Versione e note di Leonardo Maria Battisti, aprile 2014
Trascritto per il MIA il 28 maggio 2018.
[11] Il necessario ciclo delle costituzioni appare vero a chiunque consideri l'archè (inizio), la genesi (formazione), la metabole (mutamento) di ogni forma di costituzione, che avvengono secondo natura.
[12] Solo chi ha compreso l'origine delle costituzioni potrà comprender quando, come e dove avverrà DI NUOVO la crescita [auxesis], l'acme, la metabole e la fine [telos] di ogni costituzione.1
[13] Ho ritenuto che il metodo espositivo trascelto sia soprattutto adatto allo studio della costituzione romana: ché la sua prima origine, come poi il suo sviluppo e la sua crescita, furono dovuti esclusivamente a cause naturali.2
[1] La teoria del naturale mutarsi delle costituzioni l'una nell'altra è esposta con accuratezza da Platone e da altri filosofi3; ma la loro esposizione, complessa e particolareggiata, è accessibile a pochi4.
[2] Così tenterò di ricapitolar la parte di tale teoria inerente la storia pragmatica e accessibile all'intelligenza comune.
[3] Le lacune dell'esposizione generale saranno colmate dalla trattazione particolare nel prosieguo5.
[4] Qual è il principio e la nascita delle forme costituzionali?
[5] Si sa che il genere umano è stato distrutto da cataclismi, pestilenze, carestie ed altre cause simili; e la ragione ci insegna che avverrà ancora spesso6.
[6] Al che periscono ogni manufatto e ogni arte. Poi dai superstiti (come da semi), col tempo ricresce il numero degli uomini.
[7] Allora, come fanno altri animali (poiché è naturale l'impulso a riunirsi con esseri della stessa stirpe per la propria debolezza7), è certo che: chi si distingue per forza fisica e per animo audace, prevalga e domini8.
[8] Devesi ritener ciò un fatto naturale, perché lo si vede pure appo gli animali irragionevoli (come tori, cinghiali, galli, etc.; appo cui vediamo che i più forti sono i capi per consenso di tutti).
[9] Perciò è verisimile che così sia pure la vita primitiva degli uomini, che come gli animali si adunano e seguono i più validi e forti. La forza segna il limite del loro potere, che si può chiamare monarchia [naturale]9.
[10] Quando poi col passare del tempo in queste comunità si crei la socievolezza e la confidenza, ha origine il regno; ed allora per la prima volta gli uomini concepiscono l'idea di bene e di giusto e i loro contrari.
[1] Come nascono i concetti di bene e giustizia?
[2] Gli uomini per natura sentono l'impulso ai rapporti sessuali, che hanno per conseguenza la procreazione dei figli. Ci sarà poi un figlio che, giunto all'adolescenza, non mostra riconoscenza a coloro che lo hanno allevato né li difende, bensì dice o fa loro del male.
[3] Allora gli altri membri della tribù, RICORDANDO l'assiduità e i sacrifici necessari a nutrire e ad allevare i figlioli, sono dispiaciuti e disapprovano gli irriconoscenti.
[4] Poiché infatti il genere umano differisce dagli altri animali per il possesso della ragione, allora (al contrario degli altri animali) gli uomini non possono non notare questa differenza di comportamento.
[5] Bensì essi notano quanto accade e, prevedendo e IMMAGINANDO che qualcosa di simile potrà accadere in futuro pure a loro, provano dispiacere.
[6] Se poi uno, assistito o soccorso da un altro nei pericoli, non serba riconoscenza al suo salvatore, bensì arriva perfino a nuocergli, allora chi lo sa nutre dispiacere e disapprovazione per questo comportamento (sia condividendo lo sdegno proprio della vittima, sia IMMAGINANDO se stessi in una situazione analoga).
[7] Per questi fatti nasce in ognuno una certa idea [ennoia] o visione [theoria]10 del valore del DOVERE [kathekontos dynameos], che è archè e telos di ogni giustizia.
[8] Ugualmente, se uno nei pericoli combatte a difesa delle tribù o sostiene coraggiosamente l'assalto degli animali più forti, allora è naturale che costui riceva dal popolo esibizioni di benevolenza [eunoia] e onore [prostatikos]; mentre chi si comporta in modo contrario riceve dis-prezzo [kata-gnosis] e avversione [proskope].
[9] Così [dall'attenzione all'utile] emerge nel popolo una certa idea [ennoia] del male e del bene, e della loro differenza; e il secondo è oggetto di zelo e mimesi per l'utile che ne deriva, e il primo è evitato.
[10] In tali circostanze, il capo (colui che ha più forza) può anche giudicare i vizi e virtù secondo il concetto della maggioranza, ed essere capace di distribuire a ciascuno secondo il merito.
[11] Allora i sudditi (approvandone il senno anziché temerne la forza) volentieri gli obbediscono e lo difendono (anche se egli è molto vecchio) lottando contro chiunque ne insidi il potere [dynasteia].
[12] Così inavvertitamente il monarca diventa re, quando al posto dell'impulso naturale e della forza prende il sopravvento la ragione11.
[1] La prima concezione del bene e della giustizia e dei loro opposti (quella che si forma secondo natura negli uomini) è la genesi dell'autentica regalità.
[2] Infatti il popolo conserva al potere i discendenti del primo re12, convinto che chi è nato ed è stato educato da lui avrà orientamenti affatto simili.
[3] Ma se poi i sudditi sono insoddisfatti dei discendenti del re, allora scelgono i re in base alla capacità di giudizio [gnome] anziché alla forza fisica [somatike dynamis] o al coraggio (avendo ormai sperimentato praticamente la differenza fra doti fisiche e doti morali).
[4] Anticamente, una volta eletti e ricevuta l'autorità, i re passavano la vita a eriger fortificazioni, costruir mura, conquistar territori sia per garantire al popolo sia la sicurezza sia l'abbondanza di risorse13.
[5] Finché vissero adoprandosi in ciò, i re rimasero affatto esenti da calunnie e invidia poiché non differivano dagli altri (nel vestire, nel mangiare, nel bere) bensì vivevano suppergiù come i sudditi e con loro14.
[6] Ma, ricevuto il comando [arkas] in eredità [diadoches] per diritto dinastico [kata genos], i nuovi re iniziarono a trovare pronti i mezzi di difesa e disporre di viveri in misura superiore al necessario.
[7] Allora (seguendo le proprie brame per quest'abbondanza) iniziarono a pensare che i capi dovessero portar vesti diverse da quelle dei sudditi, goder di tanti cibi diversi, aver rapporti amorosi pure illeciti15.
[8] Sì suscitarono invidia per il lusso e ostilità per la superiorità e poi odio e ira violenta per gli abusi sessuali, finché dal regno ebbe origine la tirannide e si iniziò a complottare contro chi era al potere16.
[9] L'iniziativa non era degli uomini peggiori, bensì dei più nobili, animosi e coraggiosi, che meno degli altri riescono a sopportare la violenza dei capi17.
[1] Ma, per le stesse ragioni, pure il popolo unisce le sue forze contro i tiranni dacché trova dei capi. Così il regno e la monarchia sono abbattuti ed ebbe origine l'aristocrazia.
[2] Infatti, in segno di riconoscenza per essere riuscito ad abbattere la monarchia grazie agli iniziatori della rivolta, il popolo sceglie loro come capi e gli si affida.
[3] All'inizio, contenti dell'incarico, i capi nulla ritengono più importante dell'utile comune e amministrano con cura amorevole ogni cosa (negli affari sia di tutto il popolo sia dei privati).
[4] Ma poi il potere passa dai padri ai figli (inesperti dei mali, affatto ignari dell'uguaglianza politica e della parresia18; anzi educati fin dall'inizio nella condizione di comando e di predominio dei padri).
[5] Questi figli cedono all'ingiusta avidità di ricchezze, all'ubriachezza, alla crapula, alle violenze [hybreis] contro donne e fanciulli19. Così i figli dei nobili trasformano l'aristocrazia in oligarchia.
[6] E tosto suscitano nel popolo lo stesso risentimento che avevano suscitato i tiranni. Il potere dei nobili deve quindi essere necessariamente abbattuto allo stesso modo patito dai tiranni20.
[1] Infatti, se uno ha il coraggio di parlare o agire contro di loro21 (resosi conto che i cittadini nutrono invidia e odio contro i capi), allora trova pronto sostegno nella massa.
[2] Uccisi alcuni ed esiliati altri degli oligarchi22, il popolo non osa più darsi un re (memore dell'ingiustizia dei passati re) né affidare il governo a più persone (avendo presenti gli errori di prima).
[3] Non rimanendo speranza [elpis] che in sé stesso, il popolo trasforma la costituzione da oligarchica a democratica, e assume su di sé la cura dei pubblici interessi.
[4] Finché vivono cittadini che hanno sperimentato la supremazia [yperoche] e la sovranità [dynasteias], contenti della situazione coeva, essi stimano l'isegoria e la parresia più di ogni altra cosa23.
[5] Ma quando subentrano al potere i giovani e la democrazia è trasmessa ai figli dei figli, questi cercano di prevalere sul popolo (non tenendo più in cale l'isegoria e la parresia, ormai scontate). In tale colpa incorrono soprattutto i più ricchi24.
[6] Sì desiderosi di preminenza, non potendola ottenere da soli col proprio valore, dilapidano le loro sostanze per attirare e corrompere il popolo.
[7] Rendendo il popolo corrotto e avido di doni per la loro stolta avidità di potere, la democrazia è abolita e si trasforma in violenta cheirocrazia.
[8] Infatti un popolo abituato a consumare i beni altrui e a riporre le proprie speranze di vita nei patrimoni degli altri finalmente trova un capo generoso e ardito ma escluso per povertà dalle cariche pubbliche.
[9] Allora il popolo realizza la cheirocrazia: s'aduna per compiere stragi, esili, divisioni di terre [anadasmoi]; finché (ritornato allo stato ferino [apotetheriomenon]), ritrova un despota e un monarca25.
[10] ECCO SPIEGATA L'ANACICLOSI delle costituzioni: processo naturale per cui le costituzioni necessariamente si trasformano, decadono, ritornano al tipo originario26.
[11] Sapendo ciò, chi giudica (senza ira e invidia) il futuro d'una costituzione potrà sbagliar i tempi, ma di rado sbaglierà a dir a che punto della crescita o della decadenza ogni costituzione sia, o come muterà.
[12] Con questo criterio passeremo a considerare l'origine [systageos], lo sviluppo [auxesis], l'acme della costituzione romana; nonché l'inevitabile metabole in senso contrario che seguirà27.
[13] Infatti, come ogni altra costituzione, pure la costituzione romana (avendo avuto un'origine e uno sviluppo secondo natura) avrà una decadenza secondo natura.
[14] Ciò sarà esibito da quanto dirò.
[1] Ma prima parlerò della costituzione di Licurgo28, il che non è estraneo a ciò che mi propongo.
[2] Licurgo seppe il naturale e necessario ciclo delle costituzioni, e capì che ogni forma costituzionale semplice (basata su un'unica autorità) è instabile, ché si trasforma nel corrispondente tipo corrotto.
[3] Infatti la ruggine è connaturata col ferro e i tarli col legno, indi tali materiali sono distrutti dall'interno (pur evitando danni esterni).
[4] Così a ogni forma di costituzione è connaturata la relativa forma corrotta.
[5] Cioè al regno la monarchia; all'aristocrazia l'oligarchia; alla democrazia la selvaggia cheirocrazia. Ogni forma di costituzione col tempo deve trasformarsi nel tipo corrotto corrispondente (per il ragionamento fatto).
[6] In previsione di tutto ciò, Licurgo non istituì una costituzione semplice e uniforme, bensì riunì i vantaggi delle costituzioni migliori29.
[7] Per impedir che la forza al governo (sviluppandosi oltre il dovuto) si trasformasse e si corrompesse, Licurgo fece sì che nima autorità fosse sopraffatta o acquistasse troppo potere (equilibrandosi con le altre autorità reciprocamente) onde lo Stato fosse conservato a lungo dal regolare equilibrio delle forze (come una nave che resiste alle correnti)30.
[8] La regalità31 era infatti tenuta a freno dal timore del popolo32, a cui era stata data una parte sufficiente nel governo33.
[9] Il popolo non osava disprezzare i re per timore della gerusia. Infatti i geronti eletti per la loro virtù si sarebbero attenuti alla giustizia34.
[10] Così se una parte fedele ai costumi tradizionali fosse divenuta più debole, allora diventava più forte con l'appoggio dei geronti35.
[11] Con questa forma di governo, Licurgo concesse agli spartani di conservare la libertà più a lungo di tutti i popoli dei quali abbiamo notizia.36 37
[12] È ragionando donde e come nasca ogni forma politica che Licurgo foggiò la costituzione di Sparta, SENZA SUBIRE DANNI [ablabos].
[13] I romani ottennero la stessa perfezione nelle istituzioni della loro patria.
[14] Ma non per forza di un ragionamento, bensì con molte lotte e vicende (scegliendo il meglio sempre in base all'esperienza acquisita nelle peripezie), i Romani ottennero lo stesso risultato di Licurgo. Cioè istituirono la migliore costituzione che esista38.
