Testo diffuso il 4 giugno 1956 dal Dipartimento di Stato statunitense e pubblicato con la data del 4 nel New York Times del 5 giugno 1956.
Tradotto dalla DC SPES (Democrazia Cristiana - Servizio propaganda e stampa) e trascritto da: Leonardo Maria Battisti, settembre 2018
I sottotitoli e i corsivi dell'edizione italiana non figurano nel testo americano; invece in esso figurano i riferimenti alle reazioni degli astanti, aggiunti da mano ignota al documento.
Compagni,
Nel rapporto del Comitato Centrale del partito al XX Congresso, in numerosi discorsi dei delegati al Congresso stesso ed anche prima, durante la sessione plenaria del Comitato Centrale del PCUS, si è parlato molto del culto della personalità e delle sue dannose conseguenze.
Dopo la morte di Stalin il Comitato Centrale del Partito cominciò ad attuare una politica intesa a spiegare decisamente e coerentemente che non è lecito ed è estraneo allo spirito del marxismo-leninismo esaltare una sola persona, e trasformarla in un superuomo in possesso di doti sovrannaturali simili a quelle di un Dio.
Un simile uomo è ritenuto in grado di sapere tutto, vedere tutto, pensare per tutti, fare qualsiasi cosa ed essere infallibile nella propria condotta.
Un simile culto per un uomo, e precisamente per Stalin, è stato diffuso tra di noi per molti anni.
Lo scopo del presente rapporto non è una valutazione esauriente e definitiva della vita di Stalin. Sui meriti di Stalin è stato già scritto durante la sua vita un numero sufficiente di libri, di opuscoli e di saggi. La funzione di Stalin nella preparazione e nella esecuzione della rivoluzione socialista, nella guerra civile e nella lotta per l’edificazione del socialismo nel nostro paese è universalmente nota e tutti la conoscono bene. Attualmente noi ci preoccupiamo di una questione che ha una immensa importanza per il nostro partito oggi e per il futuro. Ci preoccupiamo cioè di come si sia venuto gradualmente sviluppando il culto della persona di Stalin, quel culto che in un certo dato momento è divenuto la fonte di tutta una serie di gravissime perversioni dei principii del partito, della democrazia di partito e della legalità rivoluzionaria. E poiché non tutti si rendono ancora pienamente conto delle conseguenze pratiche che derivano dal culto della personalità, del grande danno causato dalla violazione del principio della direzione collegiale del partito ed in seguito all’accumularsi di un immenso e quasi illimitato potere nelle mani di una sola persona, il Comitato Centrale del partito ritiene assolutamente necessario portare a conoscenza del XX Congresso del PCUS il materiale relativo a tale questione.
Consentitemi innanzitutto di ricordarvi con quanta severità i classici del marxismo-leninismo ebbero a denunciare ogni manifestazione del culto della personalità. In una lettera all’esponente della classe operaia tedesca Wilhelm Bloss, Marx ebbe a dichiarare: «A causa della mia antipatia per qualsiasi forma di culto dell’individuo, non ho mai reso di pubblica ragione durante l’esistenza dell’Internazionale i numerosi indirizzi inviatimi da vari paesi che riconoscevano i miei meriti e mi infastidivano. Non mi sono neanche preoccupato di rispondervi, se non talvolta per confutare i loro autori. Engels ed io entrammo in origine a fare parte della società segreta dei comunisti, a condizione che tutto quello che potesse contribuire al culto superstizioso dell’autorità venisse eliminato dal suo statuto. Successivamente, Lassalle fece esattamente il contrario».
Qualche tempo dopo, Engels scrisse a sua volta: «Tanto Marx che io siamo sempre stati contrari a qualsiasi manifestazione pubblica che riguardasse gli individui, eccettuati i casi in cui esse avessero uno scopo importante, e soprattutto ci siamo opposti energicamente a quelle manifestazioni che durante la nostra vita ci interessavano personalmente».
È ben nota la grande modestia del genio della rivoluzione, Vladimir Ilic Lenin. Lenin aveva sempre sottolineato la funzione del popolo come creatore della storia, la funzione direttiva ed organizzativa del partito come organismo vivente e creativo ed anche la funzione del Comitato Centrale.
Il marxismo non nega la funzione dei capi della classe operaia nel dirigere il movimento rivoluzionario di liberazione.
Pure attribuendo grande importanza alla funzione dei capi e degli organizzatori delle masse, Lenin nello stesso tempo stigmatizzò senza pietà ogni manifestazione del culto della personalità. Combattè inesorabilmente le teorie estranee al marxismo sull’«eroe» e la «folla» ed osteggiò tutti gli sforzi intesi ad opporre il cosiddetto «eroe» alle masse ed al popolo.
Lenin insegnava che la forza del partito dipende dalla sua indissolubile unità con le masse, dal fatto che dietro il partito c’è il popolo: i lavoratori, i contadini e gli intellettuali. «Vincerà e manterrà il potere — egli ebbe a dire — solo colui che crede nel popolo, che si immerge nella fonte della viva creatività del popolo».
Lenin parlava con orgoglio del Partito comunista bolscevico come guida e maestro del popolo; egli voleva che tutti i più importanti problemi fossero sottoposti al giudizio dei lavoratori coscienti, al giudizio del loro partito ed affermava: «Noi crediamo in questo, vediamo in questo la saggezza, l’onore e la coscienza del nostro tempo».
Lenin si opponeva risolutamente ad ogni tentativo inteso a sminuire o indebolire la funzione direttiva del partito nella struttura dello Stato sovietico. Egli elaborò i principii bolscevici della direzione del partito e le norme della vita di partito, sottolineando che il principio cardinale della direzione del partito risiede nella sua collegialità. Già durante gli anni precedenti alla rivoluzione, Lenin ebbe a definire il Comitato Centrale del partito «un organo collettivo di dirigenti e il guardiano e l’interprete dei principii del partito». «Nel periodo tra un Congresso e l’altro — ebbe a rilevare Lenin — il Comitato Centrale provvede alla vigilanza ed alla interpretazione dei principii del partito».
Illustrando la funzione del Comitato Centrale del partito e la sua autorità, Vladimir Ilic ebbe a rilevare: «Il nostro Comitato Centrale si è costituito come un organo strettamente centralizzato e di grande autorità...».
Durante la vita di Lenin il Comitato Centrale del partito fu realmente l’espressione della direzione collegiale del partito e della nazione. Pur essendo un rivoluzionario marxista militante, sempre inflessibile su questioni di principio, Lenin non impose mai con la forza la sua opinione ai collaboratori. Egli cercava di convincerli e spiegava pazientemente le proprie opinioni agli altri. Lenin si preoccupò sempre diligentemente che fossero attuate le norme della vita, che fosse rispettato lo statuto del partito, che i congressi del partito e le sessioni plenarie del Comitato Centrale avessero luogo ad opportuni intervalli.
Oltre alle grandi realizzazioni di V. I. Lenin per la vittoria della classe lavoratrice e dei lavoratori rurali, per la vittoria del nostro partito e per la applicazione pratica dei principii del comunismo scientifico, la sua viva perspicacia si espresse anche nel fatto che egli scoprì tempestivamente in Stalin quelle caratteristiche negative che più tardi determinarono gravi conseguenze. Temendo per la futura sorte del partito e della nazione sovietica, V. I. Lenin tracciò un ritratto perfettamente esatto di Stalin, rilevando che era necessario prendere in esame la possibilità di allontanare Stalin dalla carica di Segretario Generale perchè Stalin era troppo rozzo, perchè non aveva un atteggiamento adeguato nei riguardi dei suoi compagni, perchè era capriccioso ed abusava del proprio potere.
Nel dicembre 1922 in una lettera al Congresso del partito Vladimir Ilic scrisse: «Dopo avere assunto la carica di Segretario Generale, il compagno Stalin ha accumulato nelle sue mani un potere illimitato e non sono sicuro che egli sarà sempre capace di usare di tale potere con la dovuta saggezza».
Questa lettera — un documento politico di immensa importanza noto nella storia del partito come il «testamento» di Lenin — è stato distribuito ai delegati al Congresso del partito. Voi lo avete letto e indubbiamente lo leggerete ancora più di una volta. Sarà opportuno che voi riflettiate sulle chiare parole di Lenin in cui si esprime l’ansia di Vladimir Ilic per il partito, il popolo, lo Stato e la futura direzione della politica del partito. Vladimir Ilic ebbe a dire: «Stalin è troppo rozzo, e questo difetto, che può essere liberalmente tollerato nel nostro ambiente e nei contatti fra noi comunisti, diventa un difetto che non può essere tollerato in chi occupa la carica di Segretario Generale. Per questo motivo io propongo che i compagni studino un metodo per cui Stalin possa essere allontanato da tale carica e per cui venga designato ad occuparla un altro uomo, un uomo che, soprattutto, differisca da Stalin in alcune doti, e cioè una maggiore tolleranza, una maggiore lealtà, una maggiore gentilezza ed un atteggiamento più misurato verso i compagni, un temperamento meno capriccioso, ecc.».
Questo documento di Lenin fu reso noto ai delegati al XIII Congresso del Partito, che discusse la questione di allontanare Stalin dalla carica di Segretario Generale. I delegati si dichiararono favorevoli a mantenere Stalin a quel posto, sperando che egli tenesse conto delle osservazioni critiche di Vladimir Ilic e fosse capace di superare i difetti che avevano suscitato tanta preoccupazione in Lenin.
Compagni! Il Congresso del Partito dovrebbe prendere conoscenza di due nuovi documenti, che vengono a confermare il carattere di Stalin quale lo aveva già descritto Vladimir Ilic Lenin nel suo «testamento». Questi documenti sono: una lettera di Nadezhda Konstantinovna Krupskaia a Kamenev, che era a quell’epoca a capo del Politburo, e una lettera personale di Vladimir Ilic a Stalin.
Vi leggerò ora questi documenti:
1) «Lev Borisovic! A causa di una breve lettera che gli
avevo scritto e che mi era stata dettata da Vladimir Ilic
con il permesso dei dottori, Stalin ieri si è permesso di
rivolgersi a me in maniera singolarmente insolente nei
miei confronti. Non sono l’ultima arrivata nel partito.
Durante tutti questi trenta anni, non mi è stata mai rivolta
da alcun compagno una sola parola sgarbata. Gli interessi
del partito e di Ilic non stanno meno a cuore a me che a
Stalin. Ho bisogno attualmente di avere tutto il mio
autocontrollo.
«So meglio di tutti i dottori quello che si può e non si
può discutere con Ilic, perchè so che cosa lo innervosisce
e che cosa no. in ogni caso lo so meglio di Stalin. Mi
rivolgo a te ed a Grigory, in quanto siete i più intimi
compagni di Vladimir e vi prego di proteggermi da brutali
interferenze nella mia vita privata e da vili insulti e
minacce. Non ho dubbi su quella che sarà la unanime
decisione delia Commissione di controllo, con la quale
Stalin ritiene opportuno minacciarmi; tuttavia, non ho
nè energia nè tempo da sprecare in questa stupida
controversia. Sono un essere umano e i miei nervi sono
ormai tesi al massimo. - N. Krupskaia».
2) La lettera di V. L Lenin.
«Caro Compagno Stalin!
«Tu ti sei permesso di chiamare mia moglie al telefono e
di rimproverarla aspramente. Malgrado ella ti avesse
comunicato che era disposta a dimenticare quanto era
stato detto, Zinoviev e Kamenev hanno sentito parlare
della cosa da lei. Non ho intenzione di dimenticare
facilmente quanto viene fatto contro di me e non ho
bisogno di sottolineare che considero diretto contro di
me quanto viene fatto contro mia moglie. Ti invito quindi
a considerare attentamente se sei disposto a ritrattare le
tue parole ed a formulare delle scuse o se preferisci che
vengano rotti i rapporti tra noi. (Sensazione nell’aula).
5 marzo 1923 Ti saluto: Lenin».
Compagni! Non farò alcun commento su questi documenti: essi si commentano eloquentemente da soli. Dato che Stalin si comportava in questo modo quando era vivo Lenin, si comportava in questo modo nei confronti di Nadezhda Konstantinovna Krupskaja, che il partito ben conosce ed altamente apprezza come sincera amica di Lenin ed attiva combattente per la causa del partito fin dalla sua fondazione, possiamo facilmente immaginare come Stalin si sia comportato verso altre persone. Queste sue caratteristiche negative si vennero sempre più sviluppando, e durante gli ultimi anni acquistarono un carattere assolutamente insopportabile.
