L'origine e l'evoluzione della proprietà

Paul Lafargue (1890)


CAPITOLO PRIMO. Le forme della proprietà contemporanea.

I. Classificazione delle forme della proprietà.

Secondo gli economisti, la proprietà è un fenomeno sociale, il quale sfugge a quella legge di evoluzione, che governa il mondo materiale ed intellettuale.

Non riconoscendole che una forma sola ed immutabile, la forma capitale1, questi difensori patentati delle iniquità sociali affermano che il capitale esiste ab eterno; ed, allo scopo di stabilire per bene questa sua immortalità, si adoprano a dimostrare che esso esiste dacché mondo è mondo, conchiudendo trionfalmente che, non avendo esso avuto inizio, non potrebbe certo aver termine.

Per sostenere questa curiosa asserzione, i manuali d'economia politica ripetono, come tanti pappagalli, la favola del selvaggio che impresta l'arco ad un suo compagno, a condizione di dividerne la caccia. Non soddisfatti di questa origine preistorica, alcuni economisti fanno risalire la proprietà capitalistica al di là della specie umana; la trovano presso gl'invertebrati, perchè la previdente formica ammucchia delle provviste: peccato che si siano fermati a mezzo di così bella via e non abbiano compreso come quest'insetto accumuli soltanto per vendere e realizzare dei profitti mediante la circolazione delle mercanzie!

V'ha una lacuna in questa poco piacevole teoria del capitale eterno; non si è dimostrato che la parola capitale dati anch'essa dall'eternità. Ogni corda di una nave, eccetto quella della campana, ha un nome; non è possibile ammettere che l'uomo non abbia potuto avere la stessa ricchezza di vocaboli nella sfera economica, ed abbia spinto la noncuranza fino a non dare un nome ad una cosa tanto utile quanto il capitale: pure è certo che la parola capitale, nel senso speciale in cui è usata ai giorni nostri, non data che dal XVIII secolo — al pari della parola filantropia, la quale indica una delle forme d'ipocrisia proprie del regime capitalistico — poiché in quell'epoca appunto la forma capitale della proprietà comincia ad avere preponderanza nella società2. Questo predominio sociale della forma capitale sulla forma feudale della proprietà originò la rivoluzione francese, la quale, quantunque sia uno dei più importanti fatti della storia moderna, non è in fondo che una rivoluzione fatta nel solo interesse della classe capitalista, con tutte le ostentazioni di libertà, di fratellanza, di uguaglianza, di giustizia e di patriottismo, che dovevano riprodursi in seguito nei manifesti e nei programmi dei lanciatori di speculazioni finanziarie e politiche3.

La firma di proprietà corrispondente alla parola capitale non incomincia ad assumere un'importanza sociale che in seguito alla produzione commerciale, la quale fu il risultato del movimento economico e politico che agitava l'Europa sin dal XII secolo e che venne affrettato dalla scoperta dell'America e della via delle Indie attorno al Capo di Buona Speranza, dall'importazione dei metalli preziosi dal nuovo mondo, dall'invenzione della polvere pirica, dalla scoperta della stampa e della bussola, dalla presa di Costantinopoli, dalle alleanze fra le famiglie sovrane, dall'organizzarsi dei grandi stati europei e dalla pacificazione relativa e generale che ne consegui

Tutte queste cause riunite, ed altre di minor importanza, svilupparono il capitale, la forma, cioè, più perfezionata della proprietà privata, e, si può aggiungere, anche l'ultima.

La comparsa relativamente recente della forma capitale è la prova migliore che la proprietà non è rimasta immutabile e sempre identica a sé stessa, ma che essa, invece, evolve, come tutti i fenomeni d' ordine materiale e intellettuale, e passa attraverso una serie di forme diverse, ognuna delle quali deriva dalla precedente.

La proprietà è così poco identica a sé stessa, che nella sοcietà contemporanea assume diverse forme e sotto-forme, le quali possono così riassumersi:

I. FORME COMUNI DELLA PROPRIETÀ

  1. Proprietà comune d'origine antica, beni comunali, demaniali, etc., che da molti secoli sono oggetto della cupidigia della nobiltà e della borghesia.
  2. Proprietà comune d'origine moderna, amministrata dallo stato sotto il nome di servizi pubblici: poste, strade ferrate, musei, biblioteche nazionali, etc, etc.

