Pubblicato in: New York Daily Tribune, 14 giugno 1853.
Nel 1851 una rivolta antifeudale in Cina mutò lesta in una grande guerra contadina. Iniziò al sud (provincia di Kwangsi) attraversò le province centrali e il basso e medio territorio del Fiume Azzurro. Durante la lotta gli insorti fondarono il Taiping tianguo (Celeste regno della pace suprema, da cui il nome Rivolta dei Taiping) con capitale Nanchino. Nei territori occupati i Taiping abolirono le tasse e i feudi manciù. Poiché la rivolta fu pure contro il clero buddista e i conventi (sostegno della dinastia manciù), ebbe un aspetto religioso, tipico di tutti i movimenti contadini in Estremo Oriente. La rivolta dei Taiping, che mise larghe masse popolari contro l'ordine feudale non riuscì a eliminare in Cina il modo di produzione feudale. Nello Stato Taiping si costituì una casta feudale che scese a compromessi con le classi dominanti. Ciò nocque alla rivolta; ma il colpo decisivo le fu inferto nel 1864 dall'intervento di Inghilterra, USA, Francia a favore dell'impero manciù.
Tradotto direttamente dalla versione in inglese presente sul MIA e trascritto in occasione della guerra di dazi fra Stati Uniti e Cina da: Leonardo Maria Battisti, aprile 2018
Londra, 20 maggio 1853
Hegel, profondo e bizzarro speculatore delle leggi di movimento dell'umanità, soleva esibir come uno dei segreti dominanti della natura ciò che nomava legge dell'unità degli opposti. Per lui il vecchio adagio che «gli estremi si toccano» era una verità grande e potente in ogni sfera della vita; un assioma che il filosofo non poteva negliger come l'astronomo non può negliger le leggi di Keplero o le scoperte di Newton.
Sia o no l'«unità degli opposti» un principio universale, si può trovar esibito nell'effetto che la Rivolta dei Taiping pare avrà sul mondo civile. Parrà un asserto strano e paradossale che la prossima rivolta dei popoli europei, il loro prossimo moto per la libertà repubblicana e l'economia di governo possano dipender da ciò che capita ora nel Celeste Impero (al polo opposto dell'Europa) più che da qualunque altra causa politica esistente, più che dalle minacce della Russia e dalla conseguente prospettiva d'un conflitto generale europeo.1 Ma paradosso non è, come può capir chi stimi attentamente le circostanze del caso.
Quali che siano le cause delle croniche rivolte nell'ultimo decennio successe in Cina (oggi confluite in un'unica rivolta formidabile) nonché le forme che prendano (religiosa, dinastica o nazionale), invero l'occasione di tale scoppio fu fornita dal cannone britannico che impose alla Cina l'ottundente droga detta oppio. Ante le armi britanniche l'autorità della dinastia Manciù andò in pezzi; la fede superstiziosa nell'eternità del Celeste Impero sparì; il barbaro isolamento ermetico dal mondo civile fu rotto; e iniziò quel mutuo rapporto da allora evolutosi lesto all'ombra della corsa all'oro californiano e australiano. Al contempo la moneta d'argento del Celeste Impero (sua linfa vitale) iniziò a fluir verso l'India britannica.
Fino al 1830 (con la bilancia commerciale sempre a favore dei cinesi) c'era un'importazione continua di argento in Cina da India, Inghilterra e Stati Uniti. Ma dal 1833 e ancor più dal 1840 l'esportazione di argento dalla Cina all'India ha quasi dissanguato la Cina. Donde gli energici decreti dell'imperatore contro il commercio dell'oppio, ai quali ha risposto una resistenza ancor più energica. Ma a parte l'immediata conseguenza economica, la corruzione legata al contrabbando dell'oppio ha affatto screditato i funzionari dell'impero nei distretti del sud. Come si stimava l'imperatore padre di tutta la Cina, così si stimava paterno il legame fra i suoi funzionari e i loro distretti. Ora tale autorità patriarcale (il vincolo morale permeante da solo tutto il vasto apparato statale) è stata erosa per gradi dalla corruzione di funzionari arricchitisi con la connivenza nel contrabbando dell'oppio. Ciò capitò in particolare proprio nei distretti del sud in cui la ribellione iniziò. È superfluo notar che come mentre la droga conquistava un'effettiva sovranità sui cinesi, l'imperatore e il suo corteo di pedanti mandarini perdevano la loro. Pare che la storia dovesse ubriacar tutto un popolo prima di scuoterlo da una stoltezza millenaria!