Come i successivi avvenimenti hanno dimostrato, l’ansia di Lenin era giustificata: nel primo periodo dopo la morte di Lenin, Stalin si attenne ai di lui consigli, ma successivamente prese a non tenere più conto dei gravi ammonimenti di Vladimir Ilic.
Se analizziamo la condotta di Stalin nei confronti della direzione del partito e del paese, se ci soffermiamo a considerare tutto quello che egli ha perpetrato, dobbiamo convincerci che i timori di Lenin erano giustificati. Le caratteristiche negative di Stalin, che all’epoca di Lenin cominciavano appena a profilarsi, si trasformarono negli ultimi anni in un grave abuso di potere da parte sua, che ha arrecato indicibili danni al nostro partito.
Dobbiamo esaminare attentamente ed analizzare correttamente tale questione, al fine di impedire che possa ripetersi sotto qualsiasi forma quanto è avvenuto durante la vita di Stalin, che assolutamente non tollerava la collegialità nella direzione e nel lavoro e che adottava una brutale violenza non solo contro tutto quello che gli si opponeva, ma anche contro tutto quello che al suo temperamento capriccioso e dispotico appariva contrario alle sue vedute.
Stalin non operava mediante una chiara spiegazione ed una paziente collaborazione con gli altri, ma imponendo le proprie vedute ed esigendo un’assoluta sottomissione ai suoi voleri. Chiunque si opponesse a tali vedute o cercasse di far valere il proprio punto di vista e la validità della propria posizione era destinato ad essere eliminato dagli organi collegiali direttivi e, di conseguenza, ad essere annientato moralmente e fisicamente. Questo si verificò particolarmente durante il periodo che seguì il XVII Congresso del Partito, quando molti illustri dirigenti e membri del Partito, onesti e sinceramente dediti alla causa del comunismo, rimasero vittime del dispotismo di Stalin.
Noi dobbiamo ricordare che il partito aveva combattuto una grave lotta contro i trotskisti, i deviazionisti di destra e i nazionalisti borghesi, e che esso disarmò ideologicamente tutti i nemici del leninismo. Questa lotta ideologica venne condotta a termine con successo ed a seguito di ciò il partito risultò rafforzato e moderato. In questo, Stalin svolse una funzione positiva. Il partito condusse una grande lotta politica ed ideologica contro coloro che nei suoi stessi ranghi proponevano tesi anti-leniniste e rappresentavano una linea politica ostile al partito ed alla causa del socialismo. Fu questa una lotta tenace e difficile, ma necessaria, perchè la linea politica sia del blocco dei fautori di Trotsky e di Zinoviev, sia dei bukhariniani, portava in realtà ad una restaurazione del capitalismo e ad una capitolazione di fronte alla borghesia mondiale. Consideriamo un momento che cosa sarebbe accaduto se fossero prevalse tra noi la linea politica dei deviazionisti di destra, o l’orientamento verso «la industrializzazione dei vestiti di cotone» o verso i kulaki, ecc. Non avremmo oggi una poderosa industria pesante, non avremmo i colcos, ci troveremmo disarmati e deboli di fronte all’accerchiamento capitalista.
Fu per questa ragione che il partito condusse una inesorabile lotta ideologica e spiegò a tutti i membri del partito ed alle masse non iscritte al partito il danno ed il pericolo delle tesi anti-leniniste della opposizione trotskista e degli opportunisti di destra. E questa grande opera per spiegare la linea del partito portò i suoi frutti: sia i trotskisti che gli opportunisti di destra furono politicamente isolati; la stragrande maggioranza del partito appoggiò la linea leninista ed il partito stesso fu in grado di galvanizzare ed organizzare le masse lavoratrici per la applicazione della linea leninista del partito e per la edificazione del socialismo.
È degno di nota il fatto che, anche durante il corso della grave lotta ideologica contro i trotskisti, i seguaci di Zinoviev, di Bukharin ed altri non si ricorse contro di loro a misure repressive di carattere estremista, poiché la lotta veniva combattuta sul terreno ideologico.
Ma qualche anno più tardi, quando il socialismo nel nostro Paese era già fondamentalmente edificato, quando le classi sfruttatrici erano state in linea di massima liquidate, quando si era violentemente ridotta la base sociale dei movimenti politici e dei gruppi ostili al partito, quando già da tempo gli oppositori ideologici del partito erano politicamente sconfitti: allora ebbe inizio la repressione diretta contro di loro. Fu precisamente in questo periodo (1935-1937-1938) che ebbe origine il sistema della repressione in massa attuata attraverso l’apparato governativo prima contro i nemici del leninismo — i seguaci di Trotski, di Zinoviev, di Bukharin, già da tempo sconfitti politicamente dal partito — e successivamente anche contro molti onesti comunisti, contro quei dirigenti del partito che avevano sopportato il grave onere della guerra civile, i primi e più difficili anni della industrializzazione e della collettivizzazione, che combatterono attivamente contro i troskisti e i deviazionisti di destra per la linea leninista del partito.
Fu Stalin a formulare il concetto di «nemico del popolo». Questo termine rese automaticamente superfluo che gli errori ideologici di uno o più uomini implicati in una controversia venissero provati. Questo termine rese possibile l’uso della repressione più crudele, in violazione di tutte le norme della legalità rivoluzionaria, contro chiunque che in qualsiasi modo fosse in disaccordo con Stalin, contro coloro che fossero appena sospettati di intenzioni ostili, contro coloro che non godessero di buona fama. Il concetto di «nemico del popolo» eliminò praticamente la possibilità di qualsiasi forma di battaglia ideologica e la possibilità di render noto il proprio punto di vista su questo o quel problema, anche quelli di carattere pratico. Principalmente, e nella prassi, l’unica prova di colpevolezza usata, contro tutte le norme del diritto, era la «confessione» dell’imputato stesso; e, come provarono le successive risultanze, le «confessioni» venivano ottenute mediante pressioni fisiche contro gli accusati.
Ciò portò ad evidenti violazioni della legalità rivoluzionaria e al fatto che molte persone del tutto innocenti, che in passato avevano difeso la linea del partito, rimasero vittime delle repressioni. Dobbiamo affermare che, per quanto riguarda coloro che a suo tempo si erano opposti alla linea del partito, spesso non vi erano ragioni sufficientemente serie per la loro liquidazione fisica. La formula «nemico del popolo» fu introdotta specificamente allo scopo di eliminare fisicamente tali individui.
Sta di fatto che molte persone che più tardi furono liquidate come nemici del partito e del popolo avevano collaborato con Lenin quando egli era vivo. Alcune di esse avevano commesso degli errori quando Lenin era ancora vivo, ma ciononostante Lenin si avvalse della loro opera, corresse i loro errori, fece tutto il possibile per mantenerli nelle file del partito e li convinse a seguirlo.
A tale riguardo i delegati al Congresso del partito dovrebbero prendere conoscenza di una nota inedita di V. I. Lenin diretta al Politburo del Comitato Centrale nell’ottobre 1920.
Illustrando i compiti della Commissione di controllo, Lenin scriveva che la Commissione doveva trasformarsi in un autentico «organo della coscienza del partito e del proletariato».
«Come compito speciale della Commissione di controllo, si raccomanda un rapporto individuale profondo, ed a volte persino una specie di cura, per i rappresentanti della cosiddetta opposizione, coloro che hanno attraversato una crisi psicologica in seguito ad un fallimento nella carriera nei Soviet e nel partito. Si dovrebbe compiere un tentativo per calmarli, per spiegar loro il problema in maniera consona ai rapporti fra compagni, per affidare loro (evitando il metodo di emanare ordini) un compito per il quale essi siano psicologicamente adatti. Consigli e norme relativi a tale questione dovranno essere formulati dall’Ufficio organizzativo del Comitato Centrale».
Tutti sanno come Lenin fosse implacabile con i nemici ideologici del marxismo, con i deviazionisti dalla linea ufficiale del partito. Nello stesso tempo, tuttavia, Lenin, come risulta evidente dal suddetto documento, nella sua azione direttiva del partito esigeva il più intimo contatto del partito stesso con coloro che avevano manifestato delle incertezze od un temporaneo non conformismo con la linea del partito, ma che era possibile riportare sulla via retta. Lenin suggeriva che costoro venissero pazientemente rieducati, senza ricorrere alla applicazione di misure estreme.
La saggezza di Lenin nei rapporti con gli altri risulta evidente nel suo lavoro con i quadri del partito.
Un rapporto del tutto diverso con gli altri caratterizza invece Stalin. Le caratteristiche di Lenin — un paziente lavoro sugli individui, un tenace e faticoso sforzo per educarli, la capacità di indurre gli altri a seguirlo senza ricorrere alla coercizione, ma piuttosto sotto l’influenza ideologica esercitata su di essi da tutta la collettività — rimasero sempre del tutto estranee a Stalin. Questi ripudiò il metodo leninista della persuasione e della educazione, abbandonò il metodo della lotta ideologica sostituendolo con quello della violenza statale, della repressione in massa e del terrore. Egli agì, su scala sempre più vasta e con sempre maggiore arbitrio, attraverso gli organi repressivi, violando spesso, nello stesso tempo, tutte le norme esistenti della morale e della legge sovietica.
Il comportamento arbitrario di un solo individuo incoraggiava e permetteva che anche altri commettessero arbitrii. Esecuzioni di massa, svolte senza processo e senza inchieste, creavano uno stato di incertezza, di paura e anche di disperazione.
Tutto ciò, naturalmente, non contribuiva a rinsaldare l’unità tra le fila del partito ed i vari strati del popolo lavoratore, provocando al contrario la eliminazione e l’espulsione dal partito stesso di collaboratori ad esso fedeli, ma invisi a Stalin.
Il nostro Partito ha combattuto per la realizzazione dei progetti di Lenin relativi alla edificazione del socialismo. Si trattava di una lotta ideologica. Se, nello svolgimento di tale lotta, fossero stati rispettati i principii di Lenin, se l’aderenza del partito a tali principii fosse stata abilmente abbinata ad un profondo e vigile interesse per il popolo, se questo non fosse stato respinto ed inutilizzato anziché attirato verso di noi, non avremmo certo avuto una così brutale violazione della legalità rivoluzionaria e molte migliaia di persone non sarebbero scomparse, vittime di questo sistema basato sul terrore. In tal caso, si sarebbe ricorsi a metodi straordinari solo nei confronti di coloro che avevano effettivamente commesso crimini contro il sistema sovietico.
Esaminiamo alcuni fatti ormai storici.
Nei giorni che precedettero la rivoluzione di ottobre, due membri del Comitato Centrale del partito bolscevico, Kamenev e Zinoviev, si dichiararono contrari al piano di Lenin di una sollevazione armata. Inoltre, il 18 ottobre essi pubblicarono nell’organo del partito menscevico, «Novaia Zhizn», una dichiarazione nella quale si affermava che i bolscevichi stavano preparando una sollevazione e che essi consideravano tale impresa avventurosa. Kamerev e Zinoviev rivelavano così al nemico che il Comitato Centrale aveva deciso di inscenare la sollevazione e che era stato organizzato che essa avvenisse in un futuro assai prossimo.
Ciò costituiva un tradimento nei confronti del partito e della rivoluzione. A tale proposito, V. I. Lenin scrisse: «Kamenev e Zinoviev rivelarono a Rodzianko e Kerensky la decisione presa dal Comitato Centrale del loro partito di procedere ad una sollevazione armata...». Ciò pose al Comitato Centrale il problema della espulsione dal partito di Zinoviev e Kamenev.
Con tutto ciò, dopo la grande rivoluzione socialista dell’ottobre, come è noto, furono conferite a Zinoviev e Kamenev importanti posizioni direttive. Lenin affidò loro incarichi nei quali essi assolvevano i compiti di maggiore responsabilità del partito e partecipavano attivamente all’attività del partito stesso e di tutti gli organi sovietici. È noto come Zinoviev e Kamenev commettessero durante la vita di Lenin una serie di altri gravi errori. Nel suo «testamento», Lenin avvertì che l’episodio «Zinoviev-Kamenev, avvenuto nell’ottobre, non rappresentava certo un caso accidentale». Lenin però non pose certamente il problema del loro arresto e della loro fucilazione.
Esaminiamo ora il caso dei trotskisti. Oggi, essendo trascorso un periodo sufficientemente lungo dal punto di vista storico, possiamo parlare della lotta contro i trotskisti con assoluta calma ed analizzare la questione con sufficiente obiettività. Dopo tutto, intorno a Trotski erano individui la cui origine non può certamente essere fatta risalire alla società borghese. Parte di essi apparteneva all’intellighenzia del partito ed altri erano stati reclutati tra i lavoratori stessi.