II. FORME PRIVATE DELLA PROPRIETÀ

  1. Proprietà d'appropriazione individuale.
  2. Proprietà – strumento di lavoro.
  3. Proprietà – capitale.

II. Proprietà derivante dall'appropriazione individuale.

La proprietà derivante dall’appropriazione personale o individuale è la forma più primitiva di proprietà; essa ha esistito sempre e sempre esisterà, perchè è condizione indispensabile della vita: suscettibile di una estensione grandissima, essa incomincia dagli alimenti che l’uomo ingoia per riparare le proprie forze e va sino ai gioielli di cui egli si adorna.

La casa era anticamente compresa in questo genere di proprietà; l’uomo possedeva la sua abitazione, come la tartaruga il suo guscio. Se, da un lato, l’incivilimento può, coll’applicare le macchine all’industria, mettere a portata delle piccole borse molti oggetti di lusso che una volta i ricchi soltanto potevano procacciarsi, dall’altro lato ha spogliato la grande maggioranza dei cittadini delle case loro, obbligandoli a vivere in alloggi d’affitto ed in stanze ammobigliate; e, framezzo ad un’abbondanza non mai conosciuta, esso riduce il produttore al più stretto minimum di proprietà d’appropriazione individuale.

La civiltà capitalistica condanna il proletario a vegetare in certe condizioni di vita inferiori a quelle dei selvaggi. Lasciando da parte questo fatto essenziale, che il selvaggio non lavora per arricchire dei parassiti, consideriamo solo il vitto. È indiscutibile che i barbari, i quali popolavano l’Europa nei primi secoli dell’êra nostra, possedendo molti branchi di porci e di altri animali ed avendo il prezioso spediente della caccia nelle foreste abbondanti di selvaggina e della pesca nei fiumi popolati di pesci, se erano imperfettamente coperti con pelli di animali e con saj grossolani, facevano però maggior consumo di alimenti animali che non i proletari inciviliti, i cui abiti di cotone e di lana falsificata, tessuti splendidamente da macchine perfezionate, non li garantiscono completamente dal rigore delle stagioni. La situazione del proletario è tanto più inferiore, in quanto l’organismo suo non è così robusto nè così avvezzo all’inclemenza dell’atmosfera come il corpo del barbaro.

Il borghese crede di rappresentare l’ideale dell’umanità; i suoi filosofi, liberi pensatori e religiosi, sono d’accordo nel mostrare questo essere spolpato o rigonfio di un grasso malsano e ricoperto di mali più che di vizi, come l’ultimo portato della evoluzione umana4; ma ogni osservatore imparziale non può far a meno di riconoscere l’inferiοrità fisica ed intellettuale degli uomini civili, tenendo conto naturalmente delle eccezioni, e la necessità di un’educazione ben intesa, iniziata fin dalle fasce, continuata durante la vita e proseguita per molte generazioni, affinchè l’essere umano possa riacquistare il vigore dei muscoli e la perfezione dei sensi dei barbari5.

Il produttore moderno è ridotto a possedere il minimum di oggetti d’appropriazione personale, strettamente necessario al soddisfacimento dei suoi più stringenti bisogni, appunto perchè i capitalisti ne posseggono tanti da saziare i loro più fantastici capricci.

Se pure avessero cinquanta capi e cento piedi, cοme gli Ecatonsciri della mitologia greca, questi non basterebbero per occupare i cappelli e gli stivali che ingombrano i loro armadj; i ricchi si affannano perchè non possono aumentare la capacità del loro stomaco per ingoiare i cibi che sovrabbondano sulle loro tavole; simili a quei sultani scervellati che popolano i loro serragli come se avessero la forza di una diecina di Ercoli per goderne appieno. Se i proletari soffrono per la mancanza di proprietà d’appropriazione personale, i capitalisti finiscono col diventarne i martiri, perchè ne hanno troppa.

La noia che li opprime e le malattie che li torturano, imbastardendo e spegnendo la loro razza decadente, sono le conseguenze inevitabili della sovrabbondanza in cui vivono.

I moralisti impiegherebbero meglio il tempo loro nel predicare ai borghesi la virtù dell’astinenza, piuttosto che nell’andar ripetendo ai proletari i precetti della triste morale del risparmio.

III. Proprietà - strumento di lavoro.

L'uomo, secondo l'espressione di Franklin, è un toolmaking animal — un animale che fabbrica utensili —: di fatto, l'utensile lo distingue dagli animali suoi antenati.

Alcune scimmie si servono di bastoni e di pietre, ma l'uomo è il solo animale che abbia lavorato la selce per farsene un'arma ed un utensile: cosicché la scoperta di una pietra lavorata in una caverna od in uno strato geologico, rivela la presenza dell'uomo in modo così certo come il rinvenimento di ossa umane.

Lo strumento di lavoro — coltello di selce del selvaggio, pialla del carpentiere, microscopio del fisiologo, ο campo del contadino — è un mezzo aggiunto agli organi dell'uomo per facilitare il soddisfacimento dei suoi bisogni materiali ed intellettuali.

Finché dura la piccola industria manuale, il produttore libero è proprietario del suo strumento di lavoro; nel medio evo, l'operaio (cοmpagnone) viaggiava col sacco degli utensili, come ai giorni nostri il chirurgo colla borsa degli strumenti. Il contadino, anche prima del costituirsi della proprietà privata del suolo, possedeva temporaneamente la porzione di terra che gli era toccata in sorte nella divisione dei campi; durante l’epoca feudale, il servo era così strettamente legato al campo che coltivava, da non poterne essere staccato.

Esistono ancora numerose tracce di questa proprietà personale dello strumento di lavoro, ma essa va disparendo con rapidità: in tutte le industrie ov’è entrata la meccanica, l’utensile venne strappato dalle mani dell’operaio per essere incorporato nella macchina, la quale non è più uno strumento individuale, bensì uno strumento collettivo, che non può per conseguenza appartenere individualmente al produttore. La civiltà capitalistica toglie all’uomo il suo complemento strumentale; questa spogliazione è incominciata storicamente coll’espropriazione delle armi, che furono i primi ordigni perfezionati. Il selvaggio ha l’arco e le frecce, che sono le sue armi ed i suoi utensili ad un tempo; il soldato è il primo proletario stato spogliato delle armi, cioè dei suoi strumenti di lavori, i quali divengono proprietà dello Stato che lo incorpora nell’esercito.

La civiltà capitalistica ha ridotto al minimum possibile la proprietà di appropriazione individuale; essa non puό andare oltre senza mettere in pericolo la vita del produttore, che la sua gallina dalle uova d'oro, e tende a spogliarlo completamente della proprietà-strumento di lavoro; per una parte della classe operaia europea, questa spogliazione è già un fatto compiuto.

IV. Proprietà - capitale.

Il capitale è la forma caratteristica della proprietà della società moderna; allo stato di fatto così generale e dominante, esso non è mai esistito in alcun'altra società.

La condizione essenziale di questa forma di proprietà è lo sfruttamento del produttore libero, spogliato ogni giorno di una parte dei valori che ha creato: Carlo Marx lo ha dimostrato in modo irrefutabile.

L'esistenza del capitale si basa sulla prοduzione mercantile, su di una forma di produzione in cui il lavoratore produce, non in vista del consumo proprio o di quello del signore feudale o del padrone di schiavi, ma del consumo del mercato. In altre società si vendeva e si comprava, ma l'oggetto di scambio era il soprappiù che avanzava dal consumo ordinario; in queste società si sfruttava il produttore, servo o schiavo, ma il proprietario aveva verso di lui certi doveri: così il padrone di schiavi nutriva la sua bestia da soma umana anche quando non gli dava lavoro; il capitalista è oggi liberato da questo peso, che incombe soltanto al produduttore libero.

L'animo sensibile di Plutarco s'indegnava contro Catone, l'orribile moralista, perchè vendeva gli schiavi invecchiati al suo servizio che cosa direbbe egli mai di ciò che accade ai giorni nostri?

Non v'ha capitalista, cristiano, libero pensatore, antisemita o filantropo, che non getti sulla via, a morir di fame, il proletario che l'ha arricchito a milioni. La borghesia, quantunque si atteggi rumorosamente a baluardo dell'umana libertà, perchè ha affrancato il servo e lo schiavo, non cerca di giungere all'emancipazione del produttore, bensì di sbarazzare il capitalista da qualsiasi obbligo verso il lavoratore. È soltanto quando la forma capitale della proprietà si realizza, che il proprietario può esercitare, in tutta la sua estensione, il diritto d'uso e d'abuso.

Queste sono le forme di proprietà che esistono nella società contemporanea: una semplice osservazione superficiale ci mostra che queste forme non sono immutevoli, ma volgono invece in uno stato di continua trasformazione.

Cοsì, p. es.: mentre la proprietà comune di origine antica va scomparendo di fronte all'invasione della proprietà privata, la proprietà privata capitalistica si trasforma in proprietà comune amministrata dallo Stato; ma prima di giungere a quest'ultima forma, il capitale spoglia il produttore del suo utensile individuale e crea lo strumento di lavoro collettivo. Dopo aver constatato nel presente questa evoluzione delle forme della proprietà, sarebbe indizio di corto ingegno e di poca perspicacia l'affermare che nel passato la proprietà sia rimasta sempre uguale a sé stessa e non abbia attraversato una serie di forme diverse prima di giungere a quella del capitale, destinato a scomparire alla sua volta ed a cedere il posto a nuove forme.

Credo utile, prima di incominciare la descrizione delle forme evolutive della proprietà, di dire qualche parola sul metodo che adοprerò in questo saggio di ricostruzione storica.

V. Metodo.

Tutti gli uomini, senza distinzione di razza, attraversano durante la loro vita le stesse fasi d'evoluzione; subiscono, ad una certa età, che varia entro stretti limiti secondo i climi, le stesse crisi di dentizione, di pubertà, di crescenza e di decrescenza: le società umane passano ugualmente per le stesse forme di famiglia, per le stesse instituzioni sociali, religiose e politiche, e pei costumi e per le idee filosofiche corrispondenti.

Vico, il quale fu detto il «padre della filosofia della storia», intravide primο questa grande legge dell'evoluzione storica, nella sua «Scienza nuora» parla: «d'una storia ideale, eterna, sopra la quale corrono in tempo tutte le storie di tutte le nazioni» ; e nota «che ovunque da tempi selvaggi, feroci e fieri «cominciano gli uomini ad addimesticarsi». (Principii di Scienza nuova; De' principi; libro II, sez. V, Milano, 1837).

Carlo Marx, il quale, allacciando i fenomeni del mondo politico e del mondo intellettuale e quelli del mondo economico, rinnovò la concezione della storia, conferma la legge del Vico là doνe dice, nella prefazione del Capitale, che: «il paese industrialmente più sviluppato mostra a quelli che lo seguono sulla scala industriale l'immagine del loro avvenire».

Se fosse conosciuta la storia di un popolo nel suo cammino dallο stato selvaggio allo stato incivilito, si avrebbe la storia-tipo di tutti i popoli che hanno abitato la terra; ma riesce impossibile seguire successivamente tutte le fasi percorse da una nazione qualsiasi.

Se non si può scrivere intieramente tale storia per la vita di un solo popolo o di una sola razza, si può ricostruirla raccogliendo e mettendo insieme i fatti conosciuti dei dei diversi popoli del mondo6.

Procedendo in tal modo, l'umanità puό conoscere, mentre invecchia, quale è stata la sua infanzia.

I costumi degli antenati dei popoli inciviliti si riproducono in quelli dei popoli selvaggi, che la civiltà non ha ancora distrutto. Gli usi, gli instituti sociali e politici, le religioni e le idee dei selvaggi e dei barbari permettono allo storico l'evocazione di un passato che poteva credersi affatto sepolto nell'oblio. Rivolgendosi ai popoli primitivi, si possono ritrovare le origini della proprietà; raccogliendo qua e là dei fatti nel mondo intero, si può tener dietro alle fasi evolutive di essa.


Note

1. I filosofi della scuola cartesiana consigliavano di incominciare qualsiasi discussione colla definizione dei termini della questione; prima dunque di andar oltre, determiniamo il senso esatto della parola capitale. Per capitale si intende qualsiasi proprietà che dia interesse, rendita, benefizio o profitto. È capitale una somma di denaro imprestata ad un certo interesse; è ugualmente Capitale uno strumento di lavoro qualunque (terra, telaio, officina meccanica, nave, etc.) messo in valore non dal proprietario stesso, ma da salariati.

Però il campo coltivato dal contadino proprietario con l'aiuto della propria famiglia, il fucile del bracconiere, la barca del pescatore, la pialla del falegname, il bisturi del chirurgo, la penna dello scrittore, etc...., quantunque siano proprietà, non sono capitali, cioè proprietà a forma capitalistica, perchè i loro possessori li utilizzano personalmente, invece di trarne profitto per mezzo del lavoro di altri individui.

Dicendo capitale, si dice proprietà fatta rendere per mezzo di salariati, che produce merci e dà profitti al proprietario. L'idea di profitto senza lavoro è attaccata alla parola capitale come una camicia di Nesso.

2. Il LA CURNE DE SAINTE-PALAYE fa menzione della parola capitale come di un aggettivo che serve a qualificare certe taglie; come sostantivo la si usa per indicare qualche parte d'un edifizio o di un abito (Dizionario dell'antica lingua francese, dalla sua origine fino a Luigi XIV). Il LITTRÉ la trova come aggettivo nei testi del XII secolo; la citazione più antica, in cui figuri come sostantivo, risale ai XVI secolo. Nel Dizionario del RICHELET (1728) la parola è citata come aggettivo e non ha che due o tre significati d'uso come sostantivo; così pure nel Dizionario del TRÉVOUX (1771). Bisogna giungere all'Enciclopedia del DIDEROT per trovarle un significato economico: "Capitale dicesi la somma che dev'essere rimborsata all'infuori degl'interessi. — Dicesi anche del fondo di una compagnia".

3. All'epoca della Rivoluzione, il capitalista era un animale cresciuto nella società da così poco tempo, che SEBASTIANO MERCIER, nel suo dizionario delle parole recentemente introdotte, edito nel 1802, faceva seguire le parola capitalista da questa curiosa definizione:

«Capitalista: non è molto conosciuto se non a Parigi. Denota un mostro di fortuna, un uomo dal cuore di bronzo, il quale non ha che affezioni metalliche. Dell'imposta territoriale, egli se ne infischia; non possiede un palmo di terra; in qual modo si potrà tassarlo?

Al pari degli Arabi del deserto, i quali, dopo avere svaligiata una carovana, nascondono sotto terra l'oro rubato per timori che altri Arabi sopraggiungano, i capitalisti hanno sotterrato il nostro danaro».

4. Un evoluzionista americano, vista la quantità e la precocità dei capi calvi e delle bocche sdentate che si osservano nella classe borghese – la quale, secondo la teoria darwiniana, è la classe perfezionata dalla concorrenza per la vita – conchiude predicendo una umanità senza capelli e senza denti: ciò accadrebbe senza dubbio, se la civiltà capitalistica durasse.

5. Cesare, a cui gli stravaganti ammiratori della civiltà capitalistica non possono certo negare la qualità di osservatore, non si stancava dall’ammirare la forza e la destrezza negli esercizi militari di quei Germani barbari che combattevano a corpo nudo e a capo scoperto i suoi soldati corazzati e coperti di elmo, e ch’egli non osava inseguire dopo averli vinti. – Durante la settima campagna, la sola gloriosa pei Romani, secondo Napoleone I, per vincere l’eroica resistenza dei Galli, guidati da Vercingetorige, egli mandò ad arruolare dei guerrieri oltre il Reno, e fece smontare degli ufficiali ed anche dei soldati di cavalleria per dar loro dei cavalli: n’ebbe ragione. Due volte, davanti Novidionum e Alesia, la cavalleria germanica, mentre le corti romane ripiegavano, riattaccò la pugna e respinse i Galli. Più d’un secolo dopo, Civile, per eccitare i Galli ed i Germani alla ribellione, ricordava loro come Cesare non avesse potuto conquistare le Gallie che coll’aiuto dei guerrieri germani.

Il ΜORGAN, uno dei rari antropologi che non condividono l'abituale sciocco disprezzo pei popoli non inciviliti, considera «che i progressi fatti durante l'età selvaggia e barbara sono forse più importanti di quelli compiuti nell'epoca di civiltà.»

I selvaggi ed i barbari trapiantati nella civiltà capitalistica fanno magra figura: perdono le loro qualità e contraggono con straordinaria facilità i vizi degli inciviliti; ma la storia degli Egiziani e dei Greci mostra a qual grado meraviglioso di sviluppo materiale ed intellettuale possa giungere un popolo barbaro posto in buone condizioni e libero nella sua evoluzione.

6. Nelle pagine che seguono, il lettore troverà dei fatti raccolti nel vecchio e nel nuovo mondo e riuniti coll’intenzione di provare che gli stessi fenomeni si riproducono presso tutti i popoli, qualunque sia la diversità dell’origine loro e il grado della loro cultura.



Ultima modifica 2021.05.15