[4] Quale città ha avuto inizi così illustri e noti come Roma, fondata da Romolo? Romolo nacque Marte (cedendo alla fama antica e saggiamente tramandataci dai nostri antenati che ai benemeriti dello Stato attribuisce, nonché ingegno, stirpe divini40). Col fratello Remo41, Romolo fu esposto sul Tevere per ordine di Amulio42, re d'Alba, (temendo la sicurezza del proprio trono). Allattato lì da una fiera, fu raccolto da alcuni pastori che lo allevarono nella vita e nella fatica agresti. Si dice poi che, cresciuto, Romolo superasse di tanto gli altri per forza fisica e fierezza d'animo, che tutti gli abitanti di quelle campagne (ove ora sorge questa città) gli obbedivano di buon grado e volentieri. Offertosi come condottiero delle loro milizie (e veniamo dalla leggenda ai fatti), Romolo sottomise Alba Longa (città a quei tempi forte e potente) e uccise il re Amulio.
[5] Circondatosi di tale gloria, pensò di fondare una città e di consolidarne lo Stato, una volta presi gli auspici43. Scelse un luogo assai opportuno, con la previdenza che deve aver chi vuol fondar uno Stato duraturo. Infatti non la fondò vicina al mare (come gli sarebbe stato facile con le forze che aveva invadendo il territorio dei Rutoli44 e degli Aborigeni45) né alla foce del Tevere (dove molti anni dopo il re Anco dedusse una colonia46). Uomo di eccellente previdenza, Romolo comprese che i siti litoranei non sono i più adatti a Stati destinati a durevole vita, perché sono esposti a molti e inattesi pericoli.
[6] Infatti la terraferma avverte prima dell'arrivo dei nemici (sia attesi, sia inaspettati) con molti segni e quasi col fragore e col proprio rimbombo. Nimo nemico può invader via terra senza che si possa sapere, nonché del suo avvicinarsi, chi sia e donde venga. Invece chi viene via mare e su navi può arrivare senza che alcuno possa avvertire la sua venuta; né quando giunge è possibile congetturare (nonché chi sia, donde venga, cosa voglia) se abbia intenzioni pacifiche oppure ostili.
[7] Le città marittime tendono alla corruzione e al mutamento dei costumi. Infatti in esse si mescolano lingue e usanze d'ogni paese e si importano nuovi costumi nonché merci, onde nima delle patrie istituzioni può restare integra. Inoltre gli abitanti di tali città non restano legati alle loro sedi, bensì sono strappati lontano dalla patria da volubili speranze e progetti; pure se vivono là con il corpo, vagano tuttavia con lo spirito. A scalzare Cartagine e Corinto47 nulla contribuì più del disperdersi col vagare dei cittadini, che per amore dei commerci e della navigazione trascurarono la coltura dei campi e l'esercizio delle armi.
[8] Le ricchezze (conquistate o importate) che il mare offre sono pericolosi incentivi alla dissolutezza; e l'amenità stessa dei luoghi sollecita a brame di sontuosità e pigrizia48. E quanto detto per Corinto, forse si può dir in verità dell'intera Grecia. Tutto il Peloponneso è infatti proteso nel mare e, ad eccezione dei Fliunti49, tutti gli altri toccano il mare; e fuori del Peloponneso solo gli Eniani, i Dori, i Dolopi ne sono lontani50. E che dire delle isole della Grecia? Cinte dai flutti, quasi fluttuanti sono le istituzioni e i costumi delle loro città.
[9] Tutto ciò riguarda la Grecia vera e propria, come ho detto. Ma quale colonia fondata dai Greci in Asia, in Tracia, in Italia, in Sicilia, in Africa, eccetto la sola Magnesia51, non è bagnata dal mare? Par quasi che una spiaggia greca costeggi tutti i territori dei barbari, nessuno dei quali fin ad allora abitava sul mare, tranne gli Etruschi (per pirateggiare52) e i Cartaginesi (per commerciare). I difetti intrinseci delle città marittime furono la causa evidente dei mali e dei mutamenti politici della Grecia. E tuttavia, oltre ai difetti, c'è un grande vantaggio: da qualunque parte del mondo abitato si può importare ciò che è prodotto e, viceversa, in qualsiasi terra esportare ciò che i campi producono.
[7] Avrebbe forse potuto Romolo assicurarsi meglio i vantaggi offerti dal mare, ed evitarne al tempo stesso i difetti, che fondando una città sulle rive di un fiume perenne e costante, con un ampio sbocco sul mare? Via fiume, la città poteva ricevere dal mare tutto ciò di cui abbisognasse e dare ciò di cui sovrabbondasse. Via fiume, la città importava le cose necessarie alla vita nonché dal mare da terra. Onde parmi che fin da allora Romolo prevedesse che questa città avrebbe dato un giorno sede ad un immenso impero. Nima città situata in altre parti d'Italia avrebbe potuto conseguire una così grande potenza.
[11] Chi poi è così ottuso da non notare le difese naturali della città53? Monti erti e scoscesi delimitano il tracciato ininterrotto delle mura stabilito dalla saggezza di Romolo e dei successivi re54. C'è un solo passaggio, fra l'Esquilino e il Quirinale, ostruito da un enorme terrapieno. La rocca poggia su una roccia quasi tagliata a picco, da restare incolume e intatta pure al tempo della terribile calata gallica. Romolo scelse un luogo pure ricco di acque e salubre (benché la regione fosse esiziale55): infatti i colli intorno offrono riparo dal vento e ombra alle valli.
[12] Compì tutto ciò in brevissimo tempo. Dal suo nome chiamò Roma56 la città da lui fondata e, per rafforzarla, ricorse ad un piano insolito e piuttosto rozzo (ma degno di un uomo grande e previdente): fece infatti rapire le giovani e nobili sabine, venute a Roma per vedere i giochi Consuali57, che istituì allora per la prima volta per celebrare nel circo58 l'anniversario della città, e le unì in matrimonio59 ai giovani romani delle famiglie più illustri.
[13] Così i Sabini fecero guerra ai Romani, ed essendo incerto l'esito della lunga lotta, su preghiera delle stesse donne che erano state rapite, Romolo stabilì un trattato d'alleanza con T. Tazio, re dei Sabini. Con questo patto, Romolo ammise i Sabini nella cittadinanza romana60, perché partecipassero alle cerimonie religiose, e si associò nel regno il loro re61.
[14] Dopo la morte di Tazio, il potere ricadde in Romolo. Ma già con Tazio aveva scelto i principi per formare un regio consiglio (chiamati Padri per amoroso ossequio62); e diviso il popolo in 3 tribù63 (che chiamò coi nomi suo, di T. Tazio e di Lucumone, suo alleato caduto nella guerra contro i Sabini64) e 30 curie65 (coi nomi delle fanciulle sabine rapite66, poi divenute mediatrici della pace e del trattato). Ma pur essendo tali istituzioni state decise quando Tazio era ancora in vita, dopo la sua morte Romolo regnò affidandosi ancora più di prima all'autorità e al consiglio dei Padri.
[15] Con l'istituzione di quel consesso, Romolo comprese quanto Licurgo a Sparta aveva già visto poco prima: che gli Stati sono governati e retti meglio dal comando di uno e dal potere regio, purché a tale efficienza si affianchi l'autorità dei migliori cittadini. Così, sorretto e presidiato da questo quasi senato, Romolo combatte vittoriosamente contro i popoli vicini e arricchì i suoi concittadini anziché sé stesso.
[16] Romolo seguì sempre con molto scrupolo gli auspici, istituzione che ancora oggi conserviamo con gran vantaggio per lo Stato: è traendo gli auspici infatti che fondò la città all'inizio del suo governo; e nel dare inizio a tutti gli atti pubblici si scelse un augure per ogni tribù67, ché lo assistessero negli auspici. Divise poi la plebe in clientele68 dei maggiorenti (vedremo poi quanto ciò sia stato utile). E coartò il popolo (anziché con la forza e coi supplizi) irrogando multe di pecore o buoi; ché allora la ricchezza constava del bestiame e dei terreni, e i ricchi si chiamavano pecuniosi e locupleti69.
[17] Dopo aver regnato 37 anni [753-716], creando due punti fermi dello Stato (auspici e senato), Romolo scomparve durante un'eclisse di sole e fu creduto assunto in cielo fra gli dèi70. Tale fama conseguirono solo uomini di meriti insigni.
[18] Ma la figura di Romolo è più ammirabile perché, mentre tutti gli altri che sono diventati dèi vissero in epoche meno colte (quando più sbrigliata era la fantasia e gli uomini rozzi più spinti alla credulità), Romolo visse meno di 600 anni fa, quando ormai fiorirono le lettere e le scienze, e dalla mente degli uomini si era eliminato ogni antico pregiudizio. Se (come si trova negli annali dei Greci) Roma fu fondata nel secondo anno della 7ª Olimpiade71, allora Romolo visse al tempo in cui fiorivano in Grecia poeti e musici, quando minor era la fede nelle fole se non riguardo agli eventi antichi. A 108 anni dopo la legislazione di Licurgo risale la prima Olimpiade72, che alcuni, per uno scambio di nome73, ritengono istituita dallo stesso Licurgo.
[19] Omero visse poi 30 anni prima di Licurgo (per chi si attiene alla datazione più bassa74). Cioè Romolo visse moltissimi anni dopo di Omero, fra uomini già colti ed in tempi già educati, senza spazio per l'immaginazione. L'antichità ha accolto fabule talvolta grossolane; ma l'età già raffinata di Romolo ripudiava ciò che riteneva inverosimile prevalentemente con la satira.
[20] [Pure Esiodo, seppur esistito molti secoli dopo Omero, visse tuttavia prima di Romolo. Non molti anni dopo la fondazione della città nacque Stesicoro75] suo nipote, come dicono, nato dalla figlia. Romolo morì durante la 56ª Olimpiade ([556 a.C.]lo stesso anno in cui nacque Simonide76) onde si capisce la credenza nell'immortalità di Romolo, poiché allora gli uomini erano già progrediti e avevano ampliato le loro conoscenze. Furono certi in Romolo tanto ingegno e virtù che il rozzo Giulio Proculo credette su di lui ciò che da molti secoli gli uomini non credevano più77. Si narra infatti che costui, spinto dai Padri che volevano allontanare da sé il sospetto di omicidio di Romolo, abbia dichiarato nell'assemblea di aver visto Romolo sul colle chiamato poi Quirinale, che lo ha incaricato di rogare al popolo di dedicargli un tempio su quel colle, poiché lui era un dio e si chiamava Quirino78.
[23] Dopo la morte di Romolo, gli ottimati (che formavano il senato di Romolo, che li aveva onorati concedendo il titolo di Padri a loro e di patrizi ai loro discendenti) tentarono di governar lo Stato senza re. Il popolo si oppose e, da tanto che rimpiangeva Romolo, non cessò di chiedere un re. Saggiamente allora gli ottimati escogitarono l'istituto dell'interregno79, nuovo e sconosciuto agli altri popoli, finché non fosse eletto un re stabile. Così la città né sarebbe rimasta senza un re, né sotto un re destinato a durare; né c'era il rischio che uno, per avere tenuto a lungo il potere, divenisse restio a cederlo o tanto forte da poterlo conservare.
[24] Così un popolo giovane capì ciò che non capì lo spartano Licurgo, che pensò non di elegger un re (benché avrebbe potuto farlo) bensì accettarne uno qualunque purché discendente dalla stirpe di Eracle80. Invece, benché ancora contadini, i nostri pensarono che occorresse cercare virtù e saggezza sortali di un re anziché progenie.
[25] E poiché in tali doti aveva fama d'ecceller Numa Pompilio81, messi da parte i suoi concittadini e autorizzato dai Padri82, il popolo chiamò un re straniero, un sabino, che venne da Curi a Roma. Costui propose una legge nei comizi curiati relativa ai suoi poteri83, benché il popolo l'avesse già designato re nei comizi curiati stessi. Accortasi inoltre che i Romani, seguendo le istituzioni di Romolo, erano troppo bellicosi, pensò di dover opportunamente distoglierli da quella consuetudine84.
[26] Anzitutto Numa divise a testa fra singoli cittadini le terre conquistate in guerra da Romolo85, ed insegnò loro che coltivando i campi, senza darsi a prede e saccheggi, potevano procurarsi tutte le comodità. Ed infuse loro l'amore per la pace, mercé cui si rafforzano la lealtà e la giustizia86 e sono protette la coltura dei campi e la raccolta delle messi87. Inoltre, instituiti gli auspici maggiori88, Numa aggiunse due àuguri al numero precedente89, premise ai riti 5 pontefici scelti fra gli ottimati90 e, come attestato da leggi trascritte nei Monumenti91, mitigò con cerimonie religiose l'ardore pugnace dei suoi sudditi. Aggiunse poi i collegi dei Flamini92, dei Salii93, delle vergini Vestali94 e sancì una disciplina per tutte le pratiche del culto.
[27] Infatti prescrisse molti particolari da osservare perfettamente nei riti; ma volle che l'apparato fosse semplice e non comportasse spesa. Così: promosse i riti sacri (ma ne eliminò il lusso); e istituì mercati95, giochi, tutte le occasioni di riunirsi. Con queste istituzioni, Numa richiamò all'umanità e alla mansuetudine quegli animi inaspriti dalla passione della guerra. Come dice il nostro POLIBIO (lo storico più diligente nelle ricerche cronologiche96), Numa morì dopo aver regnato 39 anni in grande pace e concordia, avendo consolidato i due fondamenti più preziosi per la durata di uno Stato: religione e clemenza.
[28] ⋮[Che Numa fosse allievo di Pitagora] è falso. Nonché inventato, è assurdamente inventato97; e la menzogna insopportabile è quella che, nonché inventata, neppure ha avuto la possibilità di accadere. Pitagora venne a Sibari, Crotone98 e in altre città dell'Italia meridionale quando Tarquinio il Superbo regnava già da 4 anni (ché la 62ª Olimpiade comprende l'inizio del regno di Tarquinio e l'arrivo di Pitagora in Italia99).