Possiamo fare il nome di molti individui, che al loro tempo si unirono ai trotskisti; questi individui presero parte attiva al movimento dei lavoratori nel periodo che precedette la rivoluzione, durante la rivoluzione socialista di ottobre ed anche nel periodo che vide il consolidarsi della vittoria di questa che fu la più grande tra tutte le rivoluzioni. Molti di essi si staccarono dal trotskismo e tornarono su posizioni leniniste. Era necessario eliminare tali individui? Siamo profondamente convinti che se Lenin fosse vissuto, metodi così estremisti non sarebbero stati usati contro molti di loro.
Questi non sono che alcuni dei fatti storici. Ma possiamo affermare che Lenin si rifiutava di ricorrere ai metodi più severi contro i nemici della rivoluzione quando ciò era veramente necessario? Indubbiamente nessuno può affermare ciò. Vladimir Ilic esigeva che si trattassero i nemici della rivoluzione e della classe lavoratrice senza compromessi e, quando necessario, ricorse spietatamente a tali metodi. Basterà che voi ricordiate la lotta di Lenin contro gli organizzatori della sollevazione antisovietica di ispirazione socialrivoluzionaria, contro i kulaki controrivoluzionari nel 1918 e contro altri ancora, lotte nelle quali Lenin ricorse senza esitare ai metodi più estremi per eliminare i nemici. Ma Lenin si servì di tali metodi solo contro i veri nemici della classe lavoratrice, e non contro coloro che commettono sbagli più o meno gravi, ma che è possibile guidare attraverso una influenza ideologica e perfino mantenere in cariche direttive.
Lenin si servì di metodi severi solo nei casi più necessari, e cioè quando le classi sfruttatrici esistevano ancora e si opponevano alla rivoluzione, quando la lotta per la sopravvivenza aveva assunto decisamente le forme più acute, tra cui la guerra civile.
Stalin invece ricorse a mezzi estremi ed a repressioni di massa in un periodo in cui la rivoluzione era già vittoriosa, in cui lo Stato sovietico si era rafforzato, le classi sfruttatrici erano già state liquidate e i metodi socialisti saldamente radicati in tutte le fasi della economia nazionale, in cui il nostro partito era politicamente consolidato e rafforzato sia numericamente che ideologicamente. È chiaro che Stalin mostrò, in tutta una serie di casi, la sua intolleranza, la sua brutalità ed il suo abuso di potere. Invece di mostrare correttezza politica e di mobilitare le masse, egli preferì spesso ricorrere alla repressione ed alla eliminazione, non soltanto nel caso di veri nemici, ma anche di individui che non avevano commesso alcun delitto contro il partito ed il governo sovietico. Non si riscontra in ciò segno di saggezza, ma solo una prova di quella forza brutale che aveva un tempo così profondamente preoccupato V. I. Lenin.
Più tardi, specialmente dopo che era stato scoperto il complotto della banda Beria, il Comitato Centrale esaminò attentamente una serie di questioni manipolate da questa banda. Ciò rivelò un quadro assai brutto di brutalità e arbitrio derivante dal comportamento scorretto di Stalin.
Come dimostrano i fatti, Stalin, servendosi del suo illimitato potere, si permise molti abusi agendo a nome del Comitato Centrale senza chiedere la opinione dei membri di esso e neppure dei membri del Politburo del Comitato stesso; spesso egli non li informava delle decisioni personali da lui prese su importanti questioni di partito e di governo. Nell’esaminare la questione del culto della personalità, dobbiamo in primo luogo dimostrare a tutti quali danni tale culto ha causato agli interessi del nostro partito.
Vladimir Ilic Lenin aveva sempre posto in rilievo il compito e l’importanza del partito nella direzione dello Stato socialista degli operai e dei contadini; egli vedeva in ciò il requisito essenziale per un favorevole radicarsi del socialismo nel nostro paese. Rilevando la grande responsabilità che ricadeva sul partito bolscevico in quanto partito al comando nello Stato sovietico, Lenin sollecitava la osservanza più meticolosa di tutte le norme della vita di partito, la realizzazione dei principii della direzione collegiale sia nel Partito che nello Stato.
La norma della direzione collegiale scaturisce dalla natura stessa del nostro Partito, partito costruito sui principii del centralismo democratico. «Ciò significa — disse Lenin — che tutte le questioni di partito vengono trattate — direttamente od in via rappresertativa — da tutti i membri del partito, i quali senza eccezione alcuna sono soggetti alle stesse norme; inoltre tutti i membri della direzione, tutti gli organi direttivi, tutti coloro che ricoprono cariche nel partito, sono elettivi, devono rendere conto della attività svolta e sono revocabili».
È notò come Lenin stesso abbia dato un esempio della più attenta osservanza di tali principii. Non è mai esistita questione più importante che Lenin abbia deciso senza richiedere il consiglio e la approvazione della maggioranza dei membri del Comitato Centrale o dei membri del Politburo di questo Comitato. Nel periodo più difficile per il partito e per il paese, Lenin ritenne necessario convocare regolarmente congressi, conferenze di partito e sessioni plenarie del Comitato Centrale, nelle quali venivano discusse tutte le questioni più importanti ed approvate risoluzioni attentamente elaborate collegialmente dai dirigenti.
Possiamo ricordare, ad esempio, l’anno 1918 in cui il paese fu minacciato dall’attacco di interventisti imperialistici. In tale situazione, il VII Congresso del partito venne convocato onde discutere una questione di importanza vitale che non poteva essere rinviata, e cioè la pace. Nel 1919, mentre infuriava la guerra civile, fu convocato l’VIII Congresso del Partito, che approvò per il partito stesso un nuovo programma, decise questioni importanti come i rapporti con le masse contadine, la organizzazione dell’esercito sovietico, il compito direttivo spettante al partito nella attività dei Soviet, gli emendamenti alla composizione sociale del partito ed altre questioni. Nel 1920 fu indetto il IX Congresso del Partito, che elaborò i principii direttivi relativi all’opera del partito nella sfera della ricostruzione economica.
Nel 1921 il X Congresso del Partito accettò la nuova politica economica di Lenin ed approvò la storica risoluzione denominata «A proposito dell’unità del partito».
Durante la vita di Lenin, i congressi di partito furono tenuti regolarmente; ogni qualvolta si verificava una svolta importante nello sviluppo del partito e del paese, Lenin riteneva assolutamente necessario che il partito discutesse esaurientemente tutti gli elementi fondamentali relativi alla politica interna ed estera ed a questioni riferentisi ai progressi del partito e del governo.
È molto significativo che Lenin indirizzasse i suoi ultimi articoli e le sue ultime lettere ed osservazioni al Congresso del Partito come all’organo più elevato di esso. Durante gli intervalli tra un congresso e l’altro, il Comitato Centrale del Partito, nella sua qualità di supremo organo collegiale, osservava meticolosamente i principi del partito e ne attuava le direttive. Tutto ciò si verificò durante la vita di Lenin. I sacrosanti principi leninisti del nostro partito furono rispettati dopo la morte di Vladimir Ilic?
Mentre nei primi anni dopo la morte di Lenin, i congressi di partito e i plenum del Comitato Centrale furono tenuti più o meno regolarmente, successivamente, quando Stalin cominciò ad abusare sempre più del potere, tali principii furono brutalmente violati. Ciò divenne soprattutto evidente durante gli ultimi quindici anni della sua vita. Rappresenta forse una situazione normale che siano trasccorsi tra il XVIII e il XIX Congresso di partito ben 13 anni, in cui il partito e il paese parteciparono a così importanti avvenimenti? Tali avvenimenti richiedevano categoricamente che il partito esaminasse ed approvasse le risoluzioni relative alla difesa del paese durante la guerra patriottica e la ricostruzione pacifica dopo la guerra. Anche dopo la fine della guerra trascorsero oltre sette anni prima che fosse convocato un congresso.
I plenum del Comitato Centrale erano anch’essi raramente indetti. Basterà ricordare che durante tutti gli anni della guerra patriottica non fu tenuto neppure un plenum del Comitato Centrale.
È bensì vero che nell’ottobre 1941 vi fu un tentativo per tenere un plenum del Comitato Centrale e i membri di esso furono chiamati a Mosca da tutte le parti del paese. Essi aspettarono due giorni che il plenum si aprisse, ma ciò non accadde, perchè Stalin non volle neppure incontrarsi e parlare con i membri del Comitato Centrale. Ciò dimostra quanto Stalin fosse demoralizzato nei primi mesi della guerra e con quanto disprezzo e superbia egli trattasse i membri del Comitato.
In realtà Stalin ignorava le norme che regolano la vita di partito e calpestava il principio leninista della direzione collegiale di partito.
L’ostinata indifferenza di Stalin nei confronti del Partito e del Comitato Centrale divenne del tutto evidente dopo il XVIII Congresso del Partito, tenuto nel 1934.
Disponendo di numerosi dati che dimostravano una brutale indifferenza verso i quadri del partito, il Comitato Centrale ha istituito una commissione di partito sotto il controllo del Presidium del Comitato Centrale; tale commissione è stata incaricata di investigare le cause che permisero la repressione di massa contro la maggioranza dei membri del Comitato Centrale ed i candidati eletti durante il XVII Congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica (b).
La Commissione ha potuto esaminare una grande quantità di materiale negli archivi della NKWD ed altri documenti ed ha accertato molti fatti relativi alla manipolazione di casi contro comunisti, di false accuse, di sfacciati abusi nei confronti della legalità soccialista, il che provocò la morte di persone innocenti. È divenuto evidente che molti attivisti del Partito, del Governo e degli organi economici i quali nel 1937-38 furono bollati come «nemici» non furono mai in realtà dei nemici, delle spie o dei sabotatori, ecc., ma semplicemente degli onesti comunisti; bollati con queste accuse, spesso non essendo più in grado di sopportare barbare torture, si autoaccusavano (per ordine dei giudici istruttori-falsificatori) di ogni genere di gravi e assurdi delitti. La Commissione ha presentato al Presidium del Comitato Centrale esaurienti e documentati materiali di prova, relativi alle repressioni di massa contro i delegati al XVII Congresso del Partito e contro i membri del Comitato Centrale eletti durante tale congresso.”Tale materiale è stato studiato dal Presidium del Comitato Centrale.
È stato accertato che sui 139 membri e candidati del Comitato Centrale dei Partito, eletti durante il XVII Congresso, 98, e cioè il 70%, furono arrestati e fucilati (per la maggior parte nel 1937 e 1938). (Grida di indignazione nella sala).
Come era composta la massa dei delegati al XVII Congresso? È noto che l’80% dei votanti che partecipavano al XVII Congresso era entrato nel partito durante gli anni della cospirazione, prima della rivoluzione e durante la guerra civile, e cioè prima del 1921. Per origine sociale, la massa dei delegati al Congresso era composta da lavoratori (60% dei membri votanti).
Per tale ragione, è inconcepibile che un Congresso così composto potesse eleggere un Comitato Centrale la cui maggioranza risultasse formata da nemici del partito. L’unica ragione per cui il 70% dei membri e dei candidati del Comitato Centrale eletti durante il Congresso furono bollati come nemici del partito e del popolo è rappresentata dal fatto che i comunisti onesti furono calunniati, false accuse vennero fabbricate contro di loro e la legalità rivoluzionaria ne risultò quindi gravemente minata.
Allo stesso destino andarono incontro non soltanto i membri del Comitato Centrale, ma anche la maggioranza dei delegati al XVII Congresso del Partito. Dei 1966 delegati con diritto di voto o di consulenza, 1108, e cioè assai più della maggioranza, furono arrestati su accusa di delitti antirivoluzionari. Questo fatto dimostra quanto assurde, spietate e contrarie al buonsenso furono le accuse di delitti antirivoluzionari formulate, come oggi constatiamo, contro la maggioranza dei partecipanti al XVII Congresso del Partito. (Indignazione nella sala).
Dobbiamo ricordare che il XVII Congresso del Partito viene storicamente ricordato come il congresso dei vincitori. I delegati a tale congresso avevano partecipato attivamente alla edificazione dello Stato socialista; molti di loro avevano sofferto e combattuto per gli interessi del Partito durante gli anni che precedettero la rivoluzione, cospirando e sui fronti della guerra civile; avevano combattuto i loro nemici con coraggio e spesso guardato in viso la morte senza battere ciglio. Come possiamo credere che individui del genere si siano dimostrati «doppio giochisti» e siano passati nel campo dei nemici del socialismo nel periodo che seguì la liquidazione politica dei seguaci di Zinoviev, di Trotski e degli elementi di destra e dopo le grandi realizzazioni dell’edificazione socialista?
Tutto ciò fu il risultato di un abuso di potere da parte di Stalin, il quale cominciò a servirsi del terrore di massa contro i quadri del Partito.