L'importazione di stoffe di cotone e in parte di lana inglesi (quasi inesistente prima) crebbe lesto dal 1833 (anno in cui il monopolio del commercio con la Cina fu trasferito dalla Compagnia delle Indie orientali ai privati2) e ancor di più dopo il 1840 (anno in cui altre nazioni, specie gli USA, ottennero a loro volta di commerciare con la Cina). L'introduzione di manufatti esteri ebbe sull'industria locale lo stesso effetto avuto in Asia Minore, Persia e India: le filature e tessiture cinesi soffrirono sì da stravolger l'intera comunità.3
Il tributo da versare alla Gran Bretagna dopo la sfortunata Prima guerra dell'oppio (1839-1842), il grande consumo improduttivo di oppio, il cui commercio causa l'emorragia di metalli preziosi, l'effetto rovinoso della concorrenza straniera sulle industrie locali, il discredito dell'amministrazione pubblica, produssero due cose: le vecchie tasse divennero più pesanti e assillanti, e se ne aggiunsero di nuove. Così un decreto datato Pechino 5 gennaio 1853 dà ordine ai viceré e governatori delle province meridionali del Wuchang e dell'Hanyang di condonar e differir il pagamento delle tasse e soprattutto di non esiger più del dovuto: altrimenti, chiede il decreto, «come potranno sopportarlo i poveri?». Seguita l'imperatore «forse così, in un periodo di stenti e privazioni generali, il mio popolo sarà esentato dalla crudeltà d'esser rincorso e molestato dagli esattori».
Ricordiamo d'aver sentito tale linguaggio e concessioni simili in Austria (la Cina della Germania) nel 1848.
Tutti questi agenti patogeni, operanti insieme sulle finanze, la morale, l'industria e la struttura politica cinesi ebbero pieno sviluppo nel 1840 sotto l'egida dei cannoni inglesi, che elisero l'autorità dell'imperatore e lo costrinsero ad allacciare rapporti col resto del mondo. Un isolamento completo era la premessa principale della conservazione della vecchia Cina. Tale isolamento ricevette fine violenta dalla Gran Bretagna e la dissoluzione interna segue come per ogni mummia conservata in un sarcofago sigillato ermeticamente allorché la si metta a contatto con l'aria. Ora, rivoluzionata la Cina dall'Inghilterra, il quesito è: come tale rivoluzione si ripercuoterà nel tempo sull'Inghilterra e, attraverso l'Inghilterra, sul continente europeo? Non è un quesito di difficile soluzione.
Badi il lettore all'espansione senza precedenti delle manifatture britanniche dal 1850 in poi. In mezzo a una prosperità stupefacente erano evidenti i sintomi d'una prossima crisi industriale. Malgrado la California e l'Australia4, malgrado l'emigrazione enorme, a un certo punto (senza un motivo particolare) arriva l'ora in cui l'espansione dei mercati non potrà star al passo con l'espansione delle manifatture inglesi, e questo squilibrio produrrà una nuova crisi con la stessa necessità con cui l'ha prodotta in passato. E se uno dei mercati più vasti si contrae, allora la crisi sarà d'uopo accelerata: ebbene, Rivolta dei Taiping avrà proprio quest'effetto sulla Gran Bretagna. La necessità di aprire mercati nuovi, o di espandere i vecchi, fu una delle principali cause della riduzione del dazio britannico sul tè5 per ottener con una maggiore importazione di tè una più forte esportazione di manufatti in Cina. Prima della revoca nel 1833 del monopolio commerciale dell'East India Company, il valore delle esportazioni annue dal Regno Unito alla Cina ammontava solo a £600.000; nel 1836 raggiunse un totale di £1.326.388; nel 1845 salì a £2.394.827; nel 1852 a circa £3 milioni. A sua volta la quantità di tè cinese importato in Inghilterra nel 1793 non superava le 16.167.331 libbre, nel 1845 crebbe a 50.714.657; nel 1846, a 57.584.561; e oggi supera i 60 milioni di libbre.
