Trascritto in occasione dell'arresto di Carola Rackete, luglio 2019.
«Ti prego, mia guida1, dimmi pure ciò: donde è venuta la dea, o è sempre stata nella nostra città?2». «La dea madre amava il Dindimo, il Cibele, l'Ida ricco di fonti, e il regno di Troia3. Allorché Enea portò Troia in Italia, la dea per poco non seguì le navi recanti gli oggetti sacri4, ma sentiva che il fato non esigeva ancora la sua presenza nel Lazio, e restò nei luoghi consueti. Poi, divenuta Roma potente, dopo cinque secoli5, da sollevar il capo sul mondo domato, un sacerdote studiò il testo profetico dei libri Euboici6. Il responso fu, si dice: “Manca la madre. Romani, vi ordino di cercare la madre. Tostoché venga, dovrà accoglierla una mano casta7”.
Su tale oracolo i senatori furono incerti su chi fosse la madre mancante, e dove cercarla. Si consultò Peana8, che rispose: “chiamate la madre degli dèi, residente sul monte Ida”. Si inviò un'ambasceria di nobili9. Il coevo re della Frigia era Attalo, che rifiutò la richiesta degli Ausoni10. Ma dirò un prodigio: la terra tremò con un lungo boato, e la dea parlò così dal suo sacrario: “Son io ad essermi fatta cercar. Non recalcitrare, fammi andar dove voglio. Roma è degna che tutti gli dèi ci vadano”. Il re, atterrito da tali parole, rispose: “Vai, resterai comunque nostra: Roma discende da avi frigi”.
Tosto innumerevoli scuri tagliarono i pini della stessa foresta che il pio Frigio usò nella sua fuga11. Mille mani collaborarono, e una nave dipinta a encausto imbarcò la madre di tutti gli dèi. In piena sicurezza navigò nelle acque del figlio12, arrivò al lungo stretto di Elle13, passò il turbinoso Capo Reteo, il litorale sigeo, Tenedo, e l'antico regno di Ezione14. Lasciatasi dietro Lesbo, raggiunse le Cicladi, e il mare che si frange sulla spiaggia di Caristo15. Passò il mare Icario, dove Icaro perse le ali cadute, dando il suo nome a un vasto tratto d'acqua16. Superò a sinistra Creta, a destra il mare di Pelope17, poi andò verso l'isola Citera, sacra a Venere18. Poi arrivò al mare trinacrio, dove Bronte e Sterope e Acmonide immergono il ferro rovente19. Percorse le spiagge africane, superò a sinistra la Sardegna. Finalmente arrivò in Ausonia. Toccò Ostia, dove il Tevere sfocia nel mare e scorre su una superficie più vasta. Alla foce del fiume etrusco20 convennero tutti i cavalieri, l'austero senato, la plebe. Con loro pure le madri, le figlie, le nuore, e le vergini che alimentano il fuoco sacro21. Gli uomini alarono fino ad esaurirsi, ma la nave straniera risale appena per le acque. Poiché da tempo la terra era secca e le piante riarse, così la nave si incagliò nel fondale fangoso. Coloro all'opera si attivano più del dovuto, con grida di supporto. Ma la nave resta come un'isola in mezzo al mare; un prodigio che blocca e atterrisce i coinvolti.
Claudia Quinta (discendente dell'antico Clauso22, di bellezza pari alla nobiltà) era casta, ma non creduta: un'ingiusta calunnia l'aveva colpita, ed era accusata di false colpe. Offesa per come si vestiva, si acconciava, e rispondeva agli arcigni vecchi austeri23. La sua retta coscienza rideva delle menzogne, ma noi siamo gente pronta a credere al peggio. Così Claudia uscì dal gruppo delle matrone, e attinse con le mani la pura acqua del fiume, ne bagnò tre volte la testa e tre volte alzò al cielo le mani (gli astanti la indicavano come impazzita). Si mise in ginocchio, mirò la statua della dea e, coi capelli sciolti24, disse: “Feconda madre degli dèi, accogli le preghiere della tua supplice a un patto. Negano che sia casta. Condannami te e confesserò checché. Meriterò la pena di morte inflitta dal giudizio divino. Ma se non c'è colpa, offrine testimonianza: la tua castità obbedirà a mani caste25”. Detto ciò, compì l'alaggio senza sforzo. Ciò è prodigioso, ma attestato in scena26. La dea si mosse, seguì la sua guida e, seguendola, la scagionò: sale al cielo un suono di gioia.
Si arrivò all'ansa verso sinistra del fiume (anticamente detta Atrio del Tevere27). Scesa la notte, legarono la fune a un tronco di quercia, cenarono e si concessero un breve sonno. All'alba, sciolsero la fune dal tronco di quercia, ma prima fecero un fuoco per bruciar incenso; inghirlandarono la poppa e uccisero una giovenca senza difetto (ignara di accoppiamento e d'aratro). Dove l'Almone lubrico sfocia nel Tevere (e il fiume minore perde il suo nome mescolandosi al grande) un vecchio sacerdote, porporato, lavò con l'acque d'Almone la dea e gli oggetti sacri. Urlano i seguaci, il flauto zufola furiosamente, le mani degli eunuchi colpiscono i tamburi di pelle.