Qual’è la ragione per cui le repressioni di massa contro gli attivisti andarono sempre più aumentando dopo il XVII Congresso? La ragione è che Stalin in quell’epoca si era posto così al disopra del partito e della nazione da non avere più alcuna considerazione per il Comitato Centrale e per il partito stesso. Mentre prima del XVII Congresso egli contava ancora sull’opinione collegiale, dopo la liquidazione politica definitiva dei seguaci di Trotski, di Zinoviev e di Bukarin, quando a seguito di tale lotta e della vittoria socialista il partito aveva raggiunto l’unità, Stalin cessò in misura sempre maggiore di tenere in considerazione i membri del Comitato Centrale del partito ed anche quelli del Politburo. Stalin riteneva di poter ormai decidere tutto da solo e le uniche persone di cui aveva bisogno erano gli addetti alla statistica. Egli trattava tutti gli altri in maniera tale che ad essi non era permesso che ascoltarlo e lodarlo.
Dopo il criminale assassino di S. M. Kirov ebbero inizio le repressioni di massa e le brutali violazioni della legalità socialista. La sera del 1° dicembre 1934, su iniziativa di Stalin (senza l’approvazione del Politburo che la diede due giorni dopo, per caso) il segretario del Presidium del Comitato Esecutivo Centrale, Yenukidze, firmava le seguenti direttive:
1) Si ordina agli enti investigativi di accelerare la procedura nei casi di coloro che sono accusati di avere ordito o attuato atti terroristici.
2) Si ordina agli organi giudiziari di non sospendere, nei casi di delitti appartenenti a tale categoria, l’esecuzione delle sentenze di morte allo scopo di esaminare la possibilità di una grazia, in quanto il Presidium del Comitato Esecutivo Centrale dell’URSS non ritiene possibilie accogliere petizioni di tal genere.
3) Si ordina agli organi del Commissariato per gli Affari Interni di eseguire le condanne a morte contro criminali appartenenti alla categoria summenzionata subito dopo l’emanazione della sentenza.
Tali direttive divennero la base per abusi di massa contro la legalità socialista. Durante lo svolgimento di molti dei processi su casi creati ad arte gli imputati furono accusati di «aver preparato» atti terroristici; ciò toglieva loro qualsiasi possibilità di revisione dei loro casi, anche quando essi affermavano dinanzi al tribunale che le loro «confessioni» erano state estorte con la forza e quando smantellavano in maniera convincente le accuse elevate contro di loro. Bisogna affermare che ancor oggi le circostanze in cui si svolse l’assassinio di Kirov nascondono molti elementi inspiegabili e misteriosi e richiedono un esame più approfondito. Vi sono ragioni per sospettare che l’uccisore di Kirov, Nikolaiev, fosse aiutato da qualcuno che apparteneva al gruppo cui era affidato il compito di proteggere la persona di Kirov. Un mese e mezzo prima dell’uccisione, Nikolaiev fu arrestato sotto il pretesto di comportamento sospetto, ma fu rilasciato senza essere neppure perquisito. Circostanza estremamente sospetta, il membro della CEKA cui era stata affidata la protezione di Kirov, il 2 dicembre 1934 periva in un incidente di macchina mentre veniva tradotto per essere interrogato; in tale incidente nessun’altra delle persone che occupavano la macchina riportava danni. Dopo l’assassinio di Kirov furono comminate lievi condanne ai funzionari più elevati della NKVD di Leningrado, ma nel 1937 essi vennero fucilati. Si può presumere che essi furono eliminati per nascondere le tracce di coloro che avevano organizzato l’assassinio di Kirov. (Movimenti nell’aula).
Le repressioni di massa aumentarono enormemente dalla fine del 1936 in poi, dopo che un telegramma a firma di Stalin e Zhdanov fu inviato da Sochi, il 25 settembre 1936, a Kaganovic, Molotov ed altri membri del Politburo. Il telegramma diceva: «Riteniamo assolutamente necessario ed urgente che il compagno Yezhov venga nominato Commissario del Popolo per gli Affari Interni. Yagoda si è dimostrato assolutamente incapace di smascherare il blocco trotskista-zinovievita. La GHEPEU è in ritardo di quattro anni in tale campo. Ciò viene notato da tutti i lavoratori del partito e della maggioranza dei rappresentanti della NKVD». Parlando con maggior precisione dovremmo sottolineare che Stalin non si incontrava mai con i lavoratori del partito e non poteva quindi esprimerne le opinioni.
La frase di Stalin che la NKVD era in ritardo di quattro anni nell’applicare le repressioni di massa e che era necessario quindi rimettersi in pari con il lavoro trascurato, spinse i lavoratori della NKVD sulla via degli arresti e delle esecuzioni di massa. Dovremmo affermare che tale formula fu imposta anche alla sessione plenaria di febbraio-marzo del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (b) nel 1937. La risoluzione plenaria l’approvò sulla base della relazione di Yezhov dal titolo «Lezioni derivanti dalla pericolosa attività diversionistica e spionistica degli agenti nippo-tedeschi- trotskisti».
La risoluzione diceva: «Il plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (b) ritiene che tutti i fatti accertati durante l’investigazione condotta sul centro antisovietico trotskista ed i suoi seguaci nelle province dimostra che il Commissariato del Popolo per gli Affari Interni ha dimostrato di essere indietro di almeno quattro anni nel tentativo di smascherare questi implacabili nemici del popiolo».
Le repressioni di massa venivano in quell’epoca condotte sotto lo slogan di una lotta contro i trotskisti. I trotskisti costituivano in realtà, in quell’epoca, un pericolo così grave per il nostro partito e per lo Stato sovietico? Dovremmo ricordare che nel 1927, alla vigilia del XV Congresso del Partito, soltanto 4.000 voti furono a favore dell’oppiosizione trotskista-zinovievita, mentre 724.000 furono per il partito. Durante i dieci anni trascorsi tra il XV Congresso di Partito e il plenum del Comitato Centrale del febbraio-marzo 1937, il trotskismo era stato completamente eliminato; molti seguaci di Trotski avevano modificato le loro antiche opinioni e lavoravano in vari settori all’edificazione del socialismo. È chiaro che, data la vittoria socialista, non esistevano elementi per un terrore di massa nel paese.
La relazione di Stalin al plenum del Comitato Centrale del febbraio-marzo 1937, dal titolo «Deficienze nel lavoro e nei metodi del partito per la liquidazione dei trotskisti e di altri doppio-giochisti», tentava di giustificare teoricamente il terrore poliziesco di massa con il pretesto che marciando verso il socialismo la lotta di classe doveva inasprirsi. Stalin affermava che la storia e Lenin stesso gli avevano insegnato ciò.
In realtà Lenin aveva insegnato che il ricorso alla violenza rivoluzionaria era imposto dalla resistenza delle classi sfruttatrici, ma ciò si riferiva ad una epoca in cui tali classi esistevano ed erano potenti. Non appena la situazione politica della nazione era migliorata, e cioè quando nel gennaio 1920 l’armata rossa si era impadronita di Rostov, conquistando così un’importante vittoria su Denikin, Lenin aveva ordinato a Dzherzhinski di far cessare il terrore di massa e di abolire la pena di morte. Lenin giustificò questo importante passo politico dello Stato sovietico con le seguenti parole, pronunciate alla sessione del Comitato Esecutivo Centrale dell’Unione Sovietica il 2 febbraio 1920:
«Siamo stati obbligati ad usare il terrore, a causa del terrore esercitato dall’Intesa, quando forti potenze mondiali scagliarono contro di noi le loro orde ricorrendo ad ogni mezzo. Non avremmo resistito due giorni se non avessimo risposto a questi tentativi degli ufficiali e delle guardie bianche in maniera spietata. Ciò significò ricorrere al terrore, ma ciò ci fu imposto dai metodi terroristici usati dall’Intesa.
«Non appena raggiungemmo una vittoria decisiva, anche prima della fine della guerra, e cioè subito dopo esserci impadroniti di Rostov, rinunciammo a ricorrere alla pena di morte dimostrando così che intendevamo applicare il nostro programma nel modo da noi promesso. Affermiamo che l’applicazione della violenza scaturisce dalla decisione di soffocare gli sfruttatori, i grandi proprietari di terre e i capitalisti; non appena ciò fu compiuto noi rinunciammo a tutti i metodi straordinari cui eravamo ricorsi. Abbiamo dimostrato ciò praticamente».
Stalin si allontanò da questi chiari e semplici precetti di Lenin. Egli si servì del partito e della NKVD per esercitare un terrore di massa quando le classi sfruttatrici erano state eliminate dal paese e quando non vi erano ragioni serie per ricorrere a tali mezzi straordinari.
Tale terrore in realtà non fu esercitato sui residui di queste sconfitte classi sfruttatrici, ma contro onesti lavoratori del partito e dello Stato sovietico; contro queste persone furono formulate false, assurde e calunniose accuse di «doppiogioco», «spionaggio», «sabotaggio» e di organizzazione di immaginarie «congiure», ecc.
Nel plenum del Comitato Centrale del febbraio-marzo 1937, molti dei membri si chiesero se fosse giusta la direttiva delle repressioni di massa applicate sotto il pretesto di una lotta contro il «doppiogioco».
Il compagno Postishev espresse con estrema abilità questi dubbi, dicendo: «Ho riflettuto e sono giunto alla conclusione che i gravi anni della lotta sono terminati, che i membri del partito che hanno perduto la loro spina dorsale sono finiti o sono passati al campo nemico; gli elementi sani hanno combattuto per il partito. Questi furono gli anni dell’industrializzazione e della collettivizzazione. Non avevo mai pensato che fosse possibile che, dopo che questo periodo acuto era passato, Karpov e persone come lui si trovassero nel campo nemico (Karpov era un membro del Comitato Centrale dell’Ucraina che Postishev conosceva bene). Ora secondo le testimonianze che possediamo sembra che egli sia stato reclutato dai trotskisti nel 1934.
«Personalmente non credo che un onesto membro del partito che ha percorso la lunga via della lotta senza sosta contro i nemici del partito e a favore del socialismo, possa trovarsi oggi nel campo nemico. Non lo credo... Non posso immaginare che sia possibile lavorare con un partito negli anni difficili e poi, nel 1934, unirsi ai trotskisti. È una cosa strana...». (Movimenti nell’aula).
Secondo la formula di Stalin, e cioè che quanto più vicino si è al socialismo e tanto maggiore è il numero dei nemici che si hanno, e applicando la risoluzione che il plenum del Comitato Centrale aveva approvato sulla base della relazione di Yezhov, i provocatori che si erano infiltrati negli organi di sicurezza dello Stato insieme agli ambiziosi senza coscienza cominciarono a sostenere, in nome del partito, il terrore di massa esercitato contro i quadri del partito, dello Stato sovietico e contro i cittadini stessi. Basterà dire che il numero degli arresti per accusa di delitti controrivoluzionari decuplicò tra il 1936-37.
È noto che nei confronti degli esponenti dei lavoratori del partito fu esercitata una brutale sopraffazione. Lo statuto del partito, approvato durante il XVII Congresso, si basava sui principi leninisti espressi durante il X Congresso. Esso stabiliva che per l’applicazione di metodi estremi come l’espulsione dal partito, nei confronti di un membro del Comitato Centrale, di un candidato e di un membro della Commissione di Controllo del Partito «è necessario indire un plenum del Comitato Centrale ed invitare a detto plenum tutti i membri candidati al Comitato stesso, e i membri della Commissione di controllo del partito»; solo nel caso che i due terzi dei membri di tale assemblea composta di dirigenti responsabili lo ritenessero necessario, si poteva procedere all’espulsione di un membro o di un candidato del Comitato Centrale.
La maggioranza dei membri e dei membri candidati del Comitato Centrale eletti al XVII Congresso ed arrestati nel 1937- 38 furono espulsi dal partito illegalmente mediante una brutale violazione dello statuto del partito, poiché la questione della loro espulsione non fu mai studiata dal plenum del Comitato Centrale.
E quando i casi di alcune di queste cosiddette «spie» e «sabotatori» furono esaminati, risultò che tutti i casi erano stati «fabbricati». Le confessioni di molti di coloro che erano stati arrestati ed accusati di attività ostili furono ottenute mediante crudeli ed inumane torture.
Nello stesso tempo Stalin, secondo le informazioni forniteci da membri del Politburo di quell’epoca, non mostrò a questi ultimi le dichiarazioni di molti degli attivisti politici che erano stati accusati, quando essi ritrattarono le loro confessioni dinanzi al tribunale militare e chiesero un esame obiettivo dei loro casi. Le dichiarazioni di questo genere furono molte, e Stalin ne era a conoscenza.