[29] Calcolando la durata della monarchia, si deduce che Pitagora toccò per la prima volta l'Italia circa 140 anni dopo la morte di Numa100: né di ciò hanno dubitato coloro che fecero indagini cronologiche accurate.
[30] Che le istituzioni romane siano il frutto di virtù originali e patrie (anziché d'oltremare) apparirà perspicuo considerando con quale naturale procedimento lo Stato è giunto alla perfezione. L'opera dei nostri antenati è degna di lode soprattutto perché resero migliori molti elementi desunti da altri paesi, più di quanto fossero colà donde qui furono importati. Infatti il popolo romano non si rafforzò certo per caso, bensì per senno e disciplina (benché senza avversa sorte).
[31] Morto il re Pompilio, su rogazione dell'interre il popolo creò re nei comizi curiati Tullo Ostilio, che come il suo predecessore consultò il popolo nei comizi curiati sul proprio comando101. Di lui rimasero esimia gloria militare e grandi imprese di guerra102. Col denaro ricavato dal bottino di guerra fece costruire e recintare il comizio103 e la curia104. Stabilì e sancì col rito feziale il diritto che regola le dichiarazioni di guerra105, che introdusse giustamente onde fosse ritenuta ingiusta ed empia ogni guerra che non fosse stata intimata e dichiarata. E perché capiate, come i nostri re, che alcune cose devono essere di pertinenza del popolo (e su ciò dovrei parlare a lungo) aggiungo che Tullo Ostilio non osò assumere le insegne regali senza chiedere l'autorizzazione al popolo. Infatti, per poter farsi precedere da 12 littori coi fasci [e attribuirsi la toga ricamata, la pretesta, il laticlivio, la sella curule (tutti attributi dei re etruschi che aveva vinto), interpellò il popolo. Ed avendoglieli il popolo concessi, fece uso di questi ornamenti per il resto della sua vita].
[32] [Infine Tullo Ostilio morì colpito da un fulmine, ma non si ritenne che con tale morte fosse accolto fra gli dèi. I Romani non vollero estendere a tutti, cioè svilire, quanto accettato con convinzione per Romolo, attribuendolo con facilità pure ad un altro].
[33] Dopo Tullo Ostilio, il popolo elesse re Anco Marcio106, nipote di Numa da parte di figlia. Pure ei propose de imperio suo legem curiatam. Vinti in guerra i Latini107, concesse loro la cittadinanza romana. Aggiunse poi alla cinta della città i colli Aventino e Celio108, divise i territori conquistati, incorporò nel demanio le selve litoranee109, e fondò una città alla foce del Tevere, dove inviò coloni110. Morì dopo 23 anni di regno.
[34] E qui per la prima volta, per una sorta d'innesto di civiltà, la città si affinò culturalmente. Infatti affluì dalla Grecia non un tenue rivolo, ma un gran fiume di arti e di scienze111. Si narra infatti che il corinzio Demarato112 (primo fra i suoi concittadini per onori, autorità e fortune) non potendo tollerar la tirannia di Cipselo113 fuggisse da Corinto con molte ricchezze e riparasse a Tarquinia114, città floridissima dell'Etruria. Saputo poi che Cipselo consolidò il suo dominio, quell'uomo forte e libero scansò la sua patria, e divenne cittadino di Tarquinia ove fissò la sua residenza. E poiché aveva avuto due figli115 da una donna tarquiniese, li istruì in tutte le arti secondo l'usanza greca. [Morti poi Demarato e il suo figlio maggiore, tutto il patrimonio passò al minore che, poiché gli Etruschi disprezzavano la sua discendenza da un esule straniero, su consiglio della moglie Tanaquilla emigrò a Roma con un ingente sostanza].
[35] Ottenuta facilmente la cittadinanza romana per le sue umanità e cultura, divenne così intimo del re Anco da esser reso partecipe d'ogni suo disegno e quasi un socio del suo regno. Inoltre c'era in lui grande affabilità e somma bontà verso ogni cittadino (nell'appoggiare, aiutare, difendere, elargire). Così, morto Marcio, fu creato re all'unanimità dal popolo Lucio Tarquinio (che aveva mutato così il suo nome greco116 per imitare in tutto le usanze della patria adottiva117). E, presentata la legge dei suoi poteri, ei raddoppiò il pristino numero dei Padri118, e chiamò i Padri originali “Padri delle genti maggiori” (che consultava per primi) e i Padri da lui nominati “Padri delle genti minori”119.
[36] Dipoi ordinò la cavalleria nel modo che ancora oggi si conserva, ma non poté, come desiderava, mutare i nomi dei Tizii, dei Ramnesi e dei Luceri per l'opposizione del famoso augure Atto Navio120. È noto che pure i Corinzi ebbero cura di assegnare e di nutrire i cavalli dell'esercito imponendo tributi agli orfani e alle vedove121. Ma Tarquinio, aggiungendo nuovi squadroni al numero dei precedenti, raddoppiò le forze della cavalleria, portandola a 1800 cavalieri122. Vinse poi in guerra i fieri Equi (una minaccia per il popolo romano) e dopo aver rotto l'assedio dei Sabini123), li disperse con la cavalleria e li sconfisse. Istituì infine i ludi magni (detti ludi romani124), e durante la guerra contro i Sabini fece voto di costruire sul Campidoglio un tempio a Giove Ottimo Massimo. Morì dopo 38 anni di regno [616-578 a.C.].
[37] Si dice che, per la prima volta senza una deliberazione popolare, assunse il regno Servio Tullio125, figlio d'una schiava Tarquiniese e di un cliente del re. Allevato fra i servi ed assistendo ai banchetti del re, era tanto pronto in ogni discorso e in ogni incarico, da rilevar fin da fanciullo la scintilla dell'ingegno che brillava in lui126. Perciò Tarquinio, i cui figli erano ancora piccoli127, diligeva Servio sì da farlo ritener suo figlio. Inoltre Tarquinio istruì Servio con somma cura in quelle arti che lui stesso aveva appreso secondo le raffinate consuetudini greche.
[38] Quando poi Tarquinio morì, ucciso dai figli di Anco128, Servio Tullio iniziò a regnare per volontà e consenso dei cittadini (non per deliberazione popolare, come già dissi) perché, dicendo falsamente che Tarquinio era ancora vivo benché ferito, in abiti regali Servio aveva pronunciato sentenze, aiutato con denaro proprio i debitori insolventi. Avendo fatto credere con la sua affabilità di render giustizia a nome di Tarquinio, non si affidò ai Padri bensì (dacché il re fu sepolto) ei direttamente consultò il popolo. E, avuto l'ordine di regnare, propose ai comizi curiati la legge curiata del suo comando. E anzitutto si vendicò in guerra delle offese degli Etruschi129; così [occupato un estesissimo territorio tolto ai Cerretani, ai Tarquiniesi, ai Veienti, lo divise fra chi ebbe appena ricevuto la cittadinanza].
[39] [Stabilì poi il censo, istituzione utilissima per uno Stato destinato a tanta grandezza, in modo che gli obblighi militari e civili non fossero assegnati individualmente come prima, bensì proporzionalmente al patrimonio. Formò 80 centurie di quelli che avevano almeno 100.000 sesterzi, 40 di seniori e 40 di iuniori. A queste aggiunse 18 centurie di cavalieri] di censo massimo130. Tolti i cavalieri dal computo, Servio Tullio distribuì la restante popolazione in 5 classi131 (ognuna scissa in seniori e iuniori), e divise le classi in centurie in modo che i locupleti disponessero d'un maggior numero di voti (per centuria) e i più non avessero peso preponderante (principio di particolare importanza in una costituzione!). Non illustro tale divisione132 in centurie perché già la sapete; ma vedetene la ratio: le centurie dei cavalieri (con le 6 primitive133) e della Iª classe e la centuria dei falegnami (aggiunta per la loro grande utilità) fanno in tutto 89 centurie134. E se a queste si aggiungono 8 delle restanti 104 centurie, si ottiene già la maggioranza assoluta nelle votazioni [97 su 193]. Così Servio Tullio fece sì che la restante popolazione (molto più numerosa e distribuita in 96 centurie) né fosse esclusa dal voto (o ci sarebbe tirannia), né ottenesse la preponderanza (o ci sarebbe pericolo)135.
[40] Nella divisione delle classi Servio fu accurato pure nella scelta dei nomi: chiamò assidui i locupleti (poiché obbligati al tributo di un asse136); e proletari quelli che non possedevano più di 1500 assi137 o erano addirittura nullatenenti (come se da essi la città si aspettasse solo la prole, cioè la speranza d'esser continuata)138. In una sola di quelle 96 centurie erano censiti quasi più cittadini che in tutta la prima classe139. Così nimo era escluso dal voto, ma contava di più il voto di chi aveva in cale che allo Stato restasse la migliore costituzione. Inoltre, i soldati della riserva (disarmati), i suonatori di tromba e di corno, i proletari [tenuto conto della loro funzione militare, avevano nei loro suffragi più efficacia dei fuori classe. Questa costituzione serviana portò un temperamento ai poteri del re, degli ottimati, del popolo; senza tuttavia lasciar prevaler un eccessivo dominio delle plebi, e ponendo nelle mani degli ottimati il nerbo dello Stato, la funzione deliberativa].
[41] La costituzione mista è la migliore per uno Stato, e risulta dall'equilibrato temperamento delle tre forme di governo (monarchia; aristocrazia; democrazia) senza irritare, punendo, l'animo ancora feroce e incolto.
[42] Una costituzione mista ebbe Cartagine, fondata 65 anni prima di Roma e 38 anni avanti la 1ª Olimpiade. E Licurgo, vissuto in epoche più antiche, fondò suppergiù su tali principi la sua costituzione. Comune perciò a noi e a quei popoli parmi tale distribuzione di poteri e tale fusione delle tre primitive forme di governo. Ma con maggior precisione, se possibile, esporrò ciò che è caratteristico del nostro Stato, di cui nulla potrebbe essere più insigne. Elementi misti delle tre diverse forme di governo sono a Roma regia e a Sparta e a Cartagine, ma senza essere equilibrati fra loro.
[43] Infatti deve chiamarsi regno uno Stato in cui uno ha un potere perpetuo, soprattutto se regio, benché ci sia un senato (come a Roma al tempo dei re, e a Sparta con le leggi di Licurgo) e il popolo abbia qualche diritto (come da noi sotto i re). La costituzione monarchica è assai mutevole, perché le colpe di un cattivo sovrano possono facilmente farla cadere in una pericolosissima situazione. La monarchia di per sé non è un male; anzi, dovendo sceglier quale forma semplice di governo conservi meglio la sua fisionomia, non so se non debba proprio preferir la monarchia ad altre forme. Ma la sua fisionomia consiste nella sapienza dell'uomo che detiene il potere a vita che tuteli l'incolumità, l'uguaglianza e la tranquillità dei cittadini. Ma di certo, al popolo sotto un re manca la libertà, che non consiste nell'avere un buon padrone, ma nel non averne affatto.
[44] [Proprio l'ottimo regno di Servio mostra come la monarchia non sia una costituzione temperata, bensì la più soggetta a degenerare, dipendendo dall'indole di uno solo. Infatti, morto Servio, il popolo subì l'aspro carattere di Tarquinio il Superbo. Ei volse la monarchia in una tirannide che, considerando i suoi meriti di guerra, i Romani] tolleravano. E per qualche tempo la sorte fu propizia alle imprese di questo re ingiusto e crudele140. Infatti sconfisse in guerra i Latini, conquistò Suessa Pomezia, pingue e ricca città. Con l'immenso bottino d'oro ed argento, adempì al voto di suo padre con la costruzione del tempio sul Campidoglio141. Fondò pure colonie142 e, secondo le costumanze dei Greci dai quali discendeva, inviò al santuario di Apollo a Delfi magnifici doni, quali primizie dei suoi bottini143.
[45] È QUI CHE INIZIÒ L'ANACICLOSI144, di cui dovete conoscer tutto lo svolgimento naturale dall'inizio. Scopo della scienza politica (oggetto della nostra discussione) è infatti vedere il cammino e le deviazioni degli eventi pubblici per poterli trattener o prevenir quando si sappia che direzione prendano le vicende politiche. Il re di cui parlo, Tarquinio il Superbo, che si macchiò del sangue del suo ottimo predecessore145, non era in pieno senno e (temendo la punizione del suo delitto) voleva esser temuto. Poi, confidando nelle vittorie e nelle ricchezze, ruppe ogni freno alla sua prepotenza e non seppe più fermare i suoi malcostumi né le dissolutezze dei suoi.
[46] Così quando il figlio maggiore S. Tarquinio recò violenza a Lucrezia (figlia di Tricipitino e moglie di Collatino146), e questa nobile e pudica donna si uccise per l'offesa, allora Lucio Bruto147(uomo insigne per ingegno e per virtù) liberò i suoi concittadini dall'iniquo giogo di dura servitù. Pur essendo un privato, sostenne tutto il peso dello Stato, e per primo a Roma insegnò che nella difesa della libertà dei cittadini nimo è solo un privato. Incitata e guidata da lui148, per il recente dolore del padre e dei parenti di Lucrezia e per il ricordo della superbia e delle molte prepotenze di Tarquinio e dei suoi figli, la città si sollevò e esiliò il re, i suoi figli e tutta la gente dei Tarquini. [509 a.C.!]
[47] Vedete come da un re sorga un despota e come la forma di governo buona muti in pessima per colpa di uno solo? Tale è il despota del popolo che i greci chiamano tiranno. Invece chiamano re chi come un padre provvede al suo popolo e assicura ai sudditi il maggior benessere. Come dissi, la monarchia è una forma di governo buona di per sé, ma pure incline anzi precipite verso una forma peggiore.