Il raccolto del tè nell'ultima stagione sarà superiore rispetto all'anno scorso di oltre 2 milioni di libbre (come già rilevano le liste di esportazione da Shanghai). Tale aumento ha due cause. Prima: il mercato alla fine del 1851 era assai depresso, con forti scorte invendute reimmesse all'esportazione del 1852. Seconda: giunta in Cina la notizia sulle modifiche ai dazi britannici sul tè ha tosto portato tutte le scorte di tè sul mercato rincarandole. Ma circa il prossimo raccolto il caso è diverso come provano questi brani della corrispondenza di una grossa ditta di tè londinese, la Moffat and Co.:
«A Shanghai sono tutti terrorizzati. Il valore dell'oro è salito del 25% essendo tanto cercato per tesaurizzarlo; l'argento è sparito indi non si trova per pagar i dazi cinesi su navi britanniche in arrivo nei porti, donde il console Alcock6 si è dovuto rendere garante verso le autorità cinesi del pagamento di tali somme dietro consegna di cambiali della Compagnia delle Indie orientali e altri titoli di garanzia riconosciuti. La scarsità dei metalli preziosi è improvvida rispetto all'immediato futuro del commercio, poiché tale scomparsa capita proprio mentre sono più richiesti per consentir ai compratori di tè e seta di recarsi nel retroterra e procedere agli acquisti, dei quali una gran parte è pagata in anticipo in oro e argento per consentire ai produttori di effettuare le loro operazioni. [...] In questa stagione è normale prendere i primi accordi sul nuovo raccolto del tè, mentre oggi si parla solo del modo di proteggere la proprietà e le persone poiché tutte le transazioni sono bloccate. [...] Senza provvedimenti per ottenere le foglie in aprile e maggio, il primo raccolto (che include le qualità più pregiate di tè, sia nero sia verde) andrà perduto come il grano non mietuto a Natale».
Ora, i mezzi per ottenere le foglie di tè non verranno dalle flotte inglesi, francesi o statunitensi stanziate nei mari cinesi; anzi il loro intervento potrebbe produrre complicazioni quali l'arresto delle trattative fra il retroterra dove si produce tè e i porti donde lo si esporta. Così pel raccolto attuale è prevedibile un rincaro (già è iniziata a Londra la speculazione) e per il raccolto futuro un grosso deficit è sicuro. Ma c'è di più. I cinesi (benché come tutti i popoli nei convulsi periodi rivoluzionari siano disposti a svender tutto agli stranieri) inizieranno a tesaurizzare come sogliono gli orientali in attesa di grandi cambiamenti, scambiando tè e seta solo con moneta preziosa. Donde l'Inghilterra deve aspettarsi: il rincaro d'uno fra i suoi articoli più consumati; una fuoriuscita di metalli preziosi; una forte contrazione di un mercato importante per le sue cotonerie e lanerie. Pure l'Economist, illusionista che volge in ottimismo quanto minaccerebbe la pace della comunità mercantile, è costretto a esprimersi così:
«Non dobbiamo illuderci di ritrovar in Cina un mercato di sbocco esteso come in passato. [...] È più probabile che il nostro commercio d'esportazione verso la Cina soffra e che si riduca la domanda di prodotti industriali finiti di Manchester e Glasgow».