Il Comitato Centrale ritiene assolutamente necessario informare il Congresso di molti di questi casi «fabbricati» contro i membri del Comitato Centrale del Partito eletti al XVII Congresso.
Un esempio di vile provocazione, di odiosa falsificazione e di criminosa violazione della legalità rivoluzionaria è il caso di un ex candidato al Politburo del Comitato Centrale, uno dei più illustri lavoratori del partito e del governo sovietico, il compagno Eikhe, che era membro del partito sin dal 1905.
Il compagno Eikhe fu arrestato il 29 aprile 1938, sulla base di accuse calunniose, senza la sanzione del Procuratore Generale dell’URSS, sanzione che fu ricevuta quindici mesi dopo l’arresto.
L’istruttoria sul caso Eikhe fu condotta con la più brutale violazione della legalità sovietica e fu accompagnata da deliberate falsificazioni.
Eikhe fu costretto con la tortura a firmare a priori il testo di una sua presunta confessione preparata dai giudici istruttori, e accusato di attività antisovietica.
Il 1º ottobre 1939 Eikhe inviò a Stalin una sua dichiarazione, nella quale negava categoricamente ogni addebito e chiedeva un esame del suo caso.
In tale dichiarazione egli scriveva: «Non c’è sventura più amara che quella di trovarmi nelle carceri di un governo per il quale ho sempre combattuto».
È stata conservata la dichiarazione che Eikhe inviò a Stalin il 27 ottobre 1939; in essa egli elencava i fatti in maniera molto convincente e confutava le accuse calunniose mosse contro di lui, sostenendo che tali accuse provocatorie erano, da una parte, opera di autentici trotskisti, il cui arresto egli aveva sanzionato come primo segretario del Comitato del Partito nella Siberia Occidentale e che avevano complottato per vendicarsi di lui, e, dall’altra, il risultato di una fondamentale falsificazione delle prove da parte dei giudici istruttori.
Eikhe scriveva nella sua dichiarazione: «...Il 25 ottobre di quest’anno sono stato informato che l’istruzione del mio processo era stata completata e che io potevo prendere visione del materiale istruttorio. Se io fossi stato colpevole di un centesimo soltanto dei crimini dei quali sono accusato, non avrei osato inviarvi questa dichiarazione prima della mia esecuzione; ma io non mi sono macchiato di neppure uno dei delitti di cui mi si accusa ed il mio cuore non è turbato dalla minima ombra di colpa. Nella mia vita non vi ho mai detto il falso e non mentirò neppure ora che mi trovo con un piede nella tomba. Tutto il mio caso è un tipico esempio di provocazione, calunnia e violazione delle basi più elementari della legalità rivoluzionaria...
«Le confessioni che sono state allegate al mio fascicolo processuale non solo sono assurde, ma contengono alcune calunnie nei riguardi del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica e del Consiglio dei Commissari del Popolo, perchè talune giustificate risoluzioni del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (b) e del Consiglio dei Commissari del Popolo, prese non per mia iniziativa e senza la mia partecipazione, vi sono presentate come atti ostili di organizzazioni controrivoluzionarie compiuti dietro mio suggerimento...
«Accennerò ora alla parte più disgraziata della mia vita ed alla vera grave colpa di cui mi sono macchiato verso il partito e verso di voi, cioè la mia confessione di attività controrivoluzionaria... Le cose stanno nel modo seguente: non essendo in grado di sopportare le torture alle quali sono stato sottoposto da Usciakov e da Nikolaiev, e particolarmente dal primo — i quali hanno sfruttato il fatto che le mie costole fratturate non sono guarite e mi hanno fatto molto soffrire — sono stato costretto ad accusare me stesso ed altri.
«La maggior parte della mia confessione mi è stata suggerita o dettata da Usciakov ed il resto rappresenta una ricostruzione dei materiali della NKVD della Siberia Occidentale di cui mi sono assunto tutta la responsabilità. Poiché talune parti della storia che Usciakov aveva fabbricato e che io ho firmato non collimavano, sono stato costretto a firmare un’altra versione. Lo stesso accadde a Rukhimovic, che in un primo momento era stato designato come membro della rete clandestina di riserva e il cui nome più tardi fu eliminato senza che ne venissi informato; e lo stesso fu fatto anche per il capo della rete di riserva, che sarebbe stata creata da Bukharin nel 1935.
«Dapprima io vi segnai il mio nome e poi ebbi istruzione di sostituirvi quello di Mezhlauk. Ci furono anche altri incidenti del genere.
«...Vi chiedo e vi supplico di esaminare nuovamente il mio caso, e questo non allo scopo di risparmiarmi, ma al fine di smascherare la vile provocazione che come un serpente, ha avviluppato molte persone, in gran parte a causa della mia viltà e della mia criminosa calunnia. Non ho mai tradito voi o il partito. So che debbo perire a causa della vile e meschina opera dei nemici del partito e del popolo, che hanno architettato la provocazione contro di me».
Parrebbe che una dichiarazione così importante meritasse di essere esaminata dal Comitato Centrale. Ma questo non avvenne e la dichiarazione fu trasmessa a Beria, mentre il compagno Eikhe, membro candidato del Politburo, continuava a subire terribili maltrattamenti.
Il 2 febbraio 1940 Eikhe compariva dinanzi al tribunale. Qui egli non confessò alcuna colpa e affermò quanto segue:
«In tutte le mie cosiddette confessioni non c’è una sola lettera scritta da me, tranne la mia firma sotto i protocolli, che mi è stata estorta con la violenza. Ho fatto la mia confessione a seguito delle pressioni del giudice istruttore che dall’epoca del mio arresto mi ha tormentato. Dopo di che ho cominciato a scrivere tutte queste assurdità... La cosa più importante è per me di dichiarare alla Corte, al Partito e a Stalin che sono innocente. Non mi sono mai reso colpevole di alcun complotto. Morirò credendo nella verità della politica del partito, come vi ho creduto per tutta la mia vita».
Il 4 febbraio Eikhe veniva fucilato. (Indignazione nell’aula).
È stato ora definitivamente accertato che il caso Eikhe venne fabbricato di sana pianta: si è proceduto alla sua riabilitazione postuma.
Il compagno Rudzutak, membro candidato del Politburo e membro del partito fin dal 1905, che aveva trascorso dieci anni in un campo di lavoro forzato zarista, in tribunale ritrattò completamente la confessione che gli era stata estorta. Il verbale della sessione del Collegium della Suprema Corte Militare contiene la seguente dichiarazione di Rudzutak:
«...L’unica richiesta che l’imputato rivolge alla Corte è che il Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (b) venga informato che esiste nell’ambito della NKVD un centro, che non è stato ancora eliminato, che fabbrica abilmente dei capi d’accusa e costringe degli innocenti a confessare; non esiste alcuna possibilità di provare la propria non partecipazione a dei crimini quando ci sono a testimoniare il contrario le confessioni di varie persone. I metodi d’inchiesta sono tali da costringere gli imputati a mentire e ad accusare calunniosamente persone del tutto innocenti, oltre a quelle che sono già sotto accusa.
L’imputato chiede alla Corte che gli sia consentito di informare il Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (b) di tutto questo per iscritto. Dà assicurazione alla Corte che personalmente egli non ha mai concepito alcun disegno criminoso contro la politica del nostro partito, perchè ha sempre concordato con la linea del partito in tutti i settori della attività economica e culturale».
Questa dichiarazione di Rudzutak rimase ignorata, nonostante che egli fosse stato a suo tempo a capo della Commissione centrale di controllo che venne costituita in conformità dei suggerimenti di Lenin, con l’incarico di adoperarsi per l’unità del partito...
Così cadde il capo di questo autorevole organo del partito, vittima di un brutale arbitrio; non fu neppure chiamato a comparire dinanzi al Politburo del Comitato Centrale, perchè Stalin non voleva parlargli. La sentenza di condanna fu emessa dopo soli venti minuti ed egli venne fucilato. (Indignazione nell’aula).
Dopo un attento esame del caso, nel 1955, venne stabilito che le accuse contro Rudzutak erano false e che si fondavano su materiale calunnioso. Anche per Rudzutak si è proceduto ad una riabilitazione postuma.
Il modo in cui gli ex agenti della NKVD crearono di sana pianta vari inesistenti «centri antisovietici» e «blocchi» servendosi di metodi provocatori, risulta dalla confessione del compagno Rozenblum, membro del partito fin dal 1906, che fu arrestato nel 1937 dalla NKVD di Leningrado.
Durante l’esame, nel 1955, del caso Komarov, Rozenblum rivelò il seguente episodio: quando fu arrestato, nel 1937, egli fu sottoposto a terribili torture durante le quali gli fu ordinato di confessare false informazioni riguardo a lui stesso e ad altre persone. Fu allora condotto nell’ufficio di Zakovsky, che gli offrì la libertà a condizione che egli ripetesse dinanzi alla Corte una falsa confessione fabbricata nel 1937 dalla NKVD circa la «attività di sabotaggio, spionaggio e sovvertimento di un centro terroristico di Leningrado». (Reazioni in aula). Con incredibile cinismo, Zakovsky gli parlò del vile «meccanismo» che si occupava di fabbricare «complotti antisovietici» del tutto inesistenti.
«Al fine di illustrarmelo — dichiarò Rozenblum — Zakovsky mi dette diverse possibili versioni della organizzazione di questo centro. E dopo avermi illustrato in dettaglio la organizzazione, mi disse che la NKVD avrebbe montato l’atto di accusa contro il centro stesso, osservando che il processo sarebbe stato pubblico.
«Dinanzi al tribunale saremmo stati condotti in quattro o cinque, tutti presunti membri di questo centro: Chudov, Ugarov, Smorodin, Pozern, Shaposhnikova (la moglie di Chudov) ed altri, insieme a due o tre membri delle presunte diramazioni del centro...
«...L’atto di accusa contro il centro di Leningrado dovrà essere architettato solidamente e per questa ragione occorrono dei testimoni. L’origine sociale (naturalmente nel passato) e la posizione nel partito dei testimoni giocheranno un ruolo non piccolo.
«Voi stesso — dice Zakovsky — non avrete bisogno di inventare nulla. La NKVD vi preparerà una descrizione bella e pronta di ogni diramazione del centro; dovrete studiarla attentamente e ricordarvi bene tutte le risposte alle domande che la Corte potrebbe porvi. Questo caso sarà completato in quattro o cinque mesi, o forse un semestre. Durante tutto questo tempo vi preparerete in maniera da non compromettere la inchiesta e voi stesso. Il vostro futuro dipenderà dall’andamento e dai risultati del processo. Se comincerete a mentire ed a testimoniare il falso avrete a pentirvene. Se riuscirete a tener duro sino alla fine, salverete la pelle ed avrete di che mangiare e vestire a spese del governo sino alla fine dei vostri giorni».
Questo è il genere di ignobili manovre che venivano allora praticate. (Reazioni nell’aula).
Ancora più vasta fu la falsificazione di casi messa in opera nelle province dell’Unione. Il comando della NKVD dell’Oblast di Sverdlov «scoprì» il cosiddetto «gruppo per la sollevazione negli Urali» — organo del blocco dei deviazionisti di destra, dei trotskisti, dei socialisti rivoluzionari, dei capi religiosi — il cui presunto capo sarebbe stato il segretario del Comitato del partito per l’Oblast di Sverdlov e membro del Comitato Centrale del Partito Comunista della Unione Sovietica (b), Kabakov, che era membro del partito sin dal 1914.
Il materiale della inchiesta allora condotta dimostra che in quasi tutti i Krai, gli Oblast e le Repubbliche sarebbero esistite «delle organizzazioni e dei centri dei trotskisti e di destra, per l’attività di spionaggio, terroristica, diversionistica e di sabotaggio» e che i capi di tali organizzazioni di regola — senza alcun motivo accertato — erano i primi segretari dei Comitati del partito comunista o dei Comuni centrali degli Oblast o delle Repubbliche. (Reazioni nell’aula).
Molte migliaia di onesti e innocenti comunisti sono morti a seguito della mostruosa falsificazione di tali «casi», a seguito del fatto che venivano accertate «confessioni» calunniose di ogni genere ed a seguito del sistema di estorcere agli imputati accuse contro se stessi e contro altri. Allo stesso modo furono fabbricati i «casi» contro eminenti lavoratori del partito e dello Stato, come Kossior, Chubar, Postishev, Kosariev ed altri.
In quegli anni furono eseguite repressioni su scala massiccia, non fondate su alcuna prova tangibile e che causarono gravi vuoti nei quadri del partito.
Fu consentita la criminosa pratica di lasciare che la NKVD preparasse liste di persone i cui casi rientravano nella competenza del Collegium militare e la cui condanna era predisposta a priori.