[48] Infatti dacché un re diventa ingiusto, nasce il tiranno, di cui non c'è mostro più tetro e fedo, né più inviso agli dei e agli uomini, che pur avendo figura umana supera in disumanità le bestie più feroci. Chi potrebbe correttamente chiamare uomo chi non riconosce fra sé e i suoi concittadini alcuna comunanza del diritto, né il vincolo societario che è proprio dell'umana natura149? Ma sulla tirannia parleremo più a lungo quando parleremo contro coloro che in uno Stato libero aspirano al regno.
[49] Ecco l'origine del tiranno: sì i Greci chiamano un re ingiusto. Invece i nostri chiamano re chi esercita il potere a vita e da solo: perciò si dissero aspirare al regno Spurio Cassio150, M. Manlio151, Spurio Melio152, e recentemente Tiberio Gracco153.
[50] Licurgo nominò a Sparta la gerusia: un consiglio di 28 anziani (numero davvero troppo limitato) che avevano il potere deliberativo, mentre al re spettava il potere esecutivo. I nostri, seguendo l'esempio e traducendo il termine “gerusia” chiamarono senato: un consiglio di coloro che Licurgo aveva appunto chiamato geronti (senatori), come già fece Romolo quando elesse i “padri”154. Ma, la forza, il potere e il nome di re dominano. Rendi pure anche il popolo in qualche misura partecipe del potere (come fecero Licurgo e Romolo), ma non saziarlo di libertà; accendigli il desiderio di libertà dandogliene solo un assaggio. Ci sarà sempre il pericolo che sorga un re ingiusto, come perlopiù accade. Fragile è infatti la sorte del popolo che è riposta sul volere e sui costumi di un uomo solo.
[51] Così la prima forma e origine della tirannia è quella da noi riscontrata nello Stato che Romolo fondò secondo gli auspici (non quella raffigurata da Socrate in Platone155). Tarquinio rovinò la costituzione monarchica servendosi male del potere che già deteneva (non aggiungerne uno nuovo). A questa figura di tiranno opponiamo quella del sovrano giusto e saggio (conoscitore di che cosa rechi dignità e utile alla sua città; e quasi tutore e procuratore dello Stato). Così sia chiamato chi sarà reggitore e CIBERNETA della città, e sappiate riconoscerlo: è colui che protegge la città col consiglio [gnome] e con l'opera. Poiché finora non l'abbiamo nominato, ma nel resto del nostro discorso dovremmo spesso trattare questa figura di uomo politico [è necessario illustrare le funzioni dei magistrati e gli offici del sommo magistrato (che dovrà aver facoltà di trattare col popolo e col senato). Questa distinzione dei poteri fu stabilita dai nostri antenati con grande saggezza e senso della misura].
[52] [Invece Platone volle subito distinti luoghi e sedi per i cittadini] e ci propose uno Stato piccolissimo156 e irreale (più desiderabile che sperabile), ma dove fossero evidenti i principi della scienza politica. Invece io cercherò di applicare quegli stessi princìpi non già ad un'ombra o immagine di Stato, bensì ad uno Stato grandissimo per indicare i motivi sia del bene sia del male pubblici (quasi toccandoli con verga). Infatti passati quei 240 anni o poco più di governo monarchico e interregno, e cacciati i Tarquini, sì grande fu l'odio del popolo romano verso i re, quanto ne era grande il desiderio dopo la morte (anzi la scomparsa) di Romolo. E come prima non poteva fare a meno del re, così ora, cacciato Tarquinio, non volle più udirne il nome. Infatti costui [determinò la caduta della costituzione monarchica, avendo annullato la facoltà di interessarsi alla cosa pubblica che la costituzione serviana aveva dato al popolo, e sostituendola col proprio arbitrio]
[53] [Fu sufficiente l'errore di un solo uomo per rovinare l'insigne costituzione di Romolo, rimasta salda per circa 240 anni, e travolger nell'avversione per l'individuo pure l'istituzione]. [Perciò non tollerando il dominio dei re, elessero due capi con poteri supremi annuali, che furono chiamati consoli da consultare e non re da regnare o domini da dominare]. [Pure nell'antica Atene ci fu un simile mutamento dopo la cacciata di Pisistrato, e fu introdotta in odio alla tirannide la legge sull'ostracismo; che solo dopo oltre un secolo] fu abrogata157. Con questa mentalità i nostri antenati cacciarono allora in esilio Collatino e tutti i Tarquini (l'uno per il sospetto che gli derivava dalla parentela benché fosse innocente; gli altri per l'avversione che il loro nome destava). Con questa mentalità P. Valerio159 sia i nostri commentari augurali mostrano che la provocatio c'era già in età regia; e molte leggi delle XII tavole indicano che valesse per ogni sentenza e pena. Pure il fatto che i decemviri incaricati di redigere quelle leggi fossero creati (come si dice) a giudicare senza provocatio, dimostra abbastanza chiaramente che non ci furono altri magistrati senza provocatio. La legge proposta dai consoli Lucio Valerio Potito & Marco Orazio Barbato [449 a.C.]160, uomini saggiamente democratici per amore di concordia, sancì di non creare più alcun magistrato senza provocatio. Né le tre leggi Porcie (presentate dai tre Porci) apportarono alcuna novità161, tranne le pene stabilite per i trasgressori.
[55] Così, fatta approvata la legge sull'appello, Publicola vietò che le scuri fossero portate sui fasci, fece eleggere come suo collega nel consolato Spurio Lucrezio162, e passò a lui i propri littori perché più anziano. Per primo stabilì pure che i littori precedessero a mesi alterni uno dei consoli, perché in un popolo libero non ci fossero insegne del potere più numerose che in una monarchia163. Uomo davvero singolare questo Publicola, perché dando al popolo una moderata libertà seppe più facilmente mantenere l'autorità degli ottimati. Non senza motivo io ricordo queste antiche e ritrite vicende politiche; perché nelle figure e negli avvenimenti del passato ben noti trovo modelli di uomini e di istituzioni utili alla mia ricerca.
[56] A quei tempi quindi il senato governò lo Stato sì che il popolo (pur essendo libero) regolasse poche cose (secondo l'autorità, la tradizione e gli usi del senato!); mentre i consoli fossero al potere solo per un anno (benché fosse potere regio di diritto e di fatto). Era rigorosamente osservata la norma (essenziale a conservare la potenza dei nobili) per cui le deliberazioni dei comizi erano valide solo se approvate dall'auctoritas patrum. In quegli stessi tempi, circa 10 anni dopo l'istituzione del consolato [499 a.C.], fu eletto pure il primo dittatore, T. Larcio, dai poteri molto simili a quelli d'un re. Eppure tutto era nelle mani dell'autorità esercitata degli ottimati, senza che il popolo si opponesse; e da quel tempo uomini fortissimi investiti dei poteri militari (dittatori e consoli) compirono grandi imprese belliche.
[57] Ma doveva naturalmente accader che il popolo liberato dai re rivendicasse per sé maggiori diritti. E accadde sotto il consolato di Postumo Cominio & Spurio Cassio, 16 anni dopo la fondazione della Repubblica. Nel che mancò la ragione, ma spesso la ragione è travolta dalla natura degli eventi. Ricordate quanto dissi all'inizio: se in uno Stato non c'è perfetto equilibrio fra diritti, doveri e funzioni (per cui ci sia potere nelle magistrature; autorità negli ottimati; libertà nel popolo) non si può conservare questo genere di costituzione mista.
[58] Infatti essendo la città turbata per i debiti, la plebe occupò prima il Monte Sacro [493 a.C.] e poi l'Aventino [449 a.C.]. Del resto, neppure la dura disciplina di Licurgo poté tenere a freno gli Spartani: infatti lì, sotto il regno di Teopompo, compaiono 5 magistrati chiamati efori164; mentre a Creta c'erano 10 regolatori chiamati cosmoi165. E come quelli erano stati creati contro la forza regia, così appo noi i tribuni della plebe furono creati contro il comando dei consoli. [Contra consulare imperium tribuni plebis [...] constituti].
[59] Forse i nostri antenati avrebbero potuto trovar un rimedio per sanare i debiti166, che non sfuggì tempo prima all'ateniese Solone167, e né poi al nostro senato, quando, per l'intemperanza d'un creditore, furono liberati gli schiavi per debiti e si cessò per il seguito di stabilirne altri168. Sempre, quando la plebe era stremata dai debiti nel corso di una pubblica calamità, si cercò nell'interesse di tutti un qualche sollievo e rimedio ai mali. Ma allora, trascurando questa saggia norma, con la creazione di 2 tribuni della plebe in seguito a una sedizione169 si offrì al popolo di limitare la potenza e l'autorità del senato. Ma essa restava tuttavia grande e forte, finché uomini saggi e forti custodivano lo Stato col consiglio e con le armi, la cui autorità era in grandissima auge perché né erano dominati dai piaceri né erano più ricchi, pur primeggiando sugli altri per onori. Proprio perché nella vita privata tutelavano diligentemente gli interessi dei singoli con opere, consiglio e denaro, allora tanto più gradita nella vita politica era la virtù di ciascuno.
[60] In tale situazione dello Stato, il questore170 accusò Spurio Cassio (in auge appo il popolo) d'aspirare al regno e lo condannò a morte col consenso del popolo (poiché il padre aveva detto d'averne accertato la colpa). Gradita fu pure la legge sulla cauzione nelle cause civili171, presentata nei comizi centuriati dai consoli Spurio Tarpeio e Aulo Aternio172, circa 54 anni dopo l'istituzione del consolato. [454 a.C.] E 20 anni dopo [430 a.C.] ché i censori Lucio Papirio & Publio Pinaro [450 a.C.] nell'applicare le multe stornarono una gran quantità di bestiame dai privati all'erario, i consoli Gaio Giulio & Publio Papirio proposero una legge che stabiliva un lieve controvalore in moneta del bestiame per permetterne il riscatto173 .
[61] Pochi anni prima [451 a.C.], quando somma era l'autorità dello Stato e il popolo ben disposto all'obbedienza, furono creati i decemviri (con sommi poteri e senza diritto di appello) per detenere il governo e dare leggi scritte, mentre consoli e tribuni della plebe deposero le loro magistrature. Quelli scrissero 10 tavole di leggi con molta equità e prudenza, e nominarono per l'anno successivo altri decemviri, che non ebbero pari lealtà e giustizia. Ma fra costoro merita grande lode G. Giulio, poiché, essendo stato disseppellito un cadavere in sua presenza nella stanza del nobile L. Sestio, gli propose il vadimonio benché contro i decemviri non fosse ammesso diritto d'appello174, dicendo di non voler trascurare la legge che vietava di decidere sulla morte di un cittadino romano se non nei comizi centuriati.
[62] Dopo 3 anni, quegli stessi decemviri restavano ancora al potere senza nominare dei successori. Ma uno Stato non può durare a lungo senza un giusto equilibrio fra le varie classi di cittadini, come ho detto spesso. Ora, tutto lo Stato erano nelle mani degli ottimati (a cui erano preposti 10 uomini delle famiglie più nobili175 ), senza opposizione di tribuni della plebe, o il controllo di altri magistrati, o il diritto d'appello al popolo contro la pena di morte e la fustigazione.
[63] Dall'ingiustizia dei decemviri sorse il massimo disordine e sconvolgimento di tutto lo Stato poiché governarono il popolo con arbitrio, durezza, avidità, aggiungendo altre 2 tavole di leggi176 che sancirono una disumanissima legge che vietava il diritto di connubio fra patrizi e plebei (di solito concesso pure a popoli diversi). Tal legge fu annullata dal plebiscito proposto da Canuleio [445 a.C.]. È noto a tutti e ricordato da molti scritti l'episodio di Decimo Virginio, che nel foro uccise la propria figlia vergine insidiata da uno dei decemviri, e si rifugiò afflitto presso l'esercito accampato sull'Algido177 . E i soldati, abbandonando la guerra in cui erano impegnati, si ritirarono armati prima sul Monte Sacro e poi sull'Aventino, come era già avvenuto in un caso simile178. [Cacciati i decemviri, fu presentata la legge del tribuno Canuleio sul diritto di connubio fra patrizi e plebei; mentre per la richiesta dei plebei, presentata dai tribuni, di accedere alle più alte cariche, si addivenne al compromesso di istituire i tribuni militari con potere consolare. E il popolo dette prova di moderazione eleggendo tribuni i patrizi, contentandosi solo d'aver conquistato quel diritto. Tale magistratura durò poco, sospesa dagli àuguri per vizio di forma nella procedura elettorale. L'anno dopo fu istituita la censura, che divenne magistratura importantissima, vigilando sulla moralità dei cittadini. In quegli anni lo scriba Gn. Flavio pubblicò il calendario giudiziario e redasse le formule dei processi.] [Seppur la plebe fece passi notevoli verso il governo della cosa pubblica, la costituzione romana seppe resistere, come quando proclamato dittatore L. Quinzio179 si impedì a Sp. Melio di instaurare la tirannide: e questo grazie alla struttura mista della costituzione, che] giudico che i nostri antenati massimamente approvarono e saggiamente vollero mantenere.
1. Polibio dà subito all'elenco dei tipi di costituzione una connotazione processuale-temporale, che nega la staticità d'ognuno. E subito cerca una convalida di tale nozione di processo biologico-storico.
Infatti in VI, 51, il ritmo “auxesis/sviluppo, crescita → akmé/culmine → phthisis/decadenza, declino” è fatto valere per: le politeiai/costituzioni; i somata/corpi; le praxeis/azioni, imprese.
