[ Indice de Il socialismo e la guerra ]
La posizione dei socialisti di fronte alle guerre
Tipi storici di guerre nei tempi moderni
Differenza fra guerra di aggressione e guerra di difesa
La guerra attuale è una guerra imperialista
La guerra tra i maggiori schiavisti per la conservazione e il rafforzamento della schiavitù
"La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi" (e precisamente con mezzi violenti)
Che cos'è il socialsciovinismo?
Falsi richiami a Marx e a Engels
Il fallimento della II Internazionale
Il socialsciovinismo è il pieno sviluppo dell'opportunismo
La parola d'ordine dei marxisti è la parola d'ordine della socialdemocrazia rivoluzionaria
L'esempio della fraternizzazione nelle trincee
L'importanza dell'organizzazione illegale
Sulla sconfitta del "proprio" governo nella guerra imperialista
Sul pacifismo e sulla parola d'ordine della pace
Il diritto delle nazioni all'autodecisione
I socialisti hanno sempre condannato le guerre fra i popoli come cosa barbara e bestiale. Ma il nostro atteggiamento di fronte alla guerra è fondamentalmente diverso da quello dei pacifisti borghesi (fautori e predicatori della pace) e degli anarchici. Dai primi ci distinguiamo in quanto comprendiamo l'inevitabile legame delle guerre con la lotta delle classi nell'interno di ogni paese, comprendiamo l'impossibilità di distruggere le guerre senza distruggere le classi ed edificare il socialismo, come pure in quanto riconosciamo pienamente la legittimità, il carattere progressivo e la necessità delle guerre civili, cioè delle guerre della classe oppressa contro quella che opprime, degli schiavi contro i padroni di schiavi, dei servi della gleba contro i proprietari fondiari, degli operai salariati contro la borghesia. E dai pacifisti e dagli anarchici noi marxisti ci distinguiamo in quanto riconosciamo la necessità dell'esame storico (dal punto di vista del materialismo dialettico di Marx) di ogni singola guerra. Nella storia sono più volte avvenute delle guerre che, nonostante tutti gli orrori, le brutalità, le miserie ed i tormenti inevitabilmente connessi con ogni guerra, sono state progressive; che, cioè, sono state utili all'evoluzione dell'umanità, contribuendo a distruggere istituzioni particolarmente nocive e reazionarie (per esempio l'autocrazia o la servitù della gleba), i più barbari dispotismi dell'Europa (quello turco e quello russo). Perciò bisogna prendere in esame le particolarità storiche proprie di questa guerra.
La grande Rivoluzione francese ha iniziato una nuova epoca nella storia dell'umanità. Da allora fino alla Comune di Parigi, dal 1789 al 1871, un particolare tipo di guerra è costituito dalle guerre a carattere borghese progressivo, di liberazione nazionale. In altre parole, il principale contenuto ed il significato storico di queste guerre è stato l'abbattimento e la distruzione dell'assolutismo e del feudalesimo, l'abbattimento dell'oppressione straniera. Esse sono state, perciò, guerre progressive e tutti gli onesti democratici rivoluzionari, nonché tutti i socialisti, durante tali guerre, simpatizzarono sempre per il successo di quel paese (cioè di quella borghesia) che contribuiva ad abbattere o a minare i pilastri più pericolosi del feudalesimo, dell'assolutismo e dell'oppressione di popoli stranieri. Per esempio, nelle guerre rivoluzionarie della Francia c'era anche un elemento di rapina e di conquista di terre straniere da parte dei francesi, ma ciò non cambia affatto il significato storico fondamentale di quelle guerre, le quali distruggevano e scuotevano il feudalesimo e l'assolutismo in tutta la vecchia Europa feudale. Nella guerra franco-prussiana, la Germania depredò la Francia; ma ciò non cambia il significato storico fondamentale di quella guerra, che ha liberato il popolo tedesco, cioè un popolo di decine di milioni di uomini, dal frazionamento feudale e dall'oppressione di due despoti: lo zar russo e Napoleone III.
Il periodo 1789-1871 ha lasciato tracce e ricordi rivoluzionari profondi. Fino all'abolizione del feudalesimo, dell'assolutismo e dell'oppressione straniera, non si poteva nemmeno parlare di uno sviluppo della lotta proletaria per il socialismo. Quando parlavano di legittimità della guerra "difensiva", a proposito delle guerre di tale epoca, i socialisti avevano presenti appunto sempre quegli scopi, cioè la rivoluzione contro il medioevo e contro la servitù della gleba. Per guerra "difensiva" i socialisti hanno sempre inteso una guerra "giusta" in questo senso (una volta W. Liebknecht si espresse appunto così). Soltanto in questo senso i socialisti hanno riconosciuto e riconoscono oggi la legittimità, il carattere progressivo e giusto della "difesa della patria" o della guerra "difensiva". Per esempio, se domani il Marocco dichiarasse guerra alla Francia, l'India all'Inghilterra, la Persia o la Cina alla Russia, ecc., queste sarebbero delle guerre "giuste", delle guerre "difensive" indipendentemente da chi avesse attaccato per primo, ed ogni socialista simpatizzerebbe per la vittoria degli Stati oppressi, soggetti e privi di diritti, contro le "grandi" potenze schiaviste che opprimono e depredano.