Va detto che il rincaro d'un articolo necessario come il tè e il ridursi di un mercato importante come la Cina coincideranno con un cattivo raccolto nell'Occidente europeo, cioè con un rincaro del grano, della carne e di tutti i generi alimentari. Donde una riduzione del mercato di manufatti poiché ogni rincaro di beni primari riduce sempre (all'interno come all'estero) la domanda di beni industriali. Lamentele sui raccolti perlopiù cattivi giungono da ogni contea della Gran Bretagna. In proposito scrive l'Economist:
«Nel sud dell'Inghilterra molti terreni non saranno seminati finché sarà troppo tardi per qualsiasi raccolto, e gran parte dei seminativi risulterà infracidita o comunque in stato inadatto alla cerealicoltura. Su terreni umidi o poveri destinati a frumento, vi sono chiari segni dei danni in corso. Il tempo per seminare barbabietole da foraggio è già passato e ben poco è stato seminato, mentre il tempo per preparare il suolo alla coltura delle rape sta trascorrendo senza che si sia fatta una preparazione atta a questo importante raccolto. [...] La semina dell'avena è stata avversata da nevicate e piogge. Poca avena è stata seminata presto e di rado l'avena seminata tardi dà buoni raccolti. [...] In molti distretti notevoli sono state le perdite nel bestiame da riproduzione».
Il prezzo di prodotti agricoli diversi dal grano è maggiore dell'anno scorso del 20, 30 nonché 50%. Sul continente il grano è rincarato anche più che in Inghilterra. In Belgio e in Olanda, la segale è rincarata di un netto 100%; grano e altri cereali le tengono dietro.
In tali circostanze, avendo l'industria britannica percorso la maggior parte del normale ciclo commerciale, si può ben dire che la rivolta cinese getti scintille nella polveriera del sistema economico vigente e causerà l'esplosione della crisi generale7 che da tempo si prepara e che uscendo dall'Inghilterra sarà presto seguita da rivoluzioni politiche in Europa. Sarebbe curioso veder una Cina che getta disordine nel mondo occidentale mentre le navi da guerra delle potenze occidentali (Inghilterra, Francia, USA)8 portano l'«ordine» a Shanghai, a Nanchino e alle foci del Gran Canale! Tali potenze che esportano ordine, volendo aiutar la vacillante dinastia Manciù, forse scordano che l'odio per gli stranieri e la loro esclusione dall'impero, prima dovuti solo alla situazione geografica ed etnografica della Cina, sono assurti a sistema politico allorché i tatari manciù conquistarono il Paese? Invero i turbolenti contrasti fra le nazioni europee gareggianti nel commercio colla Cina nell'ultimo scorcio del ‘600 contribuì alla politica isolazionistica dei Manciù; e contribuì di più il timore della nuova dinastia che gli stranieri agitassero lo scontento esistente in larghi strati dei cinesi enl corso del primo mezzo secolo o più di dominio tataro. Quae cum ita sint, si vietò ai forestieri ogni legame con gli indigeni salvo attraverso Canton, città lontana da Pechino e dai distretti di produzione del tè, e si ottriò solo il Cohong9 di far affari con loro in modo da impedir al resto dei sudditi qualsiasi contatto con l'odiato straniero. Comunque un intervento dei governi occidentali in tale fase renderebbe solo più violenta la rivolta e protrarrebbe il ristagno del commercio.
Al tempo stesso badasi che un buon settimo delle entrate del governo britannico in India dipende dalla vendita dell'oppio ai cinesi e che gran parte della domanda indiana di manufatti inglesi dipende dalla produzione di questo stesso oppio in India. I cinesi non hanno più probabilità di rinunciare all'oppio dei tedeschi di rinunciare al tabacco. Ma se il nuovo imperatore fosse favorevole alla coltura del papavero e alla preparazione dell'oppio in Cina,10 allora infliggerebbe un colpo mortale all'industria dell'oppio in India, alle entrate del tesoro indobritannico e alle risorse commerciali dell'Indostan. Un colpo simile non avrà effetto immediato sugli interessi in causa, ma nel tempo avrà la grave conseguenza di intensificare e prolungare la crisi finanziaria mondiale (di cui testé abbiamo fatto l'oroscopo).