«[VI, 51, 4] Ogni corpo [somatos], ogni costituzione [politeias], ogni azione [praxeos] hanno secondo natura una crescita, poi un'acme, infine un declino, ed in coincidenza dell'acme danno il meglio di sé sotto tutti i punti di vista. I sistemi politici [politeumata] romano e cartaginesi differivano così.
[5] Come lo Stato dei Cartaginesi divenne forte e florido prima dello Stato dei Romani, così Cartagine era già in declino proprio mentre Roma era all'acme (almeno costituzionalmente).
[6] Infatti a Cartagine il popolo aveva già rilevato il potere maggiore nelle deliberazioni; invece a Roma lo esercitava ancora il Senato.
[7] Se a Cartagine deliberavano i più e a Roma i migliori, allora le decisioni dei Romani sulle questioni politiche erano più valide.
[8] Così, dopo aver subito completi disastri, infine i Romani prevalsero sui Cartaginesi nella guerra per la validità delle loro decisioni».
Insomma, per Polibio il concetto di “phisis” è fisico & storico. La natura è una metafora del tempo, anzi è il tempo nel senso più generale e più “greco” (la parabola nascita, sviluppo, declino).↩
2. Ivi Polibio dice che la costituzione mista romana si è realizzata (travagliosamente) esattamente secondo la teoria dell'anaciclosi esposta, come doveva mostrare l'esposizione dell'origine di Roma di cui restano solo frammenti denominati “archaeologia” [VI 11a] da Johannes Schweighaeuser nel '700.↩
3. Successioni di costituzioni sono in Platone (monarchia/aristocrazia → timocrazia → oligarchia → democrazia → tirannide) e Aristotele (monarchia → aristocrazia oligarchia → tirannide→ democrazia). Mentre la teoria biologica delle costituzioni (nascita; crescita; declino) è comune in Grecia; e nell'ellenismo ha soprattutto una connotazione stoica. ↩
4. Polibio vuole far un discorso sulle metaboli costituzionali solo nella misura utile per i lettori (di storia pragmatica), senza l'accuratezza teorica di Platone.↩
5. Non è chiaro se il rimando sia alla sezione immediatamente seguente [VI, 5,4 - 9,14] ovvero all'archaeologia [VI, 11a] ovvero alla conclusione della dissertazione sullo stato dei romani [VI, 57].↩
6.
«C'è del vero nelle antiche tradizioni orali circa flagelli che a più riprese sterminarono gli uomini sotto forma di inondazioni, epidemie e tante altre calamità; nel corso dei quali solo una piccola parte degli uomini sopravvisse» [Platone: Leggi III, 677].↩
7. Che la debolezza formi le società risale a Democrito, ma certo è nei sofisti e in Platone.
«All'inizio gli uomini abitavano in insediamenti sparsi, senza città. Così morivano uccisi dalle fiere poiché erano affatto più deboli. Avevano un'arte artigiana bastevole a procurarsi il cibo, ma non alla guerra contro le fiere. Infatti non possedevano ancora l'arte politica, di cui l'arte della guerra è parte. Così cercavano di unirsi e di salvarsi fondando città» [Platone: Protagora, 322b]. ↩
8. Cicerone [Lo Stato II, 2, 4] attribuisce a Romolo forza fisica e fierezza d'animo, proprio le virtù sortali del monarca originario secondo Polibio (forse citando un passo perduto dell'archaeologia).↩
9. Polibio usa con ambiguità il termine monarchia, a volte per indicar solo la forma negativa di governo, altre volte per indicar ogni forma di potere personale. E la monarchia naturale rompe lo schema dei 6 tipi di costituzione (regno & tirannide; aristocrazia & oligarchia; democrazia & oclocrazia). Forse Polibio è costretto a seguire il lessico di una sua fonte.↩
10. Theoria (visione) e ennoia (idea) sono sinonimi usati insieme secondo una dittologia sinonimica (per epifrasi: aggiunta di parole che amplia o specifica il significato), ricorrente nello stile polibiano.↩
11. Il primo mutamento costituzionale (dalla monarchia originaria al regno) non richiede il passaggio di potere da un individuo all'altro; basta la trasformazione della natura (riconosciuta) del suo potere.↩
12. Polibio spiega il principio dinastico con un richiamo all'educazione che i discendenti del sovrano giusto dovrebbero aver ricevuto.↩
13. Pur spiegando l'anaciclosi come susseguirsi necessario di costituzioni, Polibio è consapevole dell'importanza dei moventi economici dell'espansione territoriale (assicurare l'abbondanza di risorse).↩
14. Nella Atene del IV sec. a.C. e nella Roma del I sec. a.C., il passato idealizzato è l'epoca in cui nimo viveva diversamente dal resto dei concittadini. Il lusso era solo nella sfera pubblica (sontuosità):
«Perché parlar di Marco Marcello che prese Siracusa, città ricchissima di opere d'arte? E di Lucio Scipione che combatté in Asia e vinse Antioco, un re potentissimo? E di Flaminino che sottomise il re Filippo e la Macedonia? E di Lucio Paolo che sconfisse il re Perseo colla sua forza e col suo valore? E di Lucio Mummio che distrusse Corinto, splendida e ricchissima di opere d'arte, e ricolma d'ogni bene; e sottomise al dominio e all'autorità dei Romani molte città dell'Acaia e della Beozia? Le case di questi condottieri erano adorne di onore e di virtù, ma spoglie di statue e dipinti; invece vediamo adorni dei loro doni e dei loro monumenti Roma, i templi degli dei, ogni parte d'Italia» [Cicerone: Verrine II,1,55]. ↩
15. Il riferimento più chiaro pare lo stupro di Lucrezia che causò la rivolta contro il re Tarquinio il Superbo [509 a.C.!]. Ma Polibio o le sue fonti possono riferirsi pure all'Atene dei Pisistratidi.↩
16. Per Polibio, una tirannide non è un regime duraturo (per l'invidia contro il lusso; l'ostilità contro la distinzione; l'ira contro gli abusi sessuali). Se dura due generazioni è così eccezionale da annotare.↩
17. Again, il riferimento pare essere la cacciata dei Tarquini, guidata da membri della stessa famiglia reale (Lucio Giunio Bruto, nipote del re Tarquinio; Tarquinio Collatino, pronipote di Tarquinio Prisco).↩
18. Non è chiaro se Polibio voglia dire che l'assenza di uguaglianza politica e libertà di parola nell'oligarchia sia propria di ogni tipo corrotto di costituzione ovvero sia solamente anteriore alla democrazia.↩
19. L'insistenza sugli abusi sessuali può dipendere dall'analogia fra la fine della tirannide dei Tarquini (riuscito stupro di Lucrezia) e la fine del decemvirato (tentato stupro di Virginia).↩
20. Chiara affermazione del razionalismo di Polibio: ad azioni e cause analoghe seguono reazioni ed effetti analoghi.↩
21. Nello sviluppo costituzionale romano, è il caso di Virginio e Icilio (padre e fidanzato di Virginia minacciata da uno dei decemviri).↩
22. Dei decemviri, Appio Claudio e Spurio Oppio si uccisero; gli altri si recarono in esilio.↩
23. Isegoria (diritto di parola spettante a tutti; cioè uguaglianza fra cittadini) e parresia (libertà di parola, cioè diritto di parlare di qualsiasi cosa) sono i predicati sortali della democrazia.↩
24. In II, 21,2, Polibio fa lo stesso discorso per la dimenticanza degli orrori della guerra. È un tema centrale nelle Storie che la conoscenza del passato sia importante per l'azione politica corretta.↩
25. La cheirocrazia (da kheirós: mano) non pare descrivere la degenerazione della democrazia Roma, bensì gli Stati greci. Ma forse Polibio sta facendo una profezia sul corso degli eventi futuri. Notare che il plethos corrotto dai demagoghi è soggetto all'apotheriosis (apoteriosi, mutazione in bestia) che lo riporta al punto di partenza dell'anaciclosi: lo stato ferino. ↩
26. La legge della natura è la legge generale della concezione greca di tempo: tre momenti (nascita; maturazione; decadenza) connessi a un quarto (rinascita).↩
27. La costituzione mista non è garanzia di durata eterna. Può solo ritardare il moto dei vari elementi costituzionali fra i quali cerca di mettere equilibrio.↩
28. La costituzione attribuita a Licurgo è invero il risultato di una lenta elaborazione fra il IX e il VI sec. a.C. Essa durò fino alla riforma di Cleomene III (III sec.). «Licurgo sta alla legislazione spartana come Omero alla tradizione epica: se ci sono stati storicamente personaggi di questo nome, sono solo un momento di un processo complesso, che investe più individui» [Domenico Musti]. ↩
29. Una buona costituzione mista deve adottare solo i tratti migliori di ogni tipo semplice di costituzione.↩
30. L'antiploia (navigazione controcorrente) è il principio con cui Polibio condurrà l'analisi dei poteri a Roma (consoli; senato; popolo): l'equilibrio fra i diversi elementi presenti in una costituzione mista.↩
31. A Sparta c'erano 2 re: uno scelto nella casata degli Agiadi; l'altro scelto nella casata degli Euripontidi; le quali si diceva discendere da Eracle.↩
32.
«[1] Del resto da qualche anno a Roma era sorto l'uso del conflitto fra partiti e fazioni (con tutte le sue conseguenze negative) in seguito alla pace e alla disponibilità di quei beni che gli uomini considerano fondamentali. [2] Prima della distruzione di Cartagine popolo e senato amministravano insieme lo Stato con serenità e moderazione, senza rivalità fra i cittadini per il prestigio e il potere: il metus hostilis teneva il popolo dedito ad attività oneste. [3] Ma appena quel timore cadde dagli animi, subentrarono sfrenatezza e arroganza (vizi che il benessere favorisce inevitabilmente). [4] Così la pace che tanto desiderarono nelle avversità risultò più dura e gravosa dei pericoli. [5] Infatti la nobiltà iniziò a volgere in arbitrio la propria dignità, il popolo la propria libertà; ognuno cercava di avvantaggiarsi, di trarre profitto, di arraffare. Così tutto fu diviso fra due partiti; e lo Stato nel mezzo fu lacerato. [6] I nobili erano più forti ché compatti; la forza della plebe era inferiore, disunita e dispersa nella massa. [7] In pace e in guerra si viveva secondo l'arbitrio di pochi che controllavano l'erario, le province, le magistrature, gli onori e i trionfi. Sul popolo gravano il servizio militare e la miseria. I comandanti dividevano il bottino di guerra con pochi. [8] Intanto i genitori e i figlioletti dei soldati, se abitavano vicino a un personaggio potente, venivano scacciati dalle loro terre. [9] Così, insieme al potere, si diffuse l'avidità senza freno né moderazione, che contaminò e devastò ogni valore, senza alcun riguardo né scrupolo morale, finché fu causa della propria rovina. [10] Infatti, appena apparve nel partito dei nobili chi preferiva la vera gloria a un potere iniquo, la città si destò e la discordia civile si manifestò come un terremoto» [Sallustio: La guerra giugurtina, 41]
«Quando i Persiani attaccarono i greci e pressoché tutta l'Europa, [...] come un padrone c'era in noi l'aidos [pudore; timore divino] in base al quale volevamo vivere da schiavi delle leggi vigenti» [Platone: Leggi III, 698b].
«Una reciproca solidarietà era suscitata negli Ateniesi dalle paure dei Persiani e delle leggi vigenti (l'ultima per il fatto di esser asserviti alle norme stabilite: nei discorsi di prima la si è chiamata aidos)» [Platone: Leggi III, 699c].↩
33. Nell'apella (assemblea dei cittadino-soldati di Sparta, composta dai maggiori di 30 anni), il demos non aveva potere di controproposta, ma probabilmente diritto di parola, di moderata discussione.↩
34. Per Polibio, la gerusia (assemblea degli anziani, composta da 28 membri maggiori di 60 anni, eletti a vita dal popolo, e dai 2 re) è l'elemento aristocratico della costituzione mista spartana. ↩
35. La “parte” soccorsa se indebolita è la monarchia. Il ruolo d'equilibrio della gerusia è soprattutto opera di conservazione, d'opposizione a ogni proposta d'allontanamento dai costumi tradizionale.↩
36. La costituzione mista si contrappone alle costituzioni semplici per la durata. Ma pure nella costituzione licurghea è connaturato il germe della decadenza, benché resista per un tempo maggiore.↩
37. La libertà degli Spartani va dalla fine del IX sec. a.C. al 146 a.C. Ma, per Polibio, l'involuzione del sistema di governo spartano iniziò dalla sconfitta di Leuttra [371 a.C.] contro i Tebani.
«Sparta, dopo la sua fondazione da parte dei Dori che l'abitano, dai tempi più antichi ebbe buone leggi e fu sempre libera da tiranni (benché sia stata in preda alla lotta civile per il periodo più lungo di cui abbiamo conoscenza): sono circa 400 anni, o poco più, prima della fine della guerra [del Peloponneso], che i Lacedemoni hanno la stessa costituzione; per questo sono diventati potenti e hanno sistemato pure gli affari delle altre città» [Tucidide I, 18,1]
«[12] Gli Spartani, a partir dalla legislazione di Licurgo, godettero di un'eccellente costituzione ed ebbero un'enorme potenza fino alla battaglia di Leuttra [371 a.C.]. Poi la loro fortuna si volse nella direzione opposta, e la loro costituzione inclinò sempre più verso il peggio. [13] Alla fine sperimentarono moltissime pene e discordie intestine, lottarono contro moltissime redistribuzione di terre [anadasmoi] e prescrizioni, sperimentarono un'amarissima schiavitù fino alla tirannide di Nabide [207-192 a.C.], loro che prima non avevano potuto sopportare neppure il nome di tirannide» [Polibio IV, 81]. ↩
Cicerone riporta allo anadasmos (programma di redistribuzione della terra), prima di Agide IV e poi Cleomene III, l'inizio delle discordie che segnarono il crollo della superlativa costituzione spartana:
«Fu per tale genere d'ingiustizia che gli Spartani cacciarono via l'eforo Lisandro e condannarono a morte il re Agide [241 a.C.] (cosa mai accaduta appo loro). Da allora sorsero fra loro discordie sì gravi che si affermò alla tirannide» [Cicerone: Doveri II, 80].