Ma immaginate che un padrone di cento schiavi guerreggi con un altro che ne possiede duecento per una più "giusta" ripartizione degli schiavi stessi. E' chiaro che, in un simile caso, la qualifica di guerra "difensiva" o di "difesa della patria" costituirebbe una falsificazione storica e, in pratica, solo un inganno del popolo semplice, della piccola borghesia, della gente ignorante, da parte degli astuti padroni di schiavi. E' proprio così che la borghesia imperialista del nostro tempo inganna i popoli, servendosi dell'ideologia "nazionale" e del concetto di difesa della patria nell'attuale guerra fra i padroni di schiavi, per il consolidamento ed il rafforzamento della schiavitù.
La posizione dei socialisti di fronte alle guerre
Tipi storici di guerre nei tempi moderni
Differenza fra guerra di aggressione e guerra di difesa
Ripartizione del mondo tra le "grandi" potenze schiaviste | ||||||||
Colonie | Metropoli | Totale | ||||||
1876 | 1914 | 1914 | ||||||
Abit.* | Kmq* | Abit.* | Kmq* | Abit.* | Kmq* | Abit.* | Kmq* | |
Grandi potenze | ||||||||
Inghilterra | 22,5 | 251,9 | 33,5 | 393,5 | 0,3 | 46,5 | 33,8 | 440,0 |
Russia | 17,0 | 15,9 | 17,4 | 33,2 | 5,4 | 136,2 | 22,8 | 169,4 |
Francia | 0,9 | 6,0 | 10,6 | 55,5 | 0,5 | 39,6 | 11,1 | 95,1 |
Germania | 2,9 | 12,3 | 0,5 | 64,9 | 3,4 | 77,2 | ||
Giappone | 0,3 | 19,2 | 0,4 | 53,0 | 0,7 | 72,2 | ||
Stati Uniti d'America | 0,3 | 9,7 | 9,4 | 97,0 | 9,7 | 106,7 | ||
Sei "grandi" potenze | 40,4 | 273,8 | 65,0 | 523,4 | 16,5 | 437,2 | 81,5 | 960,6 |
Colonie appartenenti a non grandi potenze (ma al Belgio, Olanda e altri Stati) | 9,9 | 45,3 | 9,9 | 45,3 | ||||
Tre paesi "semicoloniali" (Turchia, Cina, Persia) | 14,5 | 361,2 | ||||||
Totale | 105,9 | 1.367,1 | ||||||
Rimanenti Stati e Paesi | 28,0 | 289,9 | ||||||
Tutto il globo senza le regioni polari) | 133,9 | 1.657,0 |
* In milioni.
Da ciò si vede come i popoli i quali, negli anni 1789-1871 lottarono, per lo più, alla testa degli altri per la libertà, si siano trasformati, dopo il 1876, sul terreno di un capitalismo altamente sviluppato e "ipermaturo", in oppressori e asservitori della maggioranza della popolazione e delle nazioni di tutto il globo terrestre. Dal 1876 al 1914, sei "grandi" potenze depredarono 25 milioni di chilometri quadrati, cioè una superficie due volte e mezzo l'intera Europa! Sei potenze tengono soggetti più di mezzo miliardo (523 milioni) di uomini nelle colonie. Per ogni 4 abitanti delle "grandi" potenze si contano cinque abitanti delle "loro" colonie. E' noto a tutti che le colonie sono conquistate col ferro e col fuoco, che nelle colonie la popolazione è trattata bestialmente, sfruttata in mille modi (per mezzo dell'esportazione del capitale, delle concessioni, ecc., con la frode nella vendita delle merci, con la sottomissione ai poteri della nazione "dominante" e così via). La borghesia anglo-francese inganna il popolo, affermando di condurre la guerra per la libertà dei popoli e del Belgio: in realtà, essa conduce la guerra per conservare le colonie che sfrutta senza misura. Gli imperialisti tedeschi avrebbero subito liberato il Belgio ecc., se gli inglesi e i francesi avessero "cristianamente" diviso con loro le proprie colonie. L'originalità della situazione sta nel fatto che, in questa guerra, i destini delle colonie vengono decisi dalla lotta armata sul continente. Dal punto di vista della giustizia borghese e della libertà nazionale (o del diritto delle nazioni all'esistenza) la Germania avrebbe indubbiamente ragione contro l'Inghilterra e la Francia, poiché essa è "sprovvista" di colonie, mentre i suoi nemici opprimono nazioni in numero incomparabilmente maggiore; sotto la sua alleata, l'Austria, gli slavi oppressi godono indubbiamente una libertà maggiore che non in quella vera "prigione di popoli" che è la Russia zarista. Ma la stessa Germania si batte non per liberare ma per opprimere le nazioni. Non è compito dei socialisti aiutare il brigante più giovane e più forte (la Germania) a depredare i briganti più vecchi e più nutriti. I socialisti devono servirsi della lotta tra i briganti per abbatterli tutti. A tal fine, i socialisti devono dire al popolo la verità, e precisamente che questa guerra è una guerra di schiavisti per il rafforzamento della schiavitù, per tre motivi; questa guerra tende: in primo luogo a rafforzare la schiavitù delle colonie con una più "giusta" ripartizione e con un ulteriore e più "concorde" sfruttamento di esse; in secondo luogo, a consolidare l'oppressione sulle nazionalità allogene nelle "grandi" potenze stesse, perché sia l'Austria, sia la Russia (la Russia molto più e molto peggio dell'Austria) si reggono soltanto con tale oppressione e la rafforzano con la guerra; in terzo luogo, a consolidare e prolungare la schiavitù salariata, poiché il proletariato è diviso e schiacciato ed i capitalisti ne approfittano, arricchendosi con la guerra, inculcando i pregiudizi nazionali e rafforzando la reazione, la quale ha alzato la testa in tutti i paesi, perfino in quelli più liberi e repubblicani.