Yezhov soleva inviare tali liste a Stalin personalmente, perchè approvasse le pene proposte. Nel 1937-38 furono inviate a Stalin ben 383 di queste liste contenenti i nomi di molte migliaia di membri del partito, dei Soviet, del Komsomol, dell’Esercito e degli organi economici. Egli le approvò tutte.
Gran parte di questi casi sono ora in corso di revisione e gran parte di essi vengono smontati perchè privi di fondamento e falsificati. Basti dire che dal 1954 ad oggi il Collegium militare e la Corte Suprema hanno riabilitato 7.679 persone, ma per gran parte di esse si tratta di una riabilitazione postuma.
Gli arresti in massa di membri del partito, dei Soviet, dell’Esercito e degli organi economici causarono immensi danni al nostro paese ed alla causa del progresso socialista.
Le repressioni in massa ebbero una influenza negativa sulle condizioni politico-morali del partito, crearono una situazione di incertezza, contribuirono alla diffusione di dannosi sospetti e seminarono la diffidenza tra i comunisti. Pullularono calunniatori ed opportunisti di ogni tipo.
Le risoluzioni del plenum del Comitato Centrale del Partito Comunista della Unione Sovietica (b) nel gennaio 1938 avevano in una certa misura migliorato la organizzazione del partito. Tuttavia anche nel 1938 si ebbero repressioni su larga scala.
È solo perchè il nostro partito dispone di una così grande forza politico-morale che esso potè sopravvivere ai gravi avvenimenti del 1937-38 e formare nuove leve di dirigenti. Tuttavia, non c’è dubbio che la nostra marcia verso il socialismo e verso la preparazione della difesa del paese avrebbe avuto maggiore successo se i quadri del partito non avessero subito così gravi perdite a seguito delle infondate ed ingiustificate repressioni in massa degli anni ’37-’38.
Noi accusiamo giustamente Yezhov per gli ignobili sistemi adottati nel 1937, ma dobbiamo rispondere a queste domande: avrebbe potuto Yezhov arrestare, per esempio, Kossior senza che Stalin lo sapesse? Ci fu uno scambio di opinioni od una decisione del Politburo in proposito? No, non ci fu nè l’uno nè l’altra, come non ci fu nulla del genere in altri casi analoghi. Avrebbe potuto Yezhov decidere da solo questioni tanto importanti come la sorte di così illustri esponenti del partito? No, sarebbe una ingenuità considerare tutto questo come opera del solo Yezhov. È chiaro che tali questioni furono decise da Stalin, e che senza i suoi ordini e la sua approvazione, Yezhov non avrebbe potuto fare nulla di tutto questo.
Noi abbiamo esaminato i vari casi ed abbiamo riabilitato Kossior, Rudzutak, Postishev, Kosariev ed altri. Per quali motivi essi furono arrestati e condannati? L’esame delle prove dimostra che non vi era alcuna ragione fondata per farlo. Come molti altri, essi furono arrestati alla insaputa del Procuratore Generale. Del resto, in simili circostanze non vi era bisogno di alcuna approvazione, poiché quale genere di approvazione poteva essere richiesta quando era Stalin a decidere tutto? Egli stesso agiva da Procuratore Generale in questi casi. Stalin non solo approvò, ma di propria iniziativa emanò gli ordini di arresto. È necessario dire tutto questo, affinchè i delegati al Congresso possano rendersi chiaramente conto dei fatti, valutarli e trarne le debite conclusioni.
I fatti stanno a provare che molti abusi vennero commessi su ordine di Stalin, senza tenere. conto delle norme del partito e della legalità sovietica. Stalin era un uomo assai diffidente, morbosamente sospettoso; lo sappiamo per l’esperienza fatta lavorando con lui. Gli capitava di guardare qualcuno e dirgli: «Perchè i tuoi occhi sono oggi così sfuggenti?»; oppure: «Perchè ti agiti tanto oggi ed eviti di guardarmi direttamente negli occhi?». Il morboso sospetto creava in lui una diffidenza verso tutti in genere, anche verso eminenti lavoratori del partito che egli conosceva da anni. Ovunque ed in tutto egli vedeva «nemici», «doppiogiochisti» e «spie».
Disponendo di un potere illimitato, egli si abbandonava a gravi arbitrii e riduceva le persone moralmente e fisicamente al silenzio. Si era venuta a creare una situazione per cui nessuno poteva esprimere la propria volontà.
Quando Stalin diceva che questo o quello doveva essere arrestato, era necessario accettare la tesi che si trattasse di un «nemico del popolo». Nel frattempo la cricca di Beria, che dirigeva gli organi della sicurezza dello Stato, superava se stessa nel provare la colpevolezza degli arrestati e la validità dei materiali che essa stessa falsificava. E quali prove venivano offerte? Le confessioni degli arrestati; ed i giudici istruttori accettavano tali «confessioni». Come è possibile che una persona confessi dei crimini che non ha commesso? Soltanto in un modo, e cioè in seguito alla applicazione su di lei di metodi di pressione fisica, sottoponendolo cioè a torture, riducendolo ad uno stato di incoscienza, privandolo della facoltà di pensare, spogliandolo della sua dignità umana. In questo modo venivano ottenute le «confessioni».
Quando l’ondata degli arresti in massa cominciò a diminuire, nel 1939, e i capi delle organizzazioni territoriali del partito cominciarono ad accusare gli agenti della NKVD di usare metodi di pressione fisica sugli arrestati, Stalin, il 20 gennaio 1939, inviò un telegramma cifrato ai segretari dei comitati degli Oblast e dei Krai, ai Commissari del Popolo per gli Affari Interni e ai capi delle organizzazioni della NKVD. Tale telegramma diceva:
“Il Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica spiega che l’applicazione dei metodi di pressione fisica nell’operato della NKVD è consentita dal 1937 in conformità del permesso concesso dal Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica... È noto che tutti i servizi segreti di informazione dei paesi borghesi si servono di metodi di pressione fisica contro i rappresentanti del proletariato socialista e che essi li applicano nella maniera più scandalosa. Si pone quindi la questione del perchè mai il servizio di informazioni socialista dovrebbe dimostarsi più umano di quelli nei confronti dei fanatici agenti della borghesia, nei confronti dei mortali nemici della classe lavoratrice e dei lavoratori dei colcos. Il Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica ritiene che le pressioni fisiche debbano ancora essere usate obbligatoriamente, come eccezione applicabile ai nemici riconosciuti e ostinati del popolo; come mezzo giustificato e adeguato“.
Così Stalin aveva sanzionato in nome del Comitato Centrale del Partito la più brutale violazione della legalità socialista, la tortura e l’oppressione che portarono, come abbiamo visto, alla calunnia e alla autoaccusa di tanti innocenti.
Non molto tempo fa — solo qualche giorno prima dell’attuale Congresso — ci siamo recati alla sessione del Presidium del Comitato Centrale e abbiamo interrogato il giudice istruttore Rodos, che a suo tempo curò l’istruttoria e l’interrogatorio di Kossior, Chubar e Kosariev. Si tratta di un uomo dappoco, con il cervello di un canarino, e completamente degenerato dal punto di vista morale. Eppure fu quest’uomo che ebbe a decidere della sorte di eminenti lavoratori del partito; per di più egli emetteva giudizi che riguardavano anche l’aspetto politico di tali questioni, poiché, avendo accertato il «crimine» degli accusati, egli fornì, con questi, materia dalla quale si potevano trarre importanti illazioni di carattere politico.
Si pone la domanda se un uomo di questa portata potesse da solo condurre le inchieste in maniera da provare la colpevolezza di persone come Kossior e gli altri. No, certamente non poteva farlo senza adeguate direttive. Alla sessione del Presidium del Comitato Centrale egli ci ha dichiarato: «Mi fu detto che Kossior e Chubar erano nemici del popolo e che per questa ragione io, nella mia veste di giudice istruttore, dovevo indurli a confessare che essi avevano agito da nemici». (Indignazione nell’aula). Questo egli poteva ottenerlo soltanto mediante lunghe torture, che infatti applicò, su istruzioni dettagliate impartitegli da Beria. Dobbiamo aggiungere che dinnanzi alla sessione del Praesidium del Comitato Centrale, egli ha fatto questa cinica dichiarazione: «Ritenevo di eseguire gli ordini del partito». Era in questo modo che gli ordini di Stalin riguardanti l’impiego dei metodi di coercizione fisica contro gli arrestati venivano tradotti in pratica.
Questi e molti altri fatti dimostrano che tutte le norme dettate per la soluzione dei vari problemi nell’ambito del partito erano violate, e che ogni cosa finiva per dipendere dall’arbitrio di un solo uomo.
«La somma di poteri accumulatasi nelle mani di una sola persona — Stalin — determinò gravi conseguenze durante la grande guerra patriottica.
Se ripensiamo a gran parte dei nostri romanzi, dei nostri film e dei nostri «studi scientifici» di carattere storico, il ruolo da essi assegnato a Stalin nella guerra patriottica risulta completamente inattendibile. Stalin aveva previsto tutto. L’esercito sovietico, sulla base di un piano strategico articolato da Stalin molto tempo prima, impiegò la tattica della cosiddetta «difesa attiva», ossia la tattica che — come sappiamo — consentì ai tedeschi di arrivare a Mosca e a Stalingrado. Impiegando questa tattica — si afferma — l’esercito sovietico, in virtù unicamente del genio di Stalin, potè passare all’offensiva e sconfiggere il nemico.
L’epica vittoria ottenuta grazie alla potenza armata del paese dei Soviet, grazie all’eroismo del nostro popolo, viene descritta, in questo tipo di romanzi, di films e di «studi scientifici», come dovuta unicamente al genio di stratega di Stalin.
Dobbiamo esaminare con la massima attenzione questo argomento, perchè esso ha una estrema importanza, non soltanto dal punto di vista storico, ma soprattutto da quello politico, educativo e pratico. Quali sono i fatti relativi a questo problema? Prima del conflitto, la nostra stampa e la nostra attività politico-educativa erano caratterizzate da un tono ottimistico: se un nemico violerà i confini dell’amata terra dei Soviet, allora ad ogni colpo dell’avversario noi risponderemo con tre colpi, combatteremo il nemico sul suo territorio nazionale e vinceremo senza neanche subire gravi perdite. Senonchè, queste affermazioni di principio non erano basate, sotto ogni rispetto, su fatti concreti, i quali soltanto avrebbero potuto effettivamente garantire l’inviolabilità delle nostre frontiere.
Durante e dopo la guerra, Stalin sostenne la tesi che la tragedia vissuta dalla nostra patria nella prima fase del conflitto, fu il risultato dell’attacco «inatteso» dei tedeschi contro l’URSS. Senonchè, compagni, ciò è assolutamente falso. Appena conquistato il potere in Germania, Hitler si era imposto il compito di liquidare il comunismo. I fascisti lo dichiaravano apertamente, e non facevano mistero dei loro disegni. Per il conseguimento di questo loro fine aggressivo, diedero vita ad ogni sorta di patti e di blocchi, come il famoso asse Berlino-Roma-Tokio. Molti fatti del periodo pre-bellico stavano a dimostrare chiaramente che Hitler si preparava a iniziare una guerra contro lo Stato sovietico e che aveva ammassato grandi concentramenti di truppe e unità corazzate presso i confini dell’URSS.
Documenti che sono stati testé pubblicati rivelano che il 3 aprile 1941 Churchill, tramite l’Ambasciatore britannico a Mosca, Cripps, avvertì personalmente Stalin del fatto che i tedeschi avevano ripreso a schierare in ordine di combattimento le loro unità, nell’intento di attaccare l’Unione Sovietica. È di per sè evidente che Churchill non agiva così soltanto per spirito di amicizia verso la nazione sovietica. Egli perseguiva i suoi fini imperialistici: coinvolgere la Germania e l’URSS in una guerra sanguinosa, e rafforzare in tal modo la posizione dell’impero britannico. Proprio lo stesso Churchill ebbe ad affermare nei suoi scritti che egli intendeva «avvertire Stalin e richiamare la sua attenzione sul pericolo che lo minacciava». Churchill ribadì questo avvertimento a più riprese, nei suoi messaggi del 18 aprile e dei giorni seguenti. Tuttavia, Stalin non tenne alcun conto di questi avvertimenti. Non solo, ma ordinò che non si accordasse alcun credito a informazioni di questo genere, allo scopo di non provocare l’inizio di operazioni militari.
Va precisato che tali informazioni riguardanti la minaccia di un’invasione armata del territorio sovietico da parte tedesca venivano anche dalle nostre fonti diplomatiche e militari; senonchè, dato che il capo supremo era prevenuto contro tali informazioni, le notizie venivano trasmesse con timore e valutate con riserva.