38. Gli uomini possono migliorarsi o attraverso la riflessione sulle sventure altrui o attraverso le proprie sventure. Licurgo istituì la costituzione mista ablabos (innocentemente; senza danno). Invece i Romani istituirono la costituzione mista attraverso le loro lotte (agon), vicende (pragmata), sciagure (peripeteiai); un metodo sconsigliabile perché doloroso ma più enargesteron (evidente).
«Catone il vecchio soleva ripetere che la costituzione romana era superiore alle altre, perché i fondamenti di queste furono poste da singoli personaggi (come Minosse a Creta; Licurgo a Sparta; Teseo, Draone, Solone, Clistene e molti altri ad Atene soggetta spesso a mutamenti politici, finché, esangue e stremata, non le dette nuova linfa il sapiente Demetrio di Falero), mentre il nostro Stato si è costituito grazie all'ingegno di molti anziché di uno, e nel corso di varie generazioni e di epoche anziché durante una sola vita umana» [Cicerone: Lo Stato II, 1, 2]. ↩
39. Poiché del testo di Polibio sulle origini di Roma restano pochi frammenti denominati archaeologia da Johannes Schweighaeuser nel '700, avvalersi del testo di Cicerone (non esente da altre mutilazioni, compensate fra parentesi quadre []) è operazione condannata da taluni a causa dell'innegabile originalità di quest'ultimo, ma se il testo perduto di Polibio correlava le tappe dell'evoluzione costituzionale romana con l'anaciclosi, allora non è inutile indicare gli elementi del discorso di Cicerone che rimandano alla teoria dell'anaciclosi.↩
40. La credenza di discendere da uno degli dèi più venerati è comune pressi popoli arcaici. Appo gli italici era grande la venerazione per Marte (prima dio dei seminati; poi dio della guerra).↩
41. Di Remo resta il ricordo solo nella Remuria dell'Aventino e nell'agro Remurino. La sua leggenda (nata nel IV sec. a.C. per spiegare la diarchia consolare) non serve a Cicerone per spiegar la costituzione romulea. ↩
42. Nella tradizione albana (Fabio Pittore) i fondatori di Roma provenivano da Alba, fondata da Ascanio, figlio di Enea ed emigrato da Lavinio. Nella tradizione troiana (Nevio; Ennio) Romolo era nipote di Enea, nato dalla figlia Ilia; e alla sua nascita Amulio, re d'Alba, dominava nel Lazio (avendo cacciato il fratello primogenito Numitore).↩
43. Per segnare lo spazio della sovranità (imperium domi) con il consenso divino, la fondazione della città richiede il seguente rito religioso. L'aruspice (da haru spicere: osservare la vena, cioè le viscere) delimita col lituo (pastorale) un templum: un campo nel cielo per l'osservazione degli auspici (da aves spicere: osservare gli uccelli), fatto come segue. Il templum era un quadrato dagli angoli corrispondenti ai punti cardinali, attraversati da due rette perpendicolari: cardo (direzione nord-sud) e decumano (direzione est-ovest). Lo spettatore posto all'incrocio di cardo e decumano con le spalle a settentrione ha: dietro di sé la parte postica (spazio a nord del decumano); davanti a sé la parte antica (a sud del decumano); a sinistra-est la parte familiare (dove risiedevano gli dèi benevoli); a destra ovest la parte ostile (gli dèi ostili o ctoni). L'intersezione di cardo e decumano ripartiva la volta celeste in 4 quadranti, ognuno a sua volta suddiviso in 4 parti a raggiera. Così il cielo constava di 16 settori in tutto: ognuno è la sede di una divinità diversa. Da sud in senso orario: Fuflus, Selvans, Letham, Tluscv (parte antica & ostile); Cel, Cvl, Vetis, Cilens (parte postica & ostile); Tin (3 settori), Uni (parte postica & familiare); Tecum, Lvsa, Nethuns, Cautha (parte antica & familiare). La posizione dei segni che si manifestano in cielo (fulmini, volo di uccelli, apparizioni prodigiose) indica da qual nume proviene agli uomini il messaggio e se esso è fas (di buono augurio) o nefas (di cattivo augurio).
44. I Rutoli sulla costa laziale avevano come centro principale Ardea, a 5 km dal mare (la città più estesa nel IV sec. a.C., dopo Roma). Nell'Eneide, i Rutoli si oppongono all'insediamento di Enea.↩
45. Sono chiamati Aborigeni (con un nome mitico, derivante forse dalla locuzione ab origine: gli originari): i Prischi Latini (prisco è affine a prior, precedente; e primus, primo), popolazioni autoctone del Lazio.↩
46. Il possesso delle bocche del Tevere risale ad epoca molto antica; ma tutta la tradizione attribuisce ad Anco Marzio la fondazione della colonia di Ostia, che verso la metà del IV sec. a.C. ebbe l'autonomia comunale.↩
47. Cartagine e Corinto furono distrutte dai romani nel 146 a.C. ↩
48. Il tryphe (lusso) per cui nonché gli individui decadono le popolazioni è un motivo retorico peripatetico passato alla storiografia ellenistica. Gli Stati più forti si astengono dagli influssi stranieri che i commerci comportano. Ma l'avversione alla mercatura è una posizione politica (anziché morale) propria dell'aristocrazia romana, legata al possesso fondiario e alla vita militare, ma in realtà non estranea all'arricchimento. ↩
49. Cicerone scrive Phliuntios anziché Phliasios. I Fliasi sono gli abitanti dell'Argolide, il territorio fra l'Arcadia e Corinto, fra Argo e Sicione.↩
50. Gli Eniani stavano nell'alta valle del fiume Spercheo, in Tessaglia. I Dori a sud del monte Eta, nella regione compresa fra la Focide e l'Epiro. I Dolopi in Tessaglia, a nord-est degli Eniani.↩
51. In Asia minore ci sono sia Magnesia sul Meandro sia Magnesia al Sipilo. Ma per Strabone Magnesia al Sipilo in Lidia non fu colonia greca.↩
52. Gli Etruschi esercitavano la pirateria nel Tirreno e furono rivali commerciali dei Fenici.↩
53. Il centro naturale dell'antica Roma (Roma quadrata) era sul colle Palatino. Circondato da: l'Aventino a sud; il Tevere a ovest; il Campidoglio a nordovest; il Quirinale, il Viminale, l'Esquilino a nord-est. Per gli storici antichi (contro Cicerone), Romolo fortificò solo il Palatino; Tazio il Campidoglio; Tullo il Celio; Anco l'Aventino; Servio il Viminale e l'Esquilino; Numa il Quirinale. ↩
54. Fortificazioni in terra e in legno erano la difesa primitiva della piccola tribù latina stanziata sul Palatino. Non sono anteriori al IV sec. a.C. le mura in blocchi rettangolari di tufo (che la tradizione attribuisce a Servio Tullio).↩
55. La regione Lazio è caratterizzata da acque stagnanti e palude malsane portatrici di fabbri malariche.↩
56. L'etimologia di Roma è incerta. Forse viene dall'antico italico rumon (fiume). Forse da rhome (forza). Forse dall'etrusco ruma (mammella).↩
57. Conso è una divinità indigena agricola e ctonica (abissale, delle profondità terrestri), a cui erano dedicate le Consualia (21 agosto; 15 settembre; ma Augusto le trasferì al 12 dicembre) con corse di muli nel Circo.↩
58. Il circo Massimo sarebbe sorto fra l'Aventino (colle plebeo) e il Palatino (colle patrizio), dov'era l'ara del dio Conso era interrata insieme al grano.↩
59. La leggenda del ratto delle Sabine nasce per spiegare sia l'unione di Romani e Sabini sia la cerimonia del matrimonio simboleggiante il ratto della sposa (un uso ario sopravvissuto nel tempo).↩
60. Nel 290 a.C. i Sabini furono incorporati nello Stato romano e ad essi fu data la civitas sine suffragio. Nel 268 a.C. i Sabini ebbero la cittadinanza completa.↩
61. L'associazione di Tito Tazio al regno è una giustificazione leggendaria della diarchia consolare. Da Tito Tazio prese poi il nome la tribù dei Tiziensi.↩
62. Per Livio [I, 8], non per affetto bensì ab honore i senatori furono chiamati Padri (che all'inizio furono i capi famiglia dell'aristocrazia fondiaria romana che avevano compiuto il 45º anno di età). Invece erano patrizi tutti i membri dell'aristocrazia (cioè appartenenti a famiglie senatorie, discendenti dei Padri). ↩
63. Per Ennio, le 3 tribù originarie (Tiziensi; Ramnensi; Luceri) derivano da Tazio, Romolo, Lucumone; ed indicano i Sabini del Quirinale, i Romani del Palatino, gli Etruschi del Celio.↩
64. Il personaggio di Lucumone (che soccorre Romolo con truppe etrusche) è probabilmente inventato per spiegare il nome della tribù romana dei Luceri.↩
65. Curia (co-viria) all'inizio indicava il luogo di riunione; poi passò a significare il raggruppamento a base familiare che lì si riuniva per sbrigare la propria attività nel campo religioso, civile, militare.↩
66. Per Varrone, la divisione del popolo in tribù e curie è invece anteriore all'unione con i Sabini. E le curie presero il nome da capi dell'esercito o da località (non da fanciulle sabine; tranne la Rapta).↩
67. Per Livio, fu Numa a istituire l'augurato.↩
68. Clienti erano persone deboli e povere che cercavano in un patrono la difesa contro le prepotenze degli ottimati. Per Cicerone, la clientela è la plebe. Per Livio, i clienti sono a fianco dei loro patroni contro i plebei. La clientela era una struttura sociale legata ai mezzi di produzioni e all'assetto agrario della proprietà risalente al IX sec. a.C. La clientela si mantenne (con qualche trasformazione) fino all'età imperiale. In generale si trattava di un vincolo fra una parte che prometteva protezione, e un'altra parte che prestava la sua obbedienza contraendo obblighi, con un patto giurato da entrambe le parti e sancito dalla fides. ↩
69. L'etimologia di pecuniosi (i ricchi di bestiame) e locupleti (i ricchi di terreni) è evidente: pecus (bestiame) più -osus (pieno di); e locus (terreno) più plēnum (pieno).↩
70. Cicerone pare seguire l'evemerismo (secondo cui gli dei sono stati uomini divinizzati dopo la morte pei loro meriti): Romolo sarebbe morto ma per la sua virtus è stato innalzato al cielo.↩
71. Dionigi di Alicarnasso riporta varie date della fondazione di Roma [I,72]. Per Polibio (seguito da Cicerone), è il 750 a.C. Per Varrone, è il 755-754 a.C.↩
72. Se la prima Olimpiade risale al 776 a.C., allora la legislazione di Licurgo è dell'884 a.C.↩
73. Un altro Licurgo insieme ad Ifito istituì nel 776 a.C. una tregua d'armi per i giochi olimpici. Sul disco adoprato alle Olimpiadi c'era iscritto il nome di Licurgo. A confondere i due è stato Aristotele.↩
74. Per Apollodoro di Atene, Omero nacque nel 914 a.C. (trent'anni prima di Licurgo), due secoli prima della morte di Romolo.↩
75. Stesicoro (coordinatore di cori) è chiamato Tisia di Imera [630-556 a.C.].↩
76. Simonide di Ceo (zio di Bacchilide, poeta corale, rivale di Pindaro) sarebbe morto a 90 anni nella 78ª Olimpiade [468 a.C.], mentre sarebbe nato durante la 56ª Olimpiade [556 a.C.].↩
77. Così pure Livio. Invece, per Plutarco, Giulio era un patrizio albano, compagno di Romolo.↩
78. Quirino era epiteto di Giano ed eponimo dei Quiriti. Deriva o dalla città di Curi; o dalla lancia con cui erano armati i Quiriti (curis).↩
79. Interre era un senatore che nel periodo fra la morte di re e l'elezione di un altro esercitava l'imperium (comando supremo) per cinque giorni (dopo cui o nominava un altro interre o candidava un re nei comizi). Con la repubblica, gli interre erano nominati se morivano i consoli, ma dovevano essere ex-consoli. Per Livio, l'interre servì ai senatori per evitare sia l'invasione di popoli ostili sia la lotta di classe.↩
80. La diarchia ereditaria di Sparta apparteneva alle dinastie degli Agiadi e degli Euripontidi, che si facevano risalir ad Eracle. Cicerone par dir che Licurgo fosse di fronte ad una situazione di fatto.↩
81. Essendosi il regno di Numa Pompilio [715-672 a.C.] distinto per giustizia e sapienza, alcuni ne fanno derivare il prenome da nume per la sua opera di legislatore. Ma il prenome è testimoniato epigraficamente.↩
82. Auctoritas patrum è la ratifica delle deliberazioni popolari da parte del senato.↩
83. Per Cicerone, l'elezione del re nei comizi curati era un atto di sovranità popolare; ma il popolo votava senza scegliere i candidati (come poi per l'elezione dei consoli). L'eletto riceveva poi i poteri dai comizi curiati (un riconoscimento del popolo anziché dei patrizi) con la lex curiata de imperio (stabilente ogni volta quali fossero i poteri, non essendoci una costituzione scritta). ↩
84. La tradizione presenta una TIPIZZAZIONE delle figure dei sette re, caratterizzati da caratteri opposti: un legislatore (Romolo); un sacerdote (Numa, sabino); due conquistatori (sabini); tre costruttori (etruschi).↩
85. Per Dionigi d'Alicarnasso, fu Romolo a fare le prime assegnazioni viritane (cioè a testa, di dominio privato; contrapposte alle assegnazioni coloniali, di dominio pubblico) ai singoli capifamiglia poveri.↩
86. Per Plutarco, Numa Pompilio eresse templi a Fede e a Termine (protettore dei campi e dello Stato).↩
87. Che l'agricoltura mantenga l'ordine sociale secondo il mos maiorum e consenta la prosperità in tempo di pace è un motivo propagandistico dell'aristocrazia (peraltro interessata ad arricchirsi).↩
88. Gli auspici maggiori erano quelli tratti dai fenomeni più appariscenti (volo di uccelli; tuoni; fulmini), la cui interpretazione spettava al re (poi a un magistrato fornito di comando maggiore) o al pontefice massimo.↩
89. C'erano 3 àuguri sotto Romolo e divennero 5 con Numa. La Lex Ogulnia [300 a.C.] portò il numero a 9 àuguri e lo aprì ai plebei notabili (ex magistrati).↩
90. Il collegio dei pontefici era composto all'inizio da 5 membri, poi da 9, con a capo il pontefice Massimo (giudice e arbitro delle cose umane e divine).↩
91. I Manilii Monumenta (di Manio Manilio) raccolgono le leggi regali che erano confluite nello Ius Papirianum (da Gaio Papirio, pontefice massimo del 509 a.C., che riunì le registrazioni scritte).↩
92. I flamini erano sacerdoti addetti al culto di singole divinità, distinti in 3 flamini maggiori (diale; marziale; quirinale) e in 12 flamini minori. Flamen deriva dal sancrito brahman (radice brah: espressione).↩
93. I salii erano distinti in palatini e collini (ambi di 12 membri). L'1 marzo attraversavano la città danzando il tripudio, portando gli ancili (scudi sacri) e cantando gli axamenta (carmi in onore di Marte, da axare: invocare).↩
94. Le vestali (prima 4; poi 6) custodivano il fuoco sacro ed erano sepolte vive se lo lasciavano spegnere o se violavano l'obbligo di verginità (della durata di 30 anni).↩
95. Le nundinae (mercati ordinari) si tenevano ogni 8 giorni.↩
96. Solo in questo punto Cicerone indica Polibio come fonte seguita per la cronologia. Ma per Livio e Dionigi, Numa regnò 43 anni.↩
97. Per Plutarco, Numa conobbe un Pitagora spartano, vincitore nella corsa a piedi della 16ª Olimpiade [716 a.C.], che avrebbe fatto conoscere ai Romani le usanze di Sparta.↩
98. Sibari e Crotone erano colonie sulla costa ionica. Sibari distrusse Crotone nel 510 a.C..↩
99. Per Varrone, il regno di Tarquinio il Superbo iniziò nel 534 a.C. perciò Pitagora sarebbe venuto in Italia nel 532-531 a.C. (62ª Olimpiade).↩
100. Dalla morte di Numa al regno di Tarquinio intercorrono esattamente 146 anni.↩
101. Nel breve racconto sul regno di Tullo, Cicerone tace il motivo dell'elezione (essere presunto nipote di Romolo) e le guerre nonché contro i Sabini e gli Etruschi, contro Alba (non importanti costituzionalmente?).↩
102. Tullo Ostilio distrusse Albalonga. Così gli Albani presero dimora a Roma sul Celio, incorporati fra i cittadini romani (parte nel patriziato, parte nella plebe).↩
103. Il comizio è la piazza a nordovest del foro, che Tullo fece recintare coi bottini di guerra. La recinzione significava la trasformazione in luogo sacro.↩
104. La curia Ostilia (dal nome del re suo fondatore) è dove si riuniva il senato.↩
105. I feziali erano un collegio sacerdotale di 20 membri, che sancivano con formule sacrali i trattati di pace e le dichiarazioni di guerra. Il feziale che compiva il rito si chiamava PATER PATRATUS (padre sancitore). Per dichiarare guerra il pater patratus lanciava sul suolo nemico una lancia insanguinata; se le frontiere erano lontane da Roma, la cerimonia si svolgeva in un terreno nel Campo Marzio presso il tempio di Bellona. ↩
106. Ancus è così chiamato per un difetto del braccio.↩
107. Anco Marcio conquistò: Politorio; Tellene; Ficana; Medullia.↩
108. La tradizione è incerta sulla data dell'aggiunta dei colli Aventino e Celio a Roma. Per Dionigi, il Celio sarebbe stato aggiunto a Roma da Tullo Ostilio per farvi risiedere gli Albani dopo la distruzione di Alba.↩
109. La selva Mesia, sulla riva destra del Tevere, fra Veio e Roma.↩
110. Il possesso delle bocche del Tevere risale ad epoca molto antica; ma tutta la tradizione attribuisce ad Anco Marzio la fondazione della colonia di Ostia.↩
111. La cultura greca penetrò sì in Roma dall'Etruria; ma l'ellenismo influì nella cultura romana solo dopo l'espansione di Roma nell'oriente greco, e alla sua diffusione contribuì il circolo degli Scipioni (II sec. a.C.).↩
112. Per Plinio, Demarato giunse in Italia accompagnato da tre scultori che per primi insegnarono agli italici la loro arte.↩
113. Secondo la cronologia moderna, la tirannia di Cipselo inizia nel 610 a.C., e il regno di Tarquinio Prisco nel 616 a.C. Onde è infondato collegare le vicende del greco Demarato con quelle dell'etrusco Tarquinio.↩
114. Tarquinia è una città etrusca a nord di Roma, ad 8 km dal mare, da cui si sarebbero introdotte in Roma l'arte mantica e la musica.↩
115. Per Livio, i figli di Demarato si chiamano Arrunte e Lucumone. Arrunte morì prima del padre. Lucumone sposò la nobile ed ambiziosa Tanaquilla che lo persuase a trasferirsi a Roma.↩
116. Non si sa quale fosse il nome greco di Lucumone (nome preso dal termine etrusco che indica titolo regale, latinizzato Lucio). L'esistenza a Roma del gentilizio Tarquinio (dall'etrusco Tarchunies) non è dimostrata.↩
117. Tarquinio fu il primo a brigar per ottener il regno, usurpando i figli di Anco Marcio. Per Livio, pure il primo atto costituzionale, l'aumento dei senatori (coi Padri delle genti minori) fu fatto per aver l'appoggio della curia.↩
118. Per Livio, al tempo di Romolo c'erano 100 senatori; raddoppiati da Tullo Ostilio. Per Plutarco, il senato di Romolo constava di 100 romani e 50 Sabini; salendo a 300 senatori col raddoppio di Tarquinio Prisco.↩
119. Tacito attribuisce a Bruto la divisione in genti maggiori & genti minori. Comunque essa testimonia l'ingresso di una nuova nobiltà borghese nella classe dirigente.↩
120. L'opposizione dell'augure Atto Navio contro innovazioni non confortate da auspici consacra l'intangibilità degli ordinamenti gentilizi romani. Notare la supremazia del sacerdozio sulla magistratura civile.↩
121. Come a Corinto (di cui è originario Tarquinio), i cavalieri romani ricevevano un aes equestre (somma fissa per l'acquisto del cavallo) e un aes hordiarium (indennità annua per il mantenimento, ricavata dai tributi ad orfani e vedove). Ma Livio attribuisce l'usanza a Servio Tullio, quando nella cavalleria furono arruolati pure i plebei (che non potevano pagarsi i cavalli da guerra).↩
122. L'esercito romuleo consta di 3000 fanti (milites) e 300 cavalieri (celeres). Ma i cavalieri cavalcavano solo per spostarsi, combattendo appiedati. Per Livio, le primitive 3 centurie equestri (Tiziensi; Ramnensi; Luceri) furono raddoppiate da Tullo Ostilio (arrivando a 600 cavalieri). Ma se Tarquinio Prisco raggiunse 1800 cavalieri con un raddoppio, allora dovettero prima aggiungersi altri 300 cavalieri.↩
123. Le guerre contro Sabini ed Equi sono di età repubblicana.↩
124. I ludi magni (in onore di Giove, Giunone, Minerva) erano dapprima celebrati in occasione di vittoria o di eventi fausti; poi nel IV sec. a.C. divennero annuali (13 settembre).↩
125. Nell'epopea popolare, Servio Tullio era figlio d'una schiava di Tarquinio e di Vulcano. I natali servili (da cui prende il nome) lo connotano come un re riformatore con tendenze democratiche. Invece per Livio, Servio Tullio era figlio di Ocrisia, moglie del re di Corticolo, fatta schiava dopo la caduta della città, che partorì nella reggia di Tarquinio. Per l'imperatore Claudio, Servio Tullio era l'etrusco Mastarna. ↩
126. Per Livio, la regina Tanaquilla previde la forza e la gloria di Servio Tullio, occultando poi il cadavere del marito fino alla sua creazione a re.↩
127. Per Dionigi, erano nipoti.↩
128.
«[2] I due figli di Anco (che già prima ritennero un sopruso esser privati del trono paterno per la frode del loro tutore, e che regnasse a Roma uno straniero di stirpe neppur italica) ora si sdegnarono ancor di più all'idea che neppur dopo Tarquinio il regno passasse a loro, bensì addirittura in mano a schiavi.
[3] A Roma, dopo che (circa 100 anni prima) tenne il regno Romolo nato da un dio e dio lui stesso, ora stava per salire al trono uno schiavo nato da schiava. E sarebbe stato un disonore per la loro casata nonché per il popolo romano se mentre erano vivi i figli del re Anco, il regno di Roma fosse aperto a schiavi nonché a stranieri.
[4] Decisero così di impedire con le armi un simile oltraggio. Ma lo sdegno per l'affronto subito li incitava più contro Tarquinio che contro Servio. E se il re fosse sopravvissuto avrebbe fatto vendetta più dura del privato Servio. E se fosse ucciso Servio, Tarquinio si sarebbe scelto un altro come genero facendone l'erede al trono.
[5] Perciò è al re che attentarono. Furono scelti per il delitto due feroci pastori che, con gli arnesi agresti a cui erano avvezzi, finsero una furiosa rissa nel vestibolo della reggia attirando l'attenzione delle guardie regie; e poiché ambi s'appellavano al giudizio del re e le loro grida giunsero all'interno della reggia, il sovrano li fece venire davanti a sé.
[6] Dapprima vociavano e facevano a gara nell'ingiuriarsi a vicenda. Il littore li zittì e li ammonì di parlare uno per volta, e finalmente cessarono di altercare, ed uno inventò una vertenza secondo il piano.
[7] Mentre il re rivolgeva a lui tutta la sua attenzione, l'altro, levata la scure, gliela calò sul capo, e lasciata l'arma infissa nella ferita ambi si precipitarono fuori» [Livio I 40].↩
129. Secondo la tradizione, Servio Tullio fu per 20 anni in guerra contro gli Etruschi. È un'anticipazione della guerra di Veio.↩
130. La riforma degli ordinamenti attribuita a Servio Tullio non può essere anteriore al IV sec. (quando l'invasione gallica dimostrò l'insufficienza dei vecchi ordinamenti). I 1800 cavalieri istituiti da Tarquinio Prisco furono da Servio Tullio distribuiti in 18 centurie di 100 uomini ciascuna (anziché solo in Tiziensi, Ramnesi, Luceri), comandati da un centurione. ↩
131.
«C'erano 6 ordini che i romani dicono CLASSI, dal greco klêseis [chiamate] (dall'imperativo del verbo kaleo, che in greco è kalei e in latino cala [chiama!]). Infatti, anticamente i romani dicevano caleses anziché classi» [Dionigi di Alicarnasso: Antichità romane IV,18].
Fino al V sec. a.C., solo i ricchi erano chiamati a prestare servizio militare nella classis, formando la fanteria pesante. I meno ricchi erano infra classem, che militavano nella fanteria leggera. A Servio è attribuita la riforma dell'ordinamento centuriato che contraddistingue dalla società umana fino ad Augusto. Ma una suddivisione sì precisa della popolazione appare anacronistica ai critici; eppure non c'è una sola fonte discorde. Che riforma era? Era su chi andava a combattere e come elegger i magistrati. Era un inquadramento degli abitanti sulla base del CENSO. Il censo era computato in capi di bestiame e in iugeri di terra (superando l'ordinamento tribale suddiviso in curie) fino al 312 a.C., quando il censore Appio Claudio determinò il censo in base a somme di denaro.
C'erano 5 CLASSI di possidenti.
I) 80 centurie.
II-III-IV) 20 centurie ciascuna.
V) 30 centurie.
Infine c'erano 18 centurie di CAVALIERI (così ricchi da mantenere un cavallo per tutto l'anno).
(Totale 188 centurie).