Claudia con volto lieto guida il corteo: aguale creduta per l'attestato divino. La dea, issata sul carro, passò la porta Capena28: si sparsero fiori sulle giovenche che la tirano. Nasica la riceve29. Non resta il nome del fondatore del tempio, che reca il nome di Augusto e prima di Metello30».
1. La musa Erato.↩
2. Ovidio chiede l'origine geografica della dea, se sia venuta da fuori o se il suo culto sia autoctono a Roma.↩
3. Questi versi narrano il viaggio di Cibele dall'Asia Minore. Il Dindimo è un monte della Frigia. Il Cibele è la montagna della Frigia su cui la dea è cresciuta. L'Ida è un monte nei pressi dell'antica Troia.↩
4. Enea porta in Italia i Penati, le bende e il fuoco di Vesta provenienti da Troia.↩
5. Nel 205 a.C., nell'ultima fase della seconda guerra punica.↩
6. I libri che contenevano i responsi della Sibilla di Cuma (“euboica” perché Cuma era stata fondata dai coloni greci di Calcide, città dell'Eubea). La consultazione fu fatta dai Decemviri.↩
7. Il responso che prescrive il trasporto di Cibele da Pessinunte a Roma è ambiguo in Ovidio e chiaro in Livio (XXIX, 10-11). Per Livio fu l'oracolo di Delfi a specificare come accogliere la dea. ↩
8. Peane (guaritore) è appellativo di Apollo Medico. Sia l'esercito romano sia quello di Annibale era stati colpiti da un'epidemia.↩
9. A condurre la delegazione di notabili a Pergamo, per chiedere l'aiuto di Attalo I, fu Marco Valerio Levino (console nel 211 a.C.).↩
10. L'Italia è chiamata Ausonia, dagli Ausoni abitanti nel Lazio meridionale.↩
11. Enea per allestire le navi con cui fuggì da Troia.↩
12. Nettuno, figlio di Cibele nella sua identificazione con Rea. Dato che Cibele viene assimilata a Rea, moglie di Saturno e madre di Giove, le nipoti di Cibele sono le Muse, figlie di Giove.↩
13. L'Ellesponto prende il nome da Elle, la quale vi trovò la morte mentre era in fuga insieme a suo fratello Frisso, che invece riuscì a raggiungere la Colchide, sul montone dal vello d'oro.↩
14. L'itinerario di Cibele ricalca in parte quello di Enea. I promontori Reteo e Sigeo sono nella Troade. Tenedo è un’isola davanti a Troia. Ezione è il padre di Andromaca, re di Tebe in Cilicia.↩
15. La nave attraversa il mar Egeo: dall'isola di Lesbo (a sud di Tenedo) e dalle Cicladi, arriva alla città di Caristo, sulla costa meridionale dell'Eubea.↩
16. Il mar Icario è la parte sud del mar Egeo, vicino all'Asia Minore. Icaro fuggì da Creta con delle ali di cera insieme al padre Dedalo; ma si avvicinò troppo al sole, e cadde nel mare che prese il suo nome.↩
17. Il mare del Peloponneso.↩
18. L'isola di Citera è il luogo di nascita di Venere.↩
19. Il mare trinacrio è il mare della Sicilia, chiamata Trinacria per la forma triangolare. Bronte, Steropee Acmonidesono nomi di Ciclopi, che lavorano come fabbri nella fucina dell'Etna.↩
20. Il Tevere è detto etrusco perché nasce in Etruria.↩
21. Le Vestali sono le sacerdotesse di Vesta, figlia di Saturno e di Opi, sorella di Giove, che corrisponde alla divinità greca Estia, la dea del focolare domestico.↩
22. Il sabino Attio Clauso (stabilitosi a Roma dopo la cacciata dei Tarquini) fu capostipite della famiglia Claudia.↩
23. Essendo aperta coi vecchi, si pensava lo fosse di più coi giovani, fino a infrangere la castità trentennale. La pena per le vestali in questo caso era essere sepolte vive.↩
24. In questo atteggiamento da supplice, i capelli sciolti sono in pendant con le acconciature che avevano suscitato chiacchere sul suo conto.↩
25. Quinta Claudia chiede a Cibele di giudicarla: se la dea la ritiene colpevole, lei accetta la morte, ma se non ci sono accuse contro di lei, la dea deve offrire un segno per discolparla.↩
26. Ovidio cita forse le rappresentazioni teatrali che (dal 194 a.C.) si tenevano in occasione dei Megalensia: festività di Cibele, celebrate dal 4 al 10 aprile.↩
27. Forse dove il fiume Almone confluisce nel Tevere.↩
28. La porta Capena si apriva sulla via Appia, che era stata costruita da Appio Claudio, antenato di Quinta Claudia: chiunque tornasse dall'Oriente entrava a Roma da quella porta.↩
29. Publio Cornelio Scipione Nasica, creduto di ottimi costumi, fu scelto dal senato per accogliere la statua di Cibele.↩
30. Il tempio di Cibele fu inaugurato il 10 aprile 191 a.C. (14 anni dopo); un primo restauro fu fatto verso il 111 a.C. da un Metello (forse Quinto Cecilio Metello Numidico) e quello dopo da Augusto nel 3 d.C.↩
Ultima modifica 2020.06.30