu un momento di importanza eccezionale. Gli elementi del Partito, distribuiti e in parte dispersi per tutta la struttura dell’apparato statale ancora informe e i cui legami di Partito venivano in larga parte propagati nei rapporti dipartimentali, ora vennero subito alla ribalta, serrarono i ranghi e si saldarono insieme sotto la tempesta dell’insurrezione degli SR di sinistra. Presero forma i nuclei comunisti che assunsero in quei giorni l’effettiva guida della vita interna di tutte le istituzioni. Si può dire che fu precisamente in questi giorni che il Partito nella sua maggioranza divenne per la prima volta veramente consapevole del suo ruolo come organizzazione di governo, come leader dello stato proletario, come il partito della dittatura del proletariato non solo nei suoi aspetti politici ma anche in quelli organizzativi. Questo processo – che potrebbe essere definito come l’inizio dell’autodeterminazione organizzativa del partito all’interno dell’apparato dello Stato Sovietico, creato dal partito stesso – ebbe luogo sotto la guida diretta di Sverdlov, senza riguardo se vi fosse coinvolto il Comitato Esecutivo dei Soviet di tutta l’Unione od un’autorimessa del Commissariato di Guerra.
Gli storici della Rivoluzione d’Ottobre sono obbligati a selezionare e studiare minuziosamente questo momento critico nell’evoluzione dei rapporti reciproci tra il Partito e lo stato, un momento che doveva lasciare la sua impronta sull’intero periodo a venire, fino ai nostri giorni. Con questo, lo storico che si occupa di tale problema metterà a nudo il grande ruolo svolto da Sverdlov, l’organizzatore, durante questo importantissimo punto di svolta. Nelle sue mani furono raccolti tutti i fili dei collegamenti pratici.
Furono anche più critici i giorni in cui i Cecoslovacchi minacciarono Nižni-Novgorod, mentre Lenin era a terra con due pallottole SR in corpo. Il primo Settembre, a Svyazhsk , ricevetti un telegramma in codice da Sverdlov:
“Torna immediatamente. Ilych ferito. Non so quanto gravemente. Prevale completa calma. Sverdlov.
31 Settembre 1918.”
Partii immediatamente per Mosca. I circoli di Partito a Mosca erano in uno stato d’animo severo, cupo ma non vacillante. Sverdlov era la migliore espressione di questa incrollabilità. Le sue responsabilità ed il suo ruolo crebbero di molto in quei giorni. L’altissima tensione poteva essere sentita nel suo corpo nervoso. Ma questa tensione nervosa significava solo una maggiore vigilanza -non aveva niente in comune col trambusto senza scopo, e meno che mai col nervosismo. Durante questi momenti Sverdlov fece sentire tutta la sua statura.
La diagnosi dei medici era promettente. A nessun visitatore venne permesso di vedere Lenin, nessuno fu ammesso. Non c’era più ragione di rimanere a Mosca. Subito dopo il mio ritorno a Svyazhsk ricevetti una lettera da Sverdlov datata 8 Settembre:
“Caro Lev Davidovich Colgo questa occasione per scrivere due parole. Le cose stanno andando bene per Vladimir Ilych. Forse potrò vederlo fra tre o quattro giorni.”
Il resto della lettera trattava di questioni pratiche che qui non è necessario esporre.
E’ nitidamente impresso nella mia memoria il viaggio nella piccola città di Gorki dove Lenin era convalescente per le sue ferite.
Fu nel mio successivo viaggio a Mosca, che malgrado la situazione terribilmente difficile si avvertì un forte cambiamento per il meglio. Sul fronte orientale che allora era quello decisivo, avevamo riconquistato Kazan e Simbirsk. L’attentato alla vita di Lenin servì al Partito come una suprema verifica politica: il Partito si fece più vigile, più in guardia, meglio preparato a respingere il nemico. Lenin migliorava rapidamente e si stava preparando a ritornare presto al lavoro. L’insieme di tutto questo generò stati d’animo di forza e sicurezza. Da allora il Partito riuscì ad essere all’altezza della situazione, sicuramente continuerà ad esserlo in futuro. Era esattamente questo lo stato d’animo del nostro viaggio a Gorki.
En route Sverdlov mi mise al corrente di ciò che accadde a Mosca durante la mia assenza. Aveva una memoria eccellente, com’è il caso di molti individui che hanno una grande volontà creativa. Il suo resoconto ruotava, come sempre, intorno all’asse delle cose più importanti che dovevano essere fatte, coi necessari particolari organizzativi accompagnati, di passaggio, da brevi caratterizzazioni degli individui. In breve, fu un’estensione del consueto lavoro di Sverdlov. E al di sotto di tutto poteva essere percepito un influsso segreto di fiducia, calma e nello stesso tempo irresistibile: “lo faremo!”
Sverdlov dovette presiedere moltissimo. Fu presidente di molti corpi e molti incontri. Fu un Presidente imperioso. Non nel senso che tacitava le discussioni o teneva a freno gli oratori e così via. Affatto. Al contrario, non cavillava o insisteva sulle formalità. La sua imperiosità come Presidente consisteva in questo, che sapeva sempre esattamente quale decisione pratica si doveva prendere, sapeva chi voleva parlare, cosa si sarebbe detto, e perché; era del tutto al corrente dei retroscena dell’argomento – ed ogni argomento grande e complesso era il suo stesso retroscena; era abile nel dare in tempo la parola all’oratore che ne aveva bisogno, sapeva come mettere in tempo le proposte ai voti; sapeva cosa poteva essere implicato ed era abile ad implicare ciò che voleva.
Questi suoi tratti come Presidente erano indissolubilmente legati a tutte le sue qualità di leader pratico, con la sua abilità di valutare le persone in carne ed ossa, realisticamente, con la sua inesauribile inventiva nel campo delle combinazioni personali ed organizzative.
Durante le sessioni burrascose egli era esperto nel permettere all’assemblea di diventare chiassosa e dar sfogo alle proprie energie; poi, al momento opportuno interveniva per ristabilire l’ordine con mano ferma ed una voce metallica. Era di media altezza, di pelle scura, esile e magro, la sua faccia smilza, i suoi lineamenti spigolosi. La sua forza ed anche la possente voce avrebbero potuto sembrare stonate col suo fisico. Ad un grado ancora più grande, questo potrebbe essere detto del suo carattere. Ma una tale impressione poteva essere solo passeggera. Ed allora l’immagine fisica si fondeva con quella spirituale. Non è tutto, perché questa figura magra con la sua invincibile calma e l’inflessibile volontà, e con la sua potente ma non arrendevole voce, emergeva sempre in primo piano. “Nichelo” diceva a volte Lenin in una situazione difficile. “Sverdlov glie lo dirà nel basso sverdloviano e la vicenda sarà sistemata…” C’era affettuosa ironia in queste parole.
Nella fase iniziale del post-Ottobre i comunisti, come si sa, vennero chiamati “impellati” dai nostri nemici, a causa del modo di vestire. Credo che l’esempio di Sverdlov giocò un ruolo principale nell’introduzione dell’“uniforme” di pelle fra di noi. In ogni avvenimento invariabilmente egli andava in giro ricoperto di pelle dalla testa ai piedi, dal suo berretto di pelle , ai suoi stivali. Questo vestito, che in qualche modo corrispondeva al carattere di quei giorni, lo irradiava in lungo e in largo, come la figura organizzativa centrale. I compagni che lo conobbero nel periodo della clandestinità ricordano un diverso Sverdlov. Ma nella mia memoria Sverdlov resta vestito di pelle come una corazza nera cresciuta nella tempesta del primo anno di Guerra Civile. Stavamo radunandoci per una sessione dell’Ufficio Politico quando Sverdlov, che stava bruciando di febbre a casa sua, cominciò a peggiorare. E.D. Stassova, l’allora segretaria del Comitato Centrale entrò durante la riunione. Era giunta dall’appartamento di Sverdlov. Il suo viso era irriconoscibile. “Jacob Mikhailovich sta male, molto male,” disse. Un’occhiata a lei fu sufficiente per capire che non c’era speranza. Interrompemmo immediatamente la riunione. Vladimir Ilych andò nell’appartamento di Sverdlov ed io al Commissariato per prepararmi a partire immediatamente per il fronte. Dopo circa 15 minuti ci fu una telefonata di Lenin che diceva con voce diversa che significava grande sforzo: “E’ andato.” “E’ andato.” “E’ andato.” Per un po’ ognuno di noi tenne il ricevitore in mano e poteva sentire il silenzio dell’altro. Poi riagganciammo. Non c’era più nulla da dire. Jacob Mikhailovich era andato. Sverdlov non era più tra noi.
Ultima modifica 08-11-2011