A queste 188 si sommavano altre 5 centurie di inermes (disarmati): falegnami (fabrii tignarii); fabbri (fabrii aerarii); suonatori di tromba (tubicines); suonatori di corno (cornicines); aggiunti dopo i censiti (accensi). Gli accensi erano soldati di riserva, armati di giavellotti e fionde, ma perlopiù usati come: messaggeri fra gli ufficiali; manovalanza per fortificazioni o per ricercare i feriti e sotterrare i morti dopo la battaglia; furieri. Per Dionigi gli accensi sono una VIª classe [VII,59,3] che chiama velati (vestiti di tunica, anziché corazzati): «una centuria unica di cittadini sprovvisti di mezzi» [Antichità Romane IV, 18, 2]. Per Livio «Aggregati alla Vª classe erano gli accensi, i suonatori di corno e di tromba, divisi in tre centurie» [I, 43, 7]; ma è controverso perché così, aggiungendo una centuria di capitecensi, le centurie arrivano a 194! I casi sono due: o gli accensi sono presi dalla centuria di proletari e capitecensi, esenti da tasse e leva militare (imposte in base al censo), o i capitecensi erano proprio esclusi dalle votazioni. All'interno di ogni classe poi la distinzione fra iuniori (fino ai 45 anni) e seniori (dai 45 ai 60 anni) distingueva quelli obbligati al servizio attivo dalle riserve (adibite alla difesa della città).↩
132. Il termine disciptio fa probabilmente riferimento a un documento ufficiale in cui è descritta la suddivisione delle centurie nelle varie classi, dato per noto. Onde il discorso considera invece la ratio del sistema.↩
133. Sex centuriae o sex suffragia: 6 centurie dei primitivi cavalieri di Tiziensi, Ramnesi, Luceri (ovviamente suddivise in 3 di giovani e 3 di vecchi) fissati da Tullo Ostilio raddoppiando i 300 cavalieri fissati da Romolo. Quando si aggiunsero le nuove 12 centurie, i cavalieri delle prische centurie furono detti priores, i cavalieri delle nuove centurie posteriores; perché Atto Navio [20, 36] impedì di dare un nome alle nuove centurie. Pare tuttavia che tali denominazioni, anziché “primi” e “secondi”, indicassero la posizione all'interno dello schieramento della legione. ↩
134. Fa problema il numero di 89 centurie, perché così Cicerone attribuisce alla Iª classe 70 centurie (anziché 80 come la tradizione). Forse considera l'ordinamento centuriato riformato [241 a.C.] anziché serviano. La riforma coordinò il numero delle 193 centurie con quello delle tribù salite a 35 ottenendo: 18 centurie di cavalieri; 70 centurie di Iª classe; 70 centurie di IIª-IIIª-IVª classe; 35ª centurie di Vª classe (con le 5 d'inermi). «Non c'è da stupirsi che al numero stabilito da Servio Tullio non corrisponda più l'ordinamento attuale, istituito col raggiungimento di 35 tribù (raddoppiate dividendo ognuna in due centurie: una di iuniori e una di seniori» [Livio I, 43, 12]. Cioè, ognuna delle 35 tribù (4 urbane e 31 rustiche) dava 2 centurie (una di iuniori; una di seniori), almeno circa la Iª classe. Il totale resta 193 centurie, onde a non corrispondere è il totale interno di ogni classe. Ma è incongruo che Cicerone, mentre sta descrivendo la costituzione serviana, passi all'improvviso alla costituzione vigente al momento del dialogo immaginato [129 a.C.]. ↩
135. Se la maggioranza assoluta (di 97 voti per centuria) era raggiunta se alle 89 centurie (di cavalieri e di prima classe) se ne aggiungevano solo altre 8, allora le restanti 96 centurie avevano diritto di voto apparente.↩
136. Cicerone sbaglia. L'etimologia di assiduo è adsidere (risiedere in lungo), non asse.↩
137. All'inizio la moneta romana era il metallo senza contrassegno [aes rude]. Servio Tullio coniò il metallo marchiato a cura dello Stato [aes signatum]. L'asse librale di forma lenticolare fu emesso nel IV sec. a.C.↩
138. Per Festo, proletari & capitecensi sono identici. Per Gellio, i proletari possiedono almeno 1500 assi; e i capitecensi possiedono fra i 1500 e 375 assi.
«Proletarii erano chiamati quanti fra la plebe romana erano più umili e più poveri e non erano censiti per più di 1500 assi. Capite censi erano quanti non dichiaravano quasi nulla al censo, e il limite minimo dei loro censi era 375 assi. Poiché solo le proprietà e il denaro di una famiglia venivano considerati una garanzia un pegno di lealtà verso lo Stato e costituivano una premessa all'assicurazione di patriottismo, né i proletari né i capite censi erano arruolati nell'esercito, tranne in periodi straordinari disordini, poiché la loro proprietà e i loro averi erano modesti o inconsistenti. Peraltro, la classe dei proletari era alquanto più onorevole di quella dei capite censi. Infatti nei momenti di pericolo per lo Stato (quando c'era scarsità di giovani) erano arruolati nella militia tumultuaria e forniti d'armi a spese dello Stato, e venivano chiamati non capite censi, bensì con un termine più favorevole derivato dal loro compito e funzione di mettere al mondo la prole. Perché se per la scarsità dei loro mezzi familiari poco potevano giovare allo Stato, tuttavia generando la prole potevano aumentare la popolazione della nazione. Si ritiene che la prima coscrizione di capitecensi sia dovuta a Mario (o durante la Guerra contro i Cimbri, o durante la Guerra giugurtina). Non c'è memoria che prima d'allora ciò avvenisse. Il termine assiduus è usato nella legge delle 12 tavole per uno che è ricco e pronto a dare, se lo richiedono le necessità dello Stato, oppure se spinto dall'assiduitas (frequenza) nel contribuire in base all'abbondanza dei beni familiari» [Aulo Gellio: Notti Attiche XVI, 10]. ↩
139. Il nome “centuria” non implica che contenga cento membri. Solo le centurie degli equites contavano realmente 100 individui. Le centurie della Vª classe erano le più numerose.↩
140. Tarquinio il Superbo, salito al trono con un delitto, vinse contro Latini e Volsci e strinse un trattato con la città di Gabii.↩
141. Suessa Pomezia sarebbe Apiole, definitivamente distrutta nel 495 a.C. Tarquinio Prisco iniziò la costruzione del tempio a Giove Capitolino [20], completata dal figlio Tarquinio il Superbo.↩
142. Le colonie di Circei e Signia in realtà furono dedotte nel 393 a.C. e 495 a.C.↩
143. Livio e Dionigi non parlano di questa ambasceria, con cui Cicerone intende collegare la famiglia dei Tarquini con la Grecia.↩
144. La necessità delle mutazioni politiche deriva da Platone [Repubblica VIII, 3, 546b] e Polibio [VI,4 (sic!)]↩
145. Tarquinio il Superbo uccise Servio Tullio su istigazione della moglie Tullia, figlia dello stesso Servio.↩
146. Lucio Tarquinio detto Collatino per i suoi possedimenti di Collatia. Era cugino del Superbo. Venuto in sospetto al popolo [31], Tarquinio abdicò al consolato e si ritirò in esilio a Lavinio.Tarquinio il Superbo uccise Servio Tullio su istigazione della moglie Tullia, figlia dello stesso Servio.↩
147. Lucio Giunio Bruto (figlio di Tarquinia, sorella del Superbo) si finse pazzo per non venir ucciso dal re come i suoi familiari, il che è la ragione del suo cognome.↩
148. Cicerone vede in Bruto l'optimus civis, che anche senza una magistratura è cosciente del suo compito politico. Celebrato come fondatore della libertà, morì contro i Tarquini che lottarono per tornar sul trono.↩
149. Cicerone ribadisce l'etimologia di “cosa pubblica” da popolo. La repubblica è l'organismo politico e giuridico formato dal popolo e che riguarda il popolo tutto come collettività (plethos), non come parte politica (demos). Se lo Stato è pubblico & popolare anziché privato & familiare, allora il popolo ne partecipa e lo amministra anziché farne parte. Ma la partecipazione di tutti al potere avviene secondo il grado di DIGNITÀ. ↩
150. Sp. Cassio Viscellino concluse nel 500 a.C. un trattato di alleanza coi Latini. Nel 486 a.C. fu accusato di aspirare alla tirannide e ucciso, per aver proposto di dividere fra i plebei le terre conquistate agli Ernici.↩
151. Manlio Capitolino vinse gli Equi [392 a.C.] e difese il Campidoglio dai Galli [390 a.C.]. Accusato nel 385 a.C. di aspirare alla tirannide, fu assolto. Accusato di nuovo nel 383 a.C., fu ucciso.↩
152. Spurio Melio (ricco plebeo) largì gratuitamente grano alla plebe. Accusato d'aspirar alla tirannide, rifiutò di comparir innanzi al dittatore Q. Cincinnato, e fu ucciso nel 440 a.C. dal maestro di cavalleria Servilio Ahala.↩
153. Tiberio Gracco fu ucciso nel 133 a.C.↩
154. È comune alla storiografia greca e romana che i primitivi ordinamenti di Roma fossero ispirati al modello spartano.↩
155. Per Platone [Repubblica VIII, 544c; 564a] il tiranno nasce dalla massa sfrenata anziché dal re (contro Cicerone). Comunque Cicerone ritiene tirannico lo stesso popolo che ottiene il potere assoluto.↩
156. Per Platone, lo Stato ideale non doveva superare i 5000 abitanti. Per gli antichi greci in generale, società molto estese non possono essere società libere, perciò la polis (la cui migliore traduzione per Leo Strauss è "Paese") è preferita per scelta e non per ignoranza delle società tribali (nazioni). Durante la rivoluzione americana gli autori del Federalista (1788) furono obbligati a dimostrare come un'ampia società possa essere repubblicana e libera, e si firmarono "Publius".↩
157. È la legge sull'ostracismo (esiliare per 10 anni senza infamia un cittadino) istituita ad Atene dopo la cacciata dei Pisistratidi, abolita dopo l'espulsione di Iperbolo. ↩
158. Marco Valerio Publicola sostituì Collatino come console [509 a.C.]. Sia i provvedimenti a favore del popolo sia il sospetto che aspirasse alla tirannide paiono anticipare Valerio Publicola (console nel 449 a.C.).↩
159. I libri pontificali erano sia le norme del diritto pontificale sia gli Annali (in cui il pontefice massimo scriveva ogni anno i principali eventi). Nel 131 a.C., fu redatta una raccolta degli annali in 80 libri (Annali Massimi).↩
160. La legge Valeria-Orazia [449 a.C.] (stabilente di non creare alcun magistrato senza concedere al popolo il diritto d'appello contro le sue sentenze) pare un'anticipazione della legge Valeria [300 a.C.].↩
161. Le leggi Porcie aggravavano la pena a chi violasse il diritto d'appello, stabilita dalla legge Valeria-Orazia.↩
162. Spurio Lucrezio era il padre di Lucrezia. Morì poco dopo l'entrata in carica di console. Nel primo anno della Repubblica [509 a.C.] ci furono 5 consoli.↩
163. In realtà l'avvicendamento al potere dei consoli fu fatto per un'esigenza posta dall'unità di comando (anziché per evitare la superiorità numerica delle insegne del potere consolare rispetto a quelle del regno).↩
164. Cicerone segue Aristotele che attribuisce l'eforato a Teopompo. Ma Teopompo regnò nel 704 a.C., mentre le liste degli efori risalgono al 754 a.C. (create da Licurgo).↩
165. I cosmoi erano magistrati eletti in molte città cretesi che limitavano il potere regio o si sostituivano a quello.↩
166. Più che motivi economici, la secessione della plebe ebbe motivi politici e sociali.↩
167. Fra le leggi di Solone [594-593 a.C.] c'era la seisachtheia: abolizione dei debiti e della schiavitù dei debitori.↩
168. Per lo sdegno suscitato dai soprusi dell'usuraio Lucio Papirio verso un creditore, la legge Petelia-Papiria [326 a.C.] abolì il nexum (schiavitù per debiti). Ma forse tolse solo il diritto di uccidere o vendere del debitore.↩
169. I tribuni erano i capi dei pagi (giudici nelle questioni fra plebei del loro distretto) che presero a tutelare la plebe quando si facevano le leve dalle tribù rustiche o riscuotevano i tributi, finché furono eletti annualmente.↩
170. Questura e pretura sono le magistrature più antiche. Questore significa senza dubbio inquisitore, come per es.: «parricidii quaestores» [Leggi delle XII tavole].↩
171. Era la somma di denaro depositata dalle parti civili contendenti presso il pontefice massimo. La somma depositata dalla parte soccombente veniva incamerata poi dall'erario.↩
172. Spurio Tarpeio & Aulo Aternio furono consoli nel 454 a.C. e tribuni della plebe nel 448 a.C. Ma il limite massimo della cauzione pare fosse fissato invece dalla legge Menenia-Sestia [452 a.C.].↩
173. La legge Giulia-Papiria [430 a.C.] mutò in 3020 libbre di rame la massima multa, che prima la legge Menenia-Sestia [452 a.C.] fissava a 2 pecore e 30 buoi.↩
174. I garanti (vades) dovevano pagare una cauzione e garantire la comparizione dell'accusato, che restava libero fino al giorno del giudizio. Tale norma fu abrogata dalla legge Rebusia [II sec. a.C.].↩
175. Per Dionigi, 3 decemviri erano plebei.↩
176. Da Diodoro Siculo si sa che le ultime due tavole delle leggi furono scritte dai consoli Lucio Valerio & Marco Orazio, creati dopo la fine del decemvirato. Il codice decemvirale delle prime dieci tavole giova alla plebe.↩
177. L'Algido è la parte nord-ovest del monte Albano (oggi Monte Ceraso), dove era stanziato l'esercito romano impegnato nella guerra contro gli Equi.↩
178. La seconda secessione del 449 a.C. pare una reduplicazione della secessione del 494 a.C. ↩
179. Cincinnato fu dittatore nel 439 a.C.↩
Ultima modifica 2021.06.30