Questa celebre espressione appartiene ad uno dei più profondi scrittori di problemi militari, Clausewitz [1]. Giustamente i marxisti hanno sempre ritenuto questa tesi come la base teorica per intendere il significato di ogni guerra concreta. Marx ed Engels hanno sempre considerato le varie guerre precisamente da questo punto di vista.
Applicate questa teoria alla guerra attuale. Vedrete che, nel corso di decenni, di quasi mezzo secolo, i governi e le classi dominanti in Inghilterra in Francia, in Germania, in Italia, in Austria, in Russia hanno condotto una politica di depredazione delle colonie, di oppressione di altre nazioni, di soffocamento del movimento operaio. Appunto tale politica - e soltanto essa - ha la sua continuazione nella presente guerra. In particolare, sia in Austria che in Russia, la politica, tanto in tempo di pace quanto in tempo di guerra, consiste nell'asservimento delle nazioni e non nella loro liberazione. Al contrario, in Cina, in Persia, in India e in altri paesi soggetti, si è sviluppata, nel corso degli ultimi decenni, una politica di risveglio alla vita nazionale di decine e centinaia di milioni di uomini, di liberazione dall'oppressione delle "grandi" potenze reazionarie. Su questo terreno storico, una guerra può essere anche oggi borghese-progressiva, di liberazione nazionale.
Basta ricordare che la guerra attuale è la continuazione della politica delle "grandi" potenze e delle classi fondamentali nell'interno di esse, per vedere subito la stridente antistoricità, la falsità e l'ipocrisia dell'opinione secondo la quale l'idea della "difesa della patria" sarebbe giustificabile in questa guerra.
I socialsciovinisti della Triplice (ora quadruplice) Intesa (in Russia, Plekhanov e soci) amano riferirsi soprattutto all'esempio del Belgio. Ma questo esempio parla contro di loro. Gli imperialisti tedeschi hanno spudoratamente violato la neutralità del Belgio; come hanno fatto sempre ed ovunque gli Stati belligeranti, che, in caso di necessità, hanno calpestato tutti i trattati e gli impegni. Ammettiamo che tutti gli Stati interessati al rispetto dei trattati internazionali abbiano dichiarato guerra alla Germania reclamando la liberazione del Belgio ed il risarcimento dei danni da esso subìti. In questo caso, la simpatia dei socialisti sarebbe, naturalmente, dalla parte dei nemici della Germania. Ma sta di fatto che la "Triplice" (e quadruplice) Intesa fa la guerra non per il Belgio: ciò è ben noto, e soltanto gli ipocriti lo nascondono. L'Inghilterra depreda le colonie della Germania e la Turchia; la Russia depreda la Galizia e la Turchia; la Francia mira ad ottenere l'Alsazia-Lorena e perfino la riva sinistra del Reno; con l'Italia è concluso un patto per la divisione del bottino (Albania, Asia Minore); con la Bulgaria e la Romania è pure avviato un mercato per la divisione del bottino. Sulla base dell'attuale guerra, con i governi attuali, è impossibile aiutare il Belgio, se non contribuendo a soffocare l'Austria o la Turchia ecc.! Che cosa c'entra in questo la "difesa della patria"? In questo appunto consiste la caratteristica della guerra imperialista, della guerra fra governi borghesi reazionari, storicamente superati, guerra condotta per l'oppressione di altre nazioni. Chi giustifica la partecipazione all'attuale guerra, perpetua l'oppressione imperialista delle nazioni. Chi consiglia di sfruttare le attuali difficoltà dei governi ai fini della lotta per la rivoluzione sociale, difende realmente la libertà di tutte le nazioni raggiungibile solo col socialismo.