Così, per esempio, una comunicazione inviata il 6 maggio 1941 dall’Addetto militare sovietico a Berlino, cap. Vorontsov, diceva: «Il cittadino sovietico Bozer... ha informato il vice addetto navale che, secondo una dichiarazione fatta da un ufficiale tedesco appartenente al quartier generale di Hitler, la Germania si prepara ad invadere l’URSS il 14 maggio attraverso la Finlandia, i Paesi Baltici e la Lettonia. Contemporaneamente, Mosca e Leningrado saranno sottoposte a bombardamenti massicci, e truppe paracadutiste saranno lanciate nelle città di confine...».
Nella sua relazione del 22 maggio 1941, poi, il vice addetto militare a Berlino, Khlopov, comunicava che «... l’attacco dell’esercito tedesco è presumibilmente fissato per il 5 giugno, ma non è da escludere che possa avere inizio ai primi di giugno...».
Un cablogramma della nostra Ambasciata di Londra in data 18 giugno 1941 diceva: «Cripps è ormai profondamente convinto dell’inevitabilità di un conflitto armato tra la Germania e l’URSS che avrà inizio non più tardi della metà di giugno. Secondo Cripps, i tedeschi hanno attualmente concentrato lungo i confini sovietici 147 divisioni (comprese le unità aeree e quelle addette ai servizi logistici)...».
Nonostante questi avvertimenti di particolare gravità, non furono compiuti i passi necessari a preparare adeguatamente il paese alla difesa e ad impedire che venisse colto alla sprovvista.
Avevamo il tempo e la capacità di fare questi preparativi? Sì, avremmo avuto il tempo e capacità. Lo sviluppo della nostra industria era già tale che avrebbe potuto fornire all’esercito sovietico tutto ciò di cui aveva bisogno. E ciò è provato dal fatto che, sebbene durante la guerra avessimo perduto quasi la metà delle nostre industrie e alcune regioni particolarmente importanti per la produzione alimentare e industriale (in conseguenza dell’occupazione nemica dell’Ucraina, del Caucaso settentrionale e di altre zone occidentali del paese), la nazione sovietica potè tuttavia organizzare la produzione degli equipaggiamenti militari nelle regioni orientali del paese, installandovi le attrezzature trasportate dalle zone industriali dell’ovest, e potè altresì fornire alle nostre forze armate tutto quello che era loro necessario per distruggere il nemico.
Se la nostra industria fosse stata mobilitata adeguatamente e tempestivamente per assicurare all’esercito i materiali necessari, le nostre perdite del periodo bellico sarebbero state decisamente inferiori. Questa mobilitazione peraltro, non ebbe un inizio tempestivo. E già nei primi giorni di guerra risultò evidente che l’armamento del nostro esercito era scadente e che non disponevamo di artiglierie, carri armati e aeroplani sufficienti per respingere il nemico.
«La scienza e la tecnologia sovietica avevano prodotto, prima della guerra, eccellenti tipi di carri armati e di pezzi di artiglieria. Ma la loro produzione in massa non era stata organizzata, e in definitiva noi cominciammo a modernizzare il nostro equipaggiamento militare soltanto in tempo di guerra. Di conseguenza, al momento dell’invasione nemica del paese dei Soviet, non disponevamo di quantitativi sufficienti nè dei vecchi macchinari che non erano stati più usati per la produzione degli armamenti, nè dei nuovi macchinari che si era progettato di impiegare in detta produzione. La situazione, per quanto riguardava l’artiglieria antiaerea era particolarmente grave; nè avevamo organizzato la produzione di munizioni anticarro. Molte regioni dotate di fortificazioni si erano rivelate indifendibili non appena attaccate, perchè le vecchie armi erano state ritirate, e le nuove non erano ancora a disposizione dei difensori.
Ciò riguardava, purtroppo, non soltanto i carri armati, le artiglierie e gli aeroplani. Allo scoppio della guerra non avevamo neppure un numero sufficiente di fucili per armare il personale mobilitato. Ricordo che in quei giorni telefonai da Kiev al compagno Malenkov e gli dissi: «La gente si presenta volontaria per il nuovo esercito, e chiede armi. Dovete mandarci armi». Ma Malenkov mi rispose: «Non possiamo mandarvi armi. Stiamo mandando tutti i nostri fucili a Leningrado e voi dovrete armarvi come potete». (Reazione nell’aula).
Questa, dunque, era la situazione degli armamenti.
A questo riguardo, non possiamo dimenticare, per esempio, il fatto che ora vi dirò. Poco tempo prima dell’invasione dell’Unione Sovietica da parte dell’esercito hitleriano, Korponos, che era capo del distretto militare speciale di Kiev (egli morì in seguito al fronte), scrisse a Stalin che gli eserciti tedeschi erano sul fiume Zug, che si preparavano per un attacco e che in un futuro assai vicino avrebbero probabilmente iniziato l’offensiva. A questo proposito, Korponos proponeva l’organizzazione di una forte difesa, e suggeriva che 300.000 persone venissero evacuate dalle zone di confine e che ivi fossero apprestati parecchi strumenti di resistenza: dighe anticarro, trincee per i soldati, ecc.
Mosca rispose a questo suggerimento con l’afférmazione che ciò avrebbe costituito una provocazione, che nessun preparativo a carattere difensivo doveva essere intrapreso alle frontiere, e che ai tedeschi non doveva essere offerto alcun pretesto per intraprendere un’azione militare contro di noi. Pertanto, le nostre frontiere non erano sufficientemente munite per respingere il nemico».
Quando gli eserciti fascisti invasero effettivamente il territorio sovietico, e le operazioni militari ebbero inizio, Mosca impartì l’ordine di non rispondere al fuoco dei tedeschi. Perchè? Perchè Stalin, nonostante l’evidenza dei fatti, riteneva che la guerra non era ancora cominciata, che si trattava soltanto di un atto di provocazione da parte di alcuni reparti indisciplinati dell’esercito tedesco e che una nostra reazione avrebbe potuto servire come pretesto ai tedeschi per iniziare la guerra.
Il fatto che ora vi dirò è anch’esso noto. All’epoca dell’invasione del territorio dell’Unione Sovietica da parte dell’esercito hitleriano, un cittadino tedesco attraversò la nostra frontiera e disse che l’armata nazista aveva ricevuto l’ordine di iniziare l’offensiva contro l’URSS nella notte del 22 giugno alle ore 3. Stalin fu informato di ciò immediatamente, ma anche questo avvertimento restò ignorato.
Come vedete, tutto restava ignorato; gli avvertimenti di taluni capi militari, le dichiarazioni di disertori dell’esercito nemico, e perfino l’apertura delle ostilità da parte del nemico. Era forse una prova di responsabilità questa che veniva fornita dal capo del partito e dello Stato in un momento di così grande importanza storica?
Quali furono i risultati di questo atteggiamento di indifferenza, di questo disprezzo per fatti evidenti? Ne risultò che già fin dalle prime ore e dai primi giorni il nemico aveva distrutto nelle regioni di frontiera gran parte della nostra aeronautica, dell’artiglieria e di altre attrezzature militari, annientato gran parte dei nostri quadri militari e disorganizzato i nostri comandi. Non potemmo quindi impedire al nemico di avanzare in profondità nel paese.
Conseguenze molto penose specialmente per quanto riguarda l’inizio della guerra, furono il risultato dell’eliminazione di molti comandanti militari e lavoratori politici compiuta da Stalin nel periodo 1937-1941, a causa dei sospetti da lui nutriti e attraverso calunniose accuse. Durante questi anni vennero esercitate repressioni nei confronti di alcuni settori dei quadri militari, partendo letteralmente dal livello dei comandanti di compagnia e battaglione per giungere ai comandi più elevati; durante questo periodo il quadro dei comandanti che avevano acquistato tanta esperienza militare in Spagna e nell’Estremo Oriente fu quasi completamente distrutto.
La direttiva delle repressioni su vasta scala negli ambienti militari minò anche la disciplina militare in quanto per molti anni si insegnò agli ufficiali di ogni grado e anche ai soldati, nelle cellule del Partito e dei Komsomol, a «smascherare» i superiori se nemici nascosti. (Movimenti nell’aula). Prima della guerra, come ben sapete, noi possedevamo degli eccellenti quadri militari che erano, senza possibilità di dubbio, fedeli al partito e alla patria. Basterà dire che quelli che riuscirono a sopravvivere, nonostante le tremende torture loro inflitte nelle prigioni, si sono dimostrati fin dai primi giorni della guerra veri patrioti ed hanno combattuto eroicamente per la gloria della patria; penso a camerati come Rokossovsky, che, come ben sapete, era stato imprigionato, come Gorbatov, Maretskov, oggi delegato al nostro congresso, Podlas, comandante di prim’ordine che perì al fronte, e molti e molti altri. Molti di essi però perirono in campi di concentramento e in prigione, e l’esercito non li vide più nelle sue file.
Tutto ciò provocò la situazione esistente al principio della guerra, così grave di minacce per la patria.
Sarebbe un errore dimenticare che dopo i primi gravi disastri e dopo le disfatte al fronte Stalin pensò che fosse giunta la fine. In uno dei discorsi tenuti in quei giorni egli disse: «Abbiamo perduto per sempre tutto quello che Lenin aveva creato». Successivamente, per un lungo periodo, Stalin non diresse più le operazioni militari e cessò da qualsiasi attività. Egli riprese una direzione attiva solo quando alcuni membri del Politburo si recarono da lui per dirgli che era necessario prendere alcune misure immediate per migliorare la situazione sul fronte.
Il minaccioso pericolo che sovrastò la patria nel primo periodo della guerra fu quindi dovuto in gran parte agli errati metodi direttivi di Stalin nei confronti del paese e del partito.
Non parliamo, comunque, soltanto di quel momento in cui ebbe inizio la guerra e che provocò una grave disgregazione nell’esercito e gravi perdite al paese. Anche dopo che la guerra era già incominciata, il nervosismo e lo isterismo dimostrato da Stalin nell’interferire nelle operazioni militari causò gravi danni al nostro esercito.
Stalin era ben lungi dal comprendere la vera situazione che si era creata sul fronte e ciò era naturale perchè, durante l’intera guerra patriottica, egli non visitò mai un settore del fronte o una città liberata, se si eccettua una breve passeggiata in macchina sull’autostrada Mozhaisk, in un periodo in cui la situazione sul fronte si era stabilizzata. A questo episodio accidentale furono dedicate molte opere letterarie piene di fantastici racconti di ogni genere e un numero infinito di quadri. Contemporaneamente, Stalin interferiva nelle operazioni militari e diramava ordini che non tenevano affatto conto della vera situazione su un determinato settore del fronte e che non solo non potevano migliorarla ma provocavano enormi perdite umane.
Mi permetterò, a tale proposito, di ricordare un fatto caratteristico che dimostra come Stalin dirigesse le operazioni sul fronte. Partecipa al nostro Congresso il Maresciallo Bagramyan che, nella sua qualità di ex capo delle operazioni al Quartier Generale del fronte sud-occidentale, potrà confermare quanto sto per dirvi.
Essendosi nel 1942 creata una situazione eccezionalmente grave per il nostro esercito nella regione di Kharkov, avevamo opportunamente deciso di rinunciare ad un’operazione che si proponeva come obiettivo l’accerchiamento di Kharkov, in quanto la situazione esistente in quel momento minacciava per il nostro esercito conseguenze fatali qualora l’operazione fosse stata proseguita.
Comunicammo ciò a Stalin, precisando che la situazione richiedeva dei mutamenti nei piani operativi onde impedire al nemico di eliminare un importante settore del nostro esercito. Contrariamente al buon senso, Stalin respinse il nostro suggerimento e ordinò che fosse eseguita l’operazione per l’accerchiamento di Kharkov, nonostante molti gruppi dell’esercito fossero in quel momento essi stessi minacciati di accerchiamento e quindi di eliminazione.
Telefonai a Vasilevsky e gli chiesi «Alexander Mikhailovich, prendi una carta (Vasilevsky è oggi presente) e spiega al compagno Stalin la situazione che si è venuta creando». Bisogna ricordare che Stalin preparava le operazioni su un mappamondo (animazione nella sala). Sì, compagni, egli si serviva di un mappamondo e su di esso segnava la linea del fronte. Dissi allora al compagno Vasilevsky: «Spiegagli la situazione sulla carta; data l’attuale situazione non possiamo attuare l’operazione progettata. La decisione già presa deve essere modificata per il bene della patria».
Vasilevsky rispose che Stalin aveva già studiato il problema e che egli non intendeva rivederlo per parlargli della cosa in quanto questi non voleva ascoltare argomenti in proposito.
Dopo aver parlato con Vasilevsky, telefonai a Stalin nella sua villa; Stalin però non rispose e venne al telefono Malenkov. Dissi al compagno Malenkov che chiamavo dal fronte e che volevo parlare personalmente con Stalin. Stalin fece dire da Malenkov che dovevo parlare con quest’ultimo. Ribattei per la seconda volta che desideravo informare personalmente Stalin della grave situazione che si era andata creando sul fronte; Stalin però non ritenne opportuno sollevare il microfono e confermò che dovevo parlare con lui attraverso Malenkov, per quanto distasse dall’apparecchio solo pochi passi.
Dopo avere «ascoltato» in tal modo il nostro appello, Stalin disse: «Tutto deve restare immutato!».
Quale fu il risultato di questa decisione? Quanto di peggio si potesse prevedere. I tedeschi circondarono i nostri raggruppamenti militari e perdemmo quindi centinaia di migliaia di soldati. Questo fu il «genio» militare di Stalin e questo il prezzo che tale «genio» ci costò (Movimenti nell’aula).
Un giorno, dopo la guerra, durante una riunione di Stalin con i membri del Politburo, Anastas Ivanovich Mikoyan ebbe a dire che Krusciov aveva ragione quando telefonò a proposito della situazione di Kharkov e che era un peccato che i suoi suggerimenti non fossero stati accettati.
Avreste dovuto vedere come si infuriò Stalin! Come si poteva ammettere che Lui, Stalin, avesse avuto torto! Egli era dopotutto un «genio» ed un «genio» non può che aver ragione! Tutti possono sbagliare, ma Stalin riteneva di non aver mai sbagliato e di aver avuto sempre ragione. Egli non ammise mai con alcuno di avere errato, nè poco nè molto, nonostante avesse commesso non pochi errori sia nel campo teorico che in quello pratico. Dopo il Congresso dovremo probabilmente riesaminare numerose operazioni militari del tempo di guerra e presentarle nella giusta luce.
La tattica nella quale Stalin insisteva, ignorando i rudimenti della strategia bellica, ci costò molto spargimento di sangue, fino a quando non riuscimmo ad arrestare il nemico e a passare all’offensiva.
I militari sanno che già verso la fine del 1941, invece di svolgere vaste manovre atte ad accerchiare il nemico onde colpirlo alle spalle, Stalin insisteva sugli attacchi frontali e la conquista successiva di villaggi. Ciò ci costò enormi perdite fino a quando i nostri generali, sulle cui spalle ricadeva tutto il peso dello svolgimento della guerra, non riuscirono a rovesciare la situazione e a passare a operazioni più flessibili, le quali provocarono immediatamente sul fronte importanti mutamenti in nostro favore.
Ancor più deprecabile fu il fatto che, dopo la grande vittoria sul nemico conquistata a così caro prezzo, Stalin cominciò a diffamare molti dei comandanti che tanto avevano contribuito alla vittoria sul nemico, poiché egli non ammetteva la possibilità che servizi resi sul fronte potessero essere attribuiti se non a lui.
Stalin era profondamente interessato alla valutazione del compagno Zhukov quale capo militare e mi chiedeva spesso cosa pensassi di lui. Io gli dissi allora: «Conosco Zhukov da lungo tempo e lo ritengo un bravo generale e un buon capo militare».
Dopo la guerra Stalin cominciò a raccontare un mondo di sciocchezze su Zhukov dicendo tra l’altro: «Voi lodate Zhukov, ma egli non lo merita. Si dice che prima di ogni azione sul fronte Zhukov avesse l’abitudine di prendere una manciata di terra, annusarla e dichiarare: «Possiamo dare inizio all’attacco», o viceversa, «il piano operativo stabilito non può essere attuato». Io dichiarai allora: «Compagno Stalin non so chi abbia inventato questa storia ma essa non risponde a verità».
Può darsi che Stalin stesso abbia inventato questa storia allo scopo di minimizzare la parte svolta dal maresciallo Zhukov ed i suoi talenti militari.
In questo campo Stalin invece cercava molto energicamente di rendersi popolare come un grande capo e in varie occasioni cercò di inculcare nel popolo l’idea che tutte le vittorie conquistate dall’Unione Sovietica durante la grande guerra patriottica erano dovute al coraggio, all’iniziativa audace e al genio di Stalin e non di altri. Al pari di Kryuchkov (il famoso cosacco che compì imprese eroiche contro i tedeschi), egli fece indossare contemporaneamente a sette persone lo stesso abito (Animazione nell’aula).
Sempre a questo proposito, prendiamo, ad esempio, i nostri films storici e militari ed alcune opere letterarie; essi provocano la nausea in quanto il loro vero obiettivo è la diffusione di un solo tema: «l’elogio di Stalin come genio militare». Pensiamo al film «La caduta di Berlino». In esso il protagonista è soltanto Stalin: egli emana ordini in una sala in cui le molte sedie sono vuote ed un uomo soltanto si avvicina a lui per riferirgli qualcosa: si tratta di Poskrebyshev, la sua fedele guardia del corpo. (Risate nell’aula)».
Dove è il comando militare? Dove il Politburo? Dov’è il governo? Cosa mai stanno facendo? Cosa li tiene occupati? Nel film essi non esistono e Stalin agisce al posto di tutti: egli non riconosce alcuno, non si consulta con alcuno. Ogni cosa viene mostrata alla nazione in questa falsa luce. Perchè? Per circondare Stalin di gloria, contrariamente alla realtà e alla verità storica.
Sorge una domanda: dove sono i militari sulle cui spalle ricadeva il peso della guerra? Essi non sono presenti nel film; accanto a Stalin non vi è posto per loro.
Non fu Stalin, ma furono il partito nel suo complesso, il governo sovietico, il nostro eroico esercito, i suoi intelligenti capi e valorosi soldati, la intera nazione sovietica ad assicurare la vittoria nella grande guerra patriottica. (Applausi scroscianti e prolungati nell’aula).
I membri del Comitato Centrale, i ministri, i nostri esperti economici, gli esponenti della cultura sovietica, i direttori delle organizzazioni sovietiche e delle sedi locali del partito e del governo, gli ingegneri ed i tecnici, ognuno al suo posto di lavoro, contribuirono generosamente con la loro energia e con la loro competenza ad assicurare la vittoria sul nemico.
Un eccezionale eroismo fu dimostrato dal nucleo vitale del nostro popolo. La gloria avvolge tutta la nostra classe lavoratrice: dai contadini dei kolkos all’intellighentia sovietica che, sotto la direzione degli organi del partito, seppe superare indicibili ostacoli sopportando i disagi della guerra, dedicando tutte le sue energie alla causa della difesa della patria.
Imprese coraggiose ed importanti furono compiute dalle donne sovietiche che sopportarono sulle loro spalle il pesante onere della produzione negli stabilimenti, nei kolkos e nei vari settori economici e culturali; molte donne parteciparono direttamente alla grande guerra patriottica sui vari fronti. La nostra valorosa gioventù diede un contributo incommensurabile, sia sul fronte che nelle retrovie, difendendo la patria sovietica e sterminando il nemico.
Degni di gloria immortale sono i servizi resi dai soldati sovietici e dai loro comandanti, dai lavoratori politici di ogni rango; dopo l’annientamento di notevole parte dell’esercito, nei primi mesi di guerra, non persero la testa e seppero riorganizzarsi mentre la guerra continuava, un esercito forte ed eroico che non solo seppe resistere alla pressione di un nemico forte ed astuto ma anche annientarlo.
Le magnifiche imprese di centinaia di milioni di persone, in oriente ed occidente, durante la lotta contro la minaccia di un dominio fascista che pendeva su di noi, rimarranno per secoli e millenni nella memoria dell’umanità grata. (Applausi scroscianti).
La parte principale e il merito maggiore della vittoriosa conclusione della guerra spettano al partito comunista, alle forze armate dell’Unione Sovietica e a decine di milioni di cittadini sovietici educati dal partito. (Applausi scroscianti e prolungati).
Compagni, passiamo ora ad altri fatti. L’Unione Sovietica viene giustamente considerata come un modello di stato plurinazionale appunto perchè noi abbiamo praticamente assicurato l’eguaglianza e l’amicizia tra tutte le nazioni che vivono in seno alla nostra grande patria. Ancor più mostruose sono quindi le azioni di cui fu artefice Stalin e che rappresentano brutali violazioni dei principi fondamentali di Lenin sulla politica dello stato sovietico nei confronti della nazionalità. Ci riferiamo alle deportazioni di massa dai luoghi nativi di intere nazioni, insieme con tutti i comunisti e Konsomol, senza eccezione alcuna; tale deportazione non fu imposta da considerazioni di carattere militare.
E così, già alla fine del 1943, quando già si era verificato su tutti i fronti della grande guerra patriottica un rovesciamento definitivo di situazione, a beneficio dell’Unione Sovietica, fu decisa ed attuata la deportazione di tutti i Karaciai dalle terre in cui avevano fino allora vissuto. Nello stesso periodo, alla fine del dicembre 1943, la stessa sorte fu riservata all’intera popolazione della Repubblica autonoma dei Calmucchi. Nel marzo 1944, le intere popolazioni cecene e inguscie furono deportate e le repubbliche autonome che esse formavano eliminate. Nell’aprile 1944 tutti i balkari furono deportati in località assai lontane dal territorio della repubblica autonoma Kabardino Balkaria che fu ribattezzata Repubblica autonoma Kabardina. Gli ucraini poterono evitare la stessa sorte solo perchè troppo numerosi e non fu possibile quindi trovare una località ove deportarli. Se ciò fosse stato possibile, Stalin avrebbe deportato anche loro». (Risa ed animazione nell’aula).
Non solo un marxista-leninista ma neppure una persona di buonsenso può riuscire a capire come sia possibile rendere intere nazioni, in esse compresi vecchi, donne, comunisti e Konsomol, responsabili di attività ostili, esercitare nei loro confronti repressioni di massa ed esporle a miseria e sofferenza, per atti ostili compiuti da singoli individui o gruppi di essi.
Dopo la conclusione della guerra patriottica, la nazione sovietica esaltò orgogliosa le magnifiche vittorie conseguite mediante così gravi sacrifici e tremendi sforzi. Il paese attraversò un periodo di entusiasmo politico. Il partito uscì dalla guerra ancora più unito; i quadri di esso erano temprati e rafforzati nelle fiamme della guerra. In tali condizioni nessuno poteva mai pensare alla possibilità di un complotto in seno al partito stesso.
Eppure fu precisamente in quel periodo che nacque il cosiddetto «Affare di Leningrado». Come abbiamo potuto dimostrare, tale caso fu «fabbricato»; tra coloro che pur essendo innocenti persero la vita, sono i compagni Voznesensky, Kuznetsov, Rodionov, Popkov ed altri.
Come è noto, Voznesensky e Kuznetsov erano dei capi intelligenti ed importanti, una volta assai vicini a Stalin. Basterà ricordare che Stalin nominò Voznesensky primo Vice presidente del Consiglio dei Ministri mentre Kuznetsov era stato eletto presidente del Comitato Centrale.
Il fatto stesso che Stalin avesse affidato a Kuznetsov il controllo degli organi di sicurezza dello Stato dimostra la fiducia che egli godeva.
Come potè accadere che tali individui fossero bollati come nemici del popolo e quindi liquidati?
I fatti dimostrano che anche «l’Affare di Leningrado» fu il prodotto della sopraffazione esercitata da Stalin nei confronti dei quadri del partito. Se in seno al Comitato Centrale ed al Politburo fosse esistita una situazione normale, questioni del genere sarebbero state esaminate secondo la prassi del partito e tutti i fatti ad esse relativi, accertati: ne sarebbe quindi conseguito che un affare del genere ed altri consimili non sarebbero accaduti.
Dobbiamo anche dire che dopo la guerra la situazione si era fatta ancora più complicata. Stalin era diventato ancor più capriccioso, irritabile e brutale e, in particolare, ancor più sospettoso. La sua mania di persecuzione raggiunse limiti incredibili. Molti collaboratori si trasformavano sotto i suoi occhi in nemici. Dopo la guerra, Stalin si staccò ancora di più dalla direzione collegiale: tutto veniva deciso soltanto da lui senza tener affatto conto di persone e di cose.
Di questa incredibile tendenza al sospetto approfittò astutamente un abietto provocatore e vile nemico, Beria, che aveva sterminato migliaia di comunisti e di leali cittadini sovietici. L’ascesa di Voznesensky e Kuznetsov lo aveva allarmato. