Trascritta da Roberto Saranga, Gennaio 2001
Londra, 7 ottobre 1862
La breve incursione dei sudisti nel Maryland ha deciso le sorti della guerra civile americana, anche se per un certo periodo la fortuna delle armi potrà arridere in egual misura all'uno e all'altro contendente. Abbiamo già accennato su queste colonne che la lotta per gli stati schiavisti di confine è anche una lotta per il dominio dell'Unione. Ebbene, la Confederazione è stata sconfitta in questa lotta, che pure aveva iniziato nelle circostanze più favorevoli che le si potessero presentare.
Si ritiene, e con ragione, che il Maryland sia la testa ed il Kentucky il braccio del partito schiavista negli stati di confine. La capitale del Maryland, Baltimora, sinora è rimasta fedele all'Unione esclusivamente perché era tenuta in stato d'assedio. Era fermo convincimento di tutti, nel Sud come nel Nord, che la comparsa delle truppe confederate nel Maryland avrebbe suonato la diana di una rivoluzione popolare contro "i satelliti di Lincoln". Di conseguenza, non si trattava soltanto di riportare un successo militare, ma anche e soprattutto di dare a tutti una dimostrazione morale tale da galvanizzare gli elementi filo-sudisti in tutti gli stati di confine e da attrarli con forza irresistibile nel turbine degli eventi. L'occupazione del Maryland doveva significare la caduta di Washington e costituire una minaccia per Filadelfia ed anche per New York.
L'invasione tentata contemporaneamente nel Kentucky - il più importante di tutti gli stati di confine, per la densità della popolazione, la posizione geografica e le risorse economiche - presa a sé, appare soltanto una manovra diversiva. Tuttavia, coincidendo con una vittoria decisiva nel Maryland, avrebbe potuto provocare lo stroncamento del partito unionista nel Tennessee e permettere di colpire di fianco lo stato del Missouri, assicurando il dominio dell'Arkansas e del Texas, minacciando New Orleans, e soprattutto spingendo la guerra nell'Ohio - lo stato centrale del Nord, il cui possesso assicurerebbe il controllo di tutto il Nord, così come il possesso della Georgia assicurerebbe il dominio del Sud. Un esercito confederato nell'Ohio avrebbe tagliato i collegamenti fra gli stati nordisti dell'Est e quelli dell'Ovest, avrebbe potuto attaccarli di volta in volta sfruttando la sua posizione centrale, e avrebbe messo in rotta il nemico.
Una volta fallito l'attacco del grosso dell'esercito ribelle nel Maryland, l'invasione del Kentucky, compiuta senza il vigore necessario e senza il previsto appoggio popolare, si è ridotta ad una serie di scontri di guerriglia privi di significato. Anche la conquista di Louisville a questo punto non avrebbe altra conseguenza che quella di amalgamare ancor più i "giganti dell'Ovest" - i volontari dell'Iowa, dell'Illinois, dell'Indiana e dell'Ohio - in una valanga formidabile come quella che precipitò sul Sud all'epoca della prima, gloriosa campagna del Kentucky.
L'invasione del Maryland ha dimostrato quindi che l'ondata secessionistica non aveva l'impeto necessario per dilagare oltre il Potomac e raggiungere l'Ohio. Il Sud si trova costretto alla difensiva in un momento in cui solo l'attacco poteva dargli la vittoria. Privo degli stati di confine, chiuso in una morsa fra il Mississipi ad ovest e l'Atlantico ad est, con le sue manovre il Sud non ha concluso nulla - e si è scavato la fossa.
Non si deve dimenticare neppure per un attimo che i sudisti sventolando lo stendardo della rivolta avevano preso immediatamente possesso degli stati di confine e li dominavano politicamente. Volevano anche i Territori: adesso oltre ai Territori hanno perso anche gli stati di confine.
Eppure l'invasione del Maryland era iniziata sotto gli auspici più favorevoli per il Sud: una sequela di infamanti sconfitte del Nord. Lo scoraggiamento degli eserciti federali, il prestigio di Stonewall Jackson, l'eroe del momento, il recente rafforzamento del Partito democratico nel Nord - per cui si prospettava persino la possibilità di eleggere Jefferson Davis alla presidenza - , il riconoscimento del governo schiavista da parte di Inghilterra e Francia, ben felici di proclamare la legittimità interna della Confederazione! Eppur si muove! [1] Ma la ragione trionfa egualmente nella storia universale.
Il proclama di Lincoln presenta un'importanza ancora maggiore dell'invasione del Maryland. Lincoln è una figura sui generis negli annali della storia. Non ha pathos, non posa a grand'uomo, non si drappeggia nella toga della storia, non spiega la sua eloquenza in voli pindarici. Dà sempre la forma più comune ai suoi gesti più importanti. Laddove chiunque altro, battendosi per un "palmo di terra", dichiara di "battersi per un'idea", Lincoln anche quando si batte per un'idea si esprime soltanto in termini di "palmi di terra".
Indeciso e riluttante, canta a malincuore l'aria di bravura del suo personaggio, quasi scusandosi del fatto che le circostanze lo costringano a "fare l'eroe". I decreti più formidabili che egli lancia contro il nemico, e che non perderanno mai la loro importanza storica, somigliano - e tale è l'intenzione del loro autore - a comuni citazioni inviate da un legale alla parte opposta, con tutti i cavilli giuridici e le intricate motivazioni dell'actio iuris. Ed è proprio questa caratteristica del recente proclama, il documento più importante della storia americana dopo la fondazione dell'unione, un documento che deroga decisamente dalla Costituzione americana: il manifesto per l'abolizione della schiavitù.
Non vi è nulla di più facile che rilevare nelle azioni di Lincoln elementi contrastanti con l'estetica e apparentemente privi di logica, forme burlesche e contraddittorie: i cantori della schiavitù, Times, Saturday Review e tutti quanti non si fan certo pregare. Eppure, nella storia degli Stati Uniti come nella storia dell'umanità, Lincoln occupa un posto a fianco di Washington. In realtà, in un'epoca in cui qualsiasi bagatella sulla sponda europea dell'Atlantico assume un'aria melodrammatica e strabiliante, non ci dice nulla il fatto che nel Nuovo Mondo gli avvenimenti importanti si presentino in termini così anodini?
Lincoln non è figlio di una rivoluzione popolare. Il normale operato del sistema elettorale, del tutto ignaro delle grandi imprese storiche che era chiamato a compiere, ha portato al vertice dello stato proprio lui - un plebeo che si è fatto strada, da spaccapietre a rappresentante dell'Illinois, un uomo privo di acume intellettuale e di particolare grandezza di carattere, senza doti sensazionali - semplicemente un uomo di buona volontà. Eppure, il Nuovo Mondo ha conseguito così la sua più grande vittoria, dimostrando che grazie al suo alto livello di organizzazione politica e sociale persone comuni animate da buona volontà sono in grado di adempiere compiti per cui nel Vecchio Continente ci vorrebbe un eroe!
Ai suoi tempi Hegel faceva notare che in realtà la commedia è superiore al pathos. Se non ha il dono del pathos dell'azione storica, Lincoln ha invece, come uomo comune figlio del popolo, il dono dello humor. In quale momento Lincoln ha promulgato il suo proclama per l'abolizione della schiavitù nei territori della Confederazione, che entrerà in vigore il 1° gennaio 1863? Proprio nel momento in cui la Confederazione decideva alla Convenzione di Richmond di intavolare "trattative di pace" come stato indipendente. Proprio nel momento in cui gli schiavisti degli stati di confine credevano che con l'incursione dei sudisti nel Kentucky la "peculiare istituzione" fosse ormai invincibile - invincibile come il loro controllo sul loro concittadino, il presidente insediato a Washington, Abramo Lincoln.
Die Presse, 12 ottobre 1862
1. In italiano in originale.
Ultima modifica 6.1.2001