In Russia, l'imperialismo capitalista di tipo nuovissimo si è pienamente rivelato nella politica dello zarismo verso la Persia, la Manciuria, la Mongolia; ma in generale in Russia predomina l'imperialismo militare e feudale. In nessuna parte del mondo esiste una simile oppressione della maggioranza della popolazione del paese come in Russia: i grandi-russi rappresentano solo il 43 per cento della popolazione e cioè meno della metà, e tutti gli altri, in quanto allogeni, sono privi di diritti. Dei 170 milioni di abitanti della Russia circa 100 milioni sono oppressi e privi di diritti. Lo zarismo conduce la guerra per impadronirsi della Galizia e per soffocare definitivamente la libertà degli ucraini, per impadronirsi dell'Armenia, di Costantinopoli, ecc. Lo zarismo vede nella guerra un mezzo per distrarre l'attenzione dal crescente malcontento nell'interno del paese e per schiacciare il crescente movimento rivoluzionario. Attualmente, su due grandi-russi si contano in Russia da due a tre "allogeni" privi di diritti: per mezzo della guerra, lo zarismo si sforza di aumentare il numero delle nazioni oppresse dalla Russia, di consolidare la loro schiavitù, e con ciò di stroncare la lotta per la libertà dei grandi-russi stessi. La possibilità di opprimere e depredare popoli stranieri stabilizza il ristagno economico, perché, anziché lo sviluppo delle forze produttive, è lo sfruttamento semifeudale degli "allogeni" che rappresenta, non di rado, la fonte del profitto. In tal modo, nei confronti della Russia, la guerra si distingue per il carattere spiccatamente reazionario e illiberale.
Il socialsciovinismo consiste nel sostenere l'idea della "difesa della patria" nella guerra attuale. Da questa idea deriva, inoltre, la rinuncia alla lotta di classe in tempo di guerra, l'approvazione dei crediti di guerra, ecc. In realtà, i socialsciovinisti conducono una politica borghese antiproletaria, perché in realtà essi sostengono non la "difesa della patria" nel senso di una lotta contro l'oppressione straniera, ma il "diritto" di determinate "grandi" potenze a depredare colonie e opprimere popoli stranieri. I socialsciovinisti rinnovano ai danni del popolo l'inganno borghese, come se la guerra si facesse per la difesa della libertà e per l'esistenza delle nazioni, e passano così dalla parte della borghesia contro il proletariato. Sono da annoverare tra i socialsciovinisti sia coloro che giustificano e mettono in buona luce i governi e la borghesia di uno dei gruppi di potenze belligeranti, sia coloro che, come Kautsky, riconoscono ai socialisti di tutte le potenze belligeranti lo stesso diritto di "difendere la patria". Il socialsciovinismo, rappresentando in realtà la difesa dei privilegi, del predominio, dei saccheggi, delle violenze della "propria" (o in generale di qualsiasi) borghesia imperialista, costituisce il completo tradimento di tutte le convinzioni socialiste e delle decisioni del congresso socialista internazionale di Basilea [2].
Il manifesto sulla guerra, accettato all'unanimità a Basilea nel 1912, si riferisce proprio alla guerra fra l'Inghilterra e la Germania ed i loro rispettivi alleati attuali, che scoppiò poi nell'anno 1914. Il manifesto dichiara apertamente che nessun interesse del popolo può giustificare una simile guerra, condotta per i profitti dei "capitalisti ed a vantaggio delle dinastie", sul terreno della politica imperialista di rapina delle grandi potenze. Il manifesto dichiara apertamente che la guerra è pericolosa "per i governi" (tutti, senza eccezione), rileva il loro timore di una "rivoluzione proletaria", cita con la massima precisione l'esempio della Comune del 1871 e dell'ottobre-dicembre del 1905, cioè l'esempio della rivoluzione e della guerra civile. In tal modo il manifesto di Basilea fissa, proprio per questa guerra, la tattica della lotta rivoluzionaria degli operai su scala internazionale contro i propri governi, la tattica della rivoluzione proletaria. Il manifesto di Basilea ripete le parole della risoluzione di Stoccarda [3], e cioè che in caso di guerra, i socialisti devono sfruttare la "crisi economica e politica" che ne deriva per "affrettare l'eliminazione del dominio di classe capitalistico", cioè di sfruttare le difficoltà che la guerra crea ai governi e l'indignazione delle masse, ai fini della rivoluzione socialista.
La politica dei socialsciovinisti, la giustificazione che essi fanno della guerra con argomenti "di libertà" borghese, l'ammissione della "difesa della patria", la votazione dei crediti, la partecipazione ai ministeri, ecc. ecc., è un aperto tradimento del socialismo che si spiega solo, come vedremo più avanti, con la vittoria dell'opportunismo e della politica operaia nazional-liberale nel seno della maggioranza dei partiti europei.
I socialsciovinisti russi, con Plekhanov alla testa, si richiamano alla tattica di Marx nella guerra del 1870; i tedeschi sul tipo di Lensch, di David e soci, si richiamano alla dichiarazione di Engels del 1891 sull'obbligo per i socialisti tedeschi di difendere la patria in caso di guerra contro la Russia e la Francia unite; infine, i socialsciovinisti tipo Kautsky, che desiderano conciliare e legalizzare lo sciovinismo internazionale, si richiamano al fatto che Marx ed Engels, pur condannando le guerre, si posero nondimeno, continuamente dal 1854-1855 fino al 1870-1871 e 1876-1877, dalla parte di un determinato Stato belligerante, una volta che la guerra era scoppiata.
Tutte queste citazioni rappresentano di per sé una ripugnante deformazione a profitto della borghesia e degli opportunisti, delle teorie di Marx ed Engels, precisamente come gli scritti degli anarchici Guillaume e soci rappresentano una deformazione delle teorie di Marx ed Engels, fatta per giustificare l'anarchismo. La guerra del 1870-1871, finché Napoleone III non fu vinto, era storicamente progressiva per la Germania; poiché Napoleone, insieme allo zar, oppresse per lunghi anni la Germania, mantenendovi il frazionamento feudale. Ma non appena la guerra finì con la rapina a danno della Francia (annessione dell'Alsazia-Lorena), Marx ed Engels condannarono decisamente i tedeschi. Inoltre, al principio di quella guerra, Marx ed Engels avevano approvato il rifiuto di Bebel e di Liebknecht di votare per i crediti di guerra, e avevano consigliato i socialdemocratici a non fondersi con la borghesia e a difendere gli interessi di classe indipendenti del proletariato. Trasferire il giudizio dato su quella guerra, borghese-progressista e di liberazione nazionale, alla attuale guerra imperialista, è farsi beffa della verità. Lo stesso si deve dire, ed a maggior ragione, della guerra del 1854-1855 e di tutte le guerre del XIX secolo, quando non c'erano né l'imperialismo attuale né le condizioni obiettive già mature del socialismo, né partiti socialisti di massa in tutti i paesi belligeranti, quando cioè mancavano precisamente quelle condizioni dalle quali il manifesto di Basilea aveva dedotto la tattica della " rivoluzione proletaria" in rapporto alla guerra fra le grandi potenze.
Chi si richiama adesso all'atteggiamento di Marx verso le guerre del periodo progressivo della borghesia e dimentica le parole di Marx: "gli operai non hanno patria" - parole che si riferiscono precisamente all'epoca della borghesia reazionaria, superata, all'epoca della rivoluzione socialista - deforma spudoratamente Marx e sostituisce al punto di vista socialista il punto di vista borghese.
I socialisti di tutto il mondo hanno solennemente dichiarato, nel 1912 a Basilea, di considerare la guerra europea che si avvicinava come un'azione "delittuosa", la più reazionaria azione di tutti i governi, la quale dovrà affrettare il crollo del capitalismo, provocando inevitabilmente la rivoluzione contro di esso. E' scoppiata la guerra, è venuta la crisi. Invece della tattica rivoluzionaria, la maggioranza dei partiti socialdemocratici ha adottato una tattica reazionaria, ponendosi dalla parte dei rispettivi governi e delle rispettive borghesie. Questo tradimento del socialismo ha provocato il fallimento della II Internazionale (1889-1914) e noi dobbiamo renderci conto delle cause di questo fallimento, vedere che cosa ha dato vita e vigore al socialsciovinismo.
In tutto il periodo della II Internazionale si è svolta ovunque, in seno ai partiti socialdemocratici, una lotta fra l'ala rivoluzionaria e l'ala opportunista. In diversi paesi è avvenuta una scissione di questo genere (Inghilterra, Italia, Olanda, Bulgaria). Nessun marxista ha mai dubitato del fatto che l'opportunismo esprime la politica borghese nel movimento operaio, esprime gli interessi della piccola borghesia e l'unione di un'infima parte di operai imborghesiti con la propria borghesia, contro gli interessi della massa dei proletari, della massa degli oppressi.
Le condizioni obiettive della fine del secolo XIX hanno particolarmente rafforzato l'opportunismo trasformando l'utilizzazione della legalità borghese in un atteggiamento servile dinanzi ad essa, creando un piccolo strato di burocrazia e di aristocrazia della classe operaia, attirando nelle file dei partiti socialdemocratici molti "compagni di strada" piccolo-borghesi.
La guerra ha accelerato questo sviluppo, trasformando l'opportunismo in socialsciovinismo, rendendo palese l'unione segreta degli opportunisti con la borghesia. Nel tempo stesso, le autorità militari hanno proclamato dovunque lo stato d'assedio, mettendo il bavaglio alla massa operaia, i cui vecchi capi sono quasi tutti passati alla borghesia. La base economica dell'opportunismo e del socialsciovinismo è identica: gli interessi di un gruppo piccolissimo di operai privilegiati e di piccoli borghesi che difendono la propria situazione privilegiata, il proprio "diritto" alle briciole dei profitti ottenuti dalla "loro" borghesia nazionale col depredamento di altre nazioni, con i vantaggi della posizione di grande potenza, ecc.
Il contenuto ideologico e politico dell'opportunismo e del socialsciovinismo è identico: la collaborazione delle classi invece della lotta di classe, la rinuncia ai mezzi rivoluzionari di lotta, l'aiuto al "proprio" governo nelle situazioni difficili, invece di utilizzare le sue difficoltà nell'interesse della rivoluzione. Se consideriamo tutti i paesi europei nel loro complesso, se rivolgiamo l'attenzione non a singole persone (fossero anche le più autorevoli), risulterà che proprio la corrente opportunista è divenuta il sostegno principale del socialsciovinismo, mentre dal campo dei rivoluzionari si leva, quasi dovunque, una protesta più o meno conseguente contro di esso. E se si considera, per esempio, il raggruppamento delle tendenze al Congresso internazionale socialista di Stoccarda del 1907, vediamo che il marxismo internazionale era contro l'imperialismo, mentre l'opportunismo internazionale già allora era in suo favore.
Nel periodo passato, prima della guerra, l'opportunismo era considerato, non di rado, una "deviazione", un'"ala estrema", ma pur sempre una parte integrante, legittima del partito socialdemocratico. La guerra ha dimostrato l'impossibilità di un simile atteggiamento per il futuro. L'opportunismo è "maturato", ha spinto fino in fondo la sua funzione di emissario della borghesia nel movimento operaio. L'unità con gli opportunisti è divenuta una mera impostura, e ne vediamo l'esempio nel partito socialdemocratico tedesco. In tutte le questioni importanti (per esempio, nella votazione del 4 agosto), gli opportunisti si presentano con un proprio ultimatum ed ottengono soddisfazione, grazie ai loro molteplici legami con la borghesia, alla loro maggioranza fra i dirigenti dei sindacati, ecc. L'unità con gli opportunisti significa oggi in pratica la sottomissione della classe operaia alla "propria" borghesia nazionale, l'unione con essa per assoggettare altre nazioni e per lottare in favore dei privilegi di grande potenza, significa dunque la divisione del proletariato rivoluzionario di tutti i paesi.
Per quanto, in singoli casi, la lotta contro gli opportunisti, che predominano in tante organizzazioni, sia difficile, per quanto sia vario nei diversi paesi il processo di epurazione dei partiti operai dagli opportunisti, questo processo è inevitabile e vantaggioso. Il socialismo riformista muore; il socialismo che rinasce "sarà rivoluzionario, intransigente, insurrezionale", secondo la giusta espressione del socialista francese Paul Golay [4].
Kautsky, la maggiore autorità della II Internazionale, rappresenta un esempio estremamente tipico e chiaro del modo in cui il riconoscimento verbale del marxismo ha condotto in pratica alla sua trasformazione in "struvismo" od in "brentanismo" [5]. Lo vediamo anche nel caso di Plekhanov. Con evidenti sofismi si priva il marxismo della sua viva anima rivoluzionaria; del marxismo si ammette tutto, tranne i mezzi rivoluzionari di lotta, la loro propaganda e preparazione, l'educazione delle masse appunto in questa direzione. Kautsky "concilia", senza preoccuparsi dell'ideologia, il pensiero fondamentale del socialsciovinismo, il riconoscimento della difesa della patria nella guerra attuale, con una concessione diplomatica, formale, agli uomini della sinistra, consistente nell'astenersi dal votare i crediti di guerra, nell'affermare a parole il suo atteggiamento d'opposizione, ecc. Kautsky, che nel 1909 aveva scritto tutta un'opera sull'approssimarsi della epoca delle rivoluzioni e sul nesso esistente tra la guerra e la rivoluzione, Kautsky che nel 1912 ha firmato il manifesto di Basilea sull'utilizzazione rivoluzionaria della futura guerra, giustifica ora in tutti i modi e mette in buona luce il socialsciovinismo, e, al pari di Plekhanov, si unisce alla borghesia, per schernire ogni proposito di rivoluzione, ogni passo verso un'immediata lotta rivoluzionaria.
La classe operaia non può assolvere la sua funzione rivoluzionaria mondiale senza condurre una lotta spietata contro questo tradimento, contro questa mancanza di carattere, contro questo servilismo dinanzi all'opportunismo e contro questo inaudito avvilimento teorico del marxismo. Il kautskismo non è un caso, ma il prodotto sociale delle contraddizioni della II Internazionale, del connubio tra la fedeltà verbale al marxismo e la sottomissione all'opportunismo nei fatti.
Nei diversi paesi, quest'inganno fondamentale del kautskismo si manifesta in varie forme. In Olanda, Roland-Holst, pur negando l'idea della difesa della patria, difende l'unità degli opportunisti con il partito. In Russia, Trotski, pur negando anch'egli quest'idea, sostiene l'unità con il gruppo opportunista e sciovinista della Nascia Zarià [6].
In Romania, Rakovski, dichiarando guerra all'opportunismo, quale colpevole del fallimento dell'Internazionale, è pronto nello stesso tempo a riconoscere la legittimità dell'idea della difesa della patria. Tutte queste sono manifestazioni di quel male che i marxisti olandesi (Gorter, Pannekoek) hanno chiamato "radicalismo passivo" e che porta a sostituire il marxismo rivoluzionario con l'eclettismo della teoria e col servilismo e con l'impotenza dinanzi agli opportunisti, nella pratica.
La guerra ha indubbiamente generato la crisi più acuta ed ha aggravato in modo inverosimile la miseria delle masse. Il carattere reazionario di questa guerra, l'impudente menzogna della borghesia di tutti i paesi, che maschera i propri scopi di rapina con un'ideologia "nazionale", tutto ciò, sul terreno di una situazione obiettivamente rivoluzionaria, crea inevitabilmente nelle masse degli stati d'animo rivoluzionari. E' nostro dovere contribuire a rendere coscienti questi stati d'animo, approfondirli e precisarli. Questo compito è espresso in modo giusto soltanto dalla parola d'ordine di trasformare la guerra imperialista in guerra civile; ed ogni lotta di classe conseguente in tempo di guerra, ogni tattica di "azione di massa" seriamente applicata, conduce inevitabilmente a questo. E' impossibile sapere se un forte movimento rivoluzionario scoppierà in seguito alla prima o alla seconda guerra imperialistica fra le grandi potenze, durante o dopo di essa, ma in ogni caso è nostro preciso dovere lavorare sistematicamente e con perseveranza proprio in questa direzione.
Il manifesto di Basilea si richiama direttamente all'esempio della Comune di Parigi, cioè alla trasformazione della guerra tra i governi in guerra civile. Mezzo secolo fa il proletariato era troppo debole, le condizioni obiettive del socialismo non erano ancora maturate, il collegamento e la collaborazione dei movimenti rivoluzionari in tutti i paesi belligeranti non poteva esistere. La simpatia di una parte degli operai di Parigi per le "ideologie nazionali" (tradizione del 1792) era una loro debolezza piccolo-borghese, rilevata a suo tempo da Marx: fu questa una delle ragioni della sconfitta della Comune. A distanza di mezzo secolo, le condizioni che indebolirono la rivoluzione di allora non esistono più, e attualmente sarebbe imperdonabile per un socialista tollerare la rinuncia ad agire precisamente nello spirito dei comunardi parigini.
I giornali borghesi di tutti i paesi belligeranti hanno citato casi di fraternizzazione fra i soldati delle nazioni belligeranti, persino nelle trincee. E gli ordini draconiani delle autorità militari (Germania, Inghilterra) contro simili fraternizzazioni, dimostrano che i governi e la borghesia vi hanno attribuito una grande importanza.
Se nonostante il completo dominio dell'opportunismo negli alti ranghi dei partiti socialdemocratici dell'Europa occidentale e nonostante l'appoggio dato al socialsciovinismo da tutta la stampa socialdemocratica e da tutte le autorità della II Internazionale, sono stati possibili dei casi di fraternizzazione, questo dimostra quali possibilità vi sarebbero di abbreviare l'attuale guerra schiavista, delittuosa e reazionaria, e di organizzare un movimento rivoluzionario internazionale, con un sistematico lavoro in questa direzione, compiuto anche solo dai socialisti di sinistra di tutti i paesi belligeranti.
Gli anarchici più in vista, in tutto il mondo, non meno degli opportunisti si sono macchiati, in questa guerra, di socialsciovinismo (alla maniera di Plekhanov e di Kautsky). Uno dei risultati utili di questa guerra sarà indubbiamente che essa eliminerà tanto l'opportunismo quanto l'anarchismo.
Senza rinunciare, in nessun caso ed in nessuna circostanza, ad utilizzare ogni minima possibilità legale per l'organizzazione delle masse e la propaganda del socialismo, i partiti socialdemocratici devono romperla con il loro asservimento alla legalità. "Per favore sparate per primi, signori borghesi", scrisse Engels, alludendo appunto alla guerra civile ed alla necessità che la legalità fosse violata da noi dopo che essa era stata violata dalla borghesia. La crisi ha dimostrato che la borghesia viola la legalità in tutti i paesi, persino nei più liberi, e che è impossibile condurre le masse alla rivoluzione senza creare un'organizzazione illegale per la propaganda, lo studio, la valutazione, la preparazione dei mezzi rivoluzionari di lotta. In Germania, per esempio, tutto ciò che di onesto fanno i socialisti, si fa contro il basso opportunismo e contro il "kautskismo" ipocrita, e si fa precisamente in modo illegale.
In Inghilterra si pronunciano condanne alla galera per dei manifestini invitanti a non entrare nell'esercito.
Considerare compatibile con l'appartenenza al partito socialdemocratico la negazione dei metodi illegali di propaganda e la derisione di questi metodi nella stampa legale, è un tradimento del socialismo.
I sostenitori della vittoria del proprio governo nella guerra attuale, nonché i sostenitori della parola d'ordine "né vittoria né sconfitta", hanno un punto di vista egualmente socialsciovinista. La classe rivoluzionaria, nella guerra reazionaria, non può non desiderare la disfatta del proprio governo, non può non vedere il legame esistente fra gli insuccessi militari del governo e la maggior facilità di abbatterlo. Soltanto il borghese, il quale crede e desidera che la guerra iniziatasi tra i governi termini assolutamente come una guerra tra governi, trova "ridicola" od "assurda" l'idea che i socialisti di tutti i paesi belligeranti manifestino e augurino la sconfitta a tutti i "propri" governi. Al contrario, proprio una simile azione corrisponderebbe ai segreti pensieri di ogni operaio cosciente e si accorderebbe con la linea della nostra attività diretta a trasformare la guerra imperialista in guerra civile.
Indubbiamente, la seria agitazione contro la guerra di una parte dei socialisti inglesi, tedeschi, russi ha "indebolito la potenza militare" dei rispettivi governi; ma tale agitazione è stata un merito di questi socialisti. I socialisti devono spiegare alle masse che per esse non c'è salvezza senza l'abbattimento rivoluzionario dei "propri" governi, e che le difficoltà di questi governi nell'attuale guerra devono essere sfruttate appunto a questo fine.
Lo stato d'animo delle masse a favore della pace esprime spesso un principio di protesta, di indignazione e di coscienza del carattere reazionario della guerra. Sfruttare questo stato d'animo è dovere di tutti i socialdemocratici. Essi prenderanno vivissima parte a tutti i movimenti ed a tutte le dimostrazioni su questo terreno, ma non inganneranno il popolo ammettendo che, senza movimento rivoluzionario, sia possibile la pace senza annessioni, senza oppressioni di nazioni, senza rapina, senza germi di nuove guerre fra i governi attuali, fra le classi attualmente dominanti. Ingannando in tal modo il popolo si favorirebbe la diplomazia segreta dei governi belligeranti ed i loro piani controrivoluzionari.
Chi vuole la pace democratica e duratura deve essere per la guerra civile contro i governi e contro la borghesia.
Il più frequente inganno fatto al popolo dalla borghesia nell'attuale guerra consiste nel mascherare i propri scopi di rapina con un'ideologia di "liberazione nazionale". Gli inglesi promettono la libertà al Belgio, i tedeschi alla Polonia, ecc... In realtà, come abbiamo visto, questa è una guerra fra gli oppressori della maggior parte delle nazioni del mondo per rafforzare ed estendere questa oppressione.
I socialisti non possono raggiungere il loro alto obiettivo senza lottare contro ogni oppressione nazionale. Indubbiamente, essi devono perciò esigere che i partiti socialdemocratici dei paesi oppressori (in modo particolare delle cosiddette "grandi" potenze) riconoscano e difendano il diritto di autodecisione delle nazioni oppresse, precisamente nel significato politico della parola, e cioè il diritto alla separazione politica. Il socialista di una grande potenza o di una nazione che possiede delle colonie, il quale non difenda questo diritto, è uno sciovinista.
La difesa di questo diritto non solo non favorisce la formazione di piccoli Stati, ma, al contrario, conduce alla formazione più libera, più audace e perciò più larga e più diffusa di grandissimi Stati ed unioni fra gli Stati, più vantaggiosi per le masse e meglio rispondenti allo sviluppo economico.
I socialisti delle nazioni oppresse, da parte loro, devono lottare incondizionatamente per la completa unità (anche organizzativa) tra gli operai delle nazioni oppresse e di quelle che opprimono. L'idea di una separazione legale di una nazione dall'altra - la cosiddetta "autonomia culturale nazionale" di Bauer e Renner - è un'idea reazionaria.
L'imperialismo è un'epoca di crescente oppressione delle nazioni di tutto il mondo da parte di un pugno di "grandi" potenze, e perciò la lotta per la rivoluzione socialista internazionale contro l'imperialismo è impossibile senza il riconoscimento del diritto delle nazioni all'autodecisione. "Non può essere libero un popolo che opprime altri popoli" (Marx ed Engels). Non può essere socialista un proletariato che si dimostri conciliante con la minima violenza della "sua" nazione su altre nazioni.
1. Karl von Clausewitz (1780-1851), generale prussiano, adoperò tale espressione nella sua opera Vom Kriege (Sulla guerra), scritta tra il 1830 e il 1840.
2. Il congresso di Basilea della II Internazionale ebbe luogo il 25 novembre 1912 in occasione della guerra balcanica e trattò anche i problemi della guerra mondiale che si prevedeva imminente. Appunto a questo proposito fu approvato il noto manifesto che denunziava il carattere imperialista di tale guerra e invitava i socialisti di tutti i paesi a lottare attivamente contro di essa.
3. Approvata dal congresso della II Internazionale che ebbe luogo a Stoccarda il 18-24 agosto 1907.
4. Allude all'opuscolo di Paul Golay, Le socialisme qui meurt et le socialisme qui doit renaitre (Il socialismo che muore e il socialismo che deve rinascere), pubblicato a Losanna nel 1915.
5. "Struvísmo" tendenza che prende nome da P. Struve, capo del "marxismo legale" in Russia e sostenitore della collaborazione fra le classi. "Brentanismo" tendenza dell'economista tedesco L. Brentano, il quale cercava di dimostrare la possibilità di realizzare l'uguaglianza sociale nel quadro del capitalismo.
6. Nascia Zarià (La nostra aurora); rivista mensile legale dei menscevichi liquidatori. Si pubblicò dal 1910 al 1914 a Pietroburgo e fu il centro attorno al quale si raccolsero i liquidatori russi. Fu soppressa nell'ottobre 1914.
Indice de Il socialismo e la guerra
Ultima modifica 13.09.2000
"La guerra è la continuazione della politica con altri mezzi" (e precisamente con mezzi violenti)
L'esempio del Belgio
Perché combatte la Russia?
Che cos'è il socialsciovinismo?
Il manifesto di Basilea
Falsi richiami a Marx e a Engels
Il fallimento della II Internazionale
Il socialsciovinismo è il pieno sviluppo dell'opportunismo
L'unità con gli opportunisti significa unione degli operai con la "propria" borghesia nazionale e divisione della classe operaia internazionale rivoluzionaria
Il "kautskismo"
La parola d'ordine dei marxisti è la parola d'ordine della socialdemocrazia rivoluzionaria
L'esempio della fraternizzazione nelle trincee
L'importanza dell'organizzazione illegale
Sulla sconfitta del "proprio" governo nella guerra imperialista
Sul pacifismo e sulla parola d'ordine della pace
Il diritto delle nazioni all'autodecisione
Note