In Europa, dal ‘700, ogni rivoluzione seria è preceduta da una crisi commerciale e finanziaria. Ciò vale per la rivoluzione del 1789 quanto per quella del 1848. Oltre ai sintomi ognor più minacciosi di conflitti fra i poteri dominanti e i sudditi, fra Stato e società, fra classi diverse, notiamo pure che il conflitto fra le grandi potenze si avvicina al punto servirà brandir la spada e ricorrere all'ultima ratio dei prìncipi. Nelle capitali europee ogni nuovo giorno reca dispacci presaghi di guerre mondiali che spariscono nei dispacci del giorno dopo assicuranti la pace per una settimana o poco più. Eppure possiamo star certi che qualsiasi apice raggiunga il contrasto fra le grandi potenze europee, qualsiasi minaccia possa apparire all'orizzonte politico, qualsiasi moto possa tentare una minoranza eccitata in questo o quel paese, l'ira dei prìncipi e la furia dei popoli saranno parimenti fiaccati da venti di prosperità.11 Guerre o rivoluzioni non cambieranno l'Europa salvo derivar da una generale crisi commerciale e industriale (di cui come sempre deve dare il segnale l'Inghilterra: la rappresentante dell'industria europea sui mercati mondiali).
Non serve insister sulle conseguenze politiche che una simile crisi deve d'uopo produrre in questi tempi (con un'inedita espansione delle fabbriche in Inghilterra; con il dissolversi dei suoi partiti ufficiali; con l'intera macchina statale della Francia mutata in un'unica immensa agenzia di frodi e speculazione sui fondi pubblici;12 con l'Austria sull'orlo del fallimento; con torti accumulati ovunque che il popolo vuole vendicar; con gli interessi in conflitto delle stesse potenze reazionarie; coi sogni russi di conquista di nuove esibiti al cospetto del mondo).
Karl Marx
1. La dichiarazione di guerra francobritannica alla Russia seguì nel marzo 1854. L'insieme degli articoli di Marx sulla Guerra di Crimea [1853-1856] è noto pure come: La Questione Orientale.↩
2. Cfr. Marx: Storia del commercio dell'oppio [1858].↩
3. «Il costante rivoluzionamento della produzione, l'incessante scuotimento di ogni condizione sociale, l'incertezza e il movimento perpetui discriminano l'epoca borghese da tutte quelle precedenti. Tutti i modi di vita rigidi e stabili, col loro seguito di opinioni e concetti rispettati e antichi, si dissolvono mentre i nuovi invecchiano ancor prima di essersi consolidati. Le immobili gerarchie sociali svaniscono; ogni cosa sacra è profanata; finalmente gli uomini possono giudicar solo senza più illusioni la loro condizione di vita e i loro reciproci rapporti. Il bisogno d'uno smercio sempre più largo per i prodotti spinge la borghesia a percorrere tutto il globo terrestre. Ovunque deve introdursi, ovunque deve installarsi, ovunque deve crear rapporti. Collo sfruttamento del mercato mondiale la borghesia ha reso cosmopolita la produzione e il consumo di tutti i Paesi. Con gran dispiacere dei reazionari, ha tolto all'industria il suo fondamento nazionale. Le più vecchie industrie nazionali sono state e sono giornalmente distrutte, sostituite da industrie nuove, la cui introduzione diviene questione di vita o di morte per tutte le nazioni civili (industrie che non lavorano più materie prime locali bensì materie prime importate dalle zone più remote, e i cui prodotti non sono consumati solo nel Paese, ma ovunque nel mondo» [Manifesto del partito comunista, 1]. ↩
4. Nel 1848 in California e nel 1851 in Australia furono scoperti ricchi giacimenti d'oro, che ebbero una grande influenza sullo sviluppo economico dell'Europa e dell'America. Engels scriveva a Marx il 21 agosto 1852: «La California e l'Australia sono due casi che non erano stati previsti nel Manifesto: creazione dal nulla di nuovi grandi mercati. Bisogna tenerne conto». Senza moti rivoluzionari, l'apertura della California e dell'Australia all'industria e al commercio capitalistici avrebbe agito come valvola di sfogo per la produzione industriale e la popolazione eccedente europea. ↩
5. Il bilancio presentato nel 1853 dal Cancelliere dello Scacchiere (ministro dell'economia e tesoro) Gladstone prevedeva una riduzione del dazio sul tè per oltre il 50%, scaglionata su un triennio.↩
6. Sir Rutherford Alcock [1809-1890]: direttore della British North Borneo Company, console a Shanghai e, nel 1854, console generale a Canton.↩
7. La crisi generale scoppierà nel 1857 (a dieci anni dalla prima originata dalla sopravvalutazione del mercato cinese per i manufatti britannici ed europei in genere) e fornirà materiale Capitale, Libro III. Ma le prime avvisaglie della crisi si ebbero già nel 1852 e diverranno allarmanti nel 1855 al che Marx ne scriverà un articolo del 24 marzo 1855 nel N.Y.D.T. pure in rapporto alle ripercussioni sulla politica. ↩
8. Il 9 giugno il Times informò che navi britanniche, americane e francesi concessero «dietro urgente richiesta delle autorità imperiali, di proteggere i grandi centri del commercio cinese contro l'armata ribelle»: azioni navali tripartite saranno condotte in quello e nell'anno successivo, ma già verso la fine del 1853 gli inglesi ottennero che l'amministrazione delle dogane cinesi a Shanghai fosse sottoposta al loro controllo, punto di partenza della successiva presa di possesso britannica ed europea dell'intero apparato di riscossione dei diritti doganali imperiali sulle merci provenienti dall'estero (1858-1860).↩
9. Cohong: gilda delle hong (le case commerciali cinesi autorizzate ad esercitare il commercio con l'estero), fondata nel 1720, abolita nel 1771 e ricostituita nel 1782 con la concessione di commerciare con l'estero a patto di controllare le attività commerciali di importazione ed esportazione impedendo il traffico d'oppio. La Gran Bretagna ne impose la soppressione nel Trattato di Nanchino (1842).↩
10. La produzione interna di oppio non iniziò prima della conclusione della Seconda guerra dell'oppio (1859); si concentrò nella regione dello Yunnan e nel 1890 fece cessar l'importazione dall'India inglese.↩
11. Sul periodo di prosperità corrente dell'economia britannica, Marx scrisse nella Nuova Gazzetta Renana (1950.01.01): «Data la generale prosperità, in cui le forze produttive della società borghese si sviluppano con tutta la rigogliosità consentita nel quadro dei rapporti capitalistici, manco si può pensare a una rivoluzione autentica, possibile solo quando questi due fattori (forze produttive moderne e forme di produzione borghesi) confliggono. I diversi e compromissori litigi cui si danno i rappresentanti delle singole azioni del partito europeo dell'ordine non causano rivoluzioni, anzi provano che la base dei rapporti sociali vigente è sicura e borghese (a insaputa della reazione). Contro di essa tutti i tentativi di reazione che intralcino lo sviluppo borghese falliranno quanto tutti gli sdegni morali e tutte le proclamazioni solenni dei democratici. Una nuova rivoluzione è possibile solo in seguito a una nuova crisi». ↩
12. Il progressivo deterioramento dei partiti tradizionali in Inghilterra (formazione di gruppi radicali, liberali, conservatori-progressisti etc.) fu alla base della lunga «dittatura palmerstoniana».
Sulla caratterizzazione del regime napoleonico in Francia come «agenzia di frodi e speculazione sui fondi pubblici», cfr. Marx: Il diciotto brumaio di Luigi Bonaparte.
↩
Ultima modifica 2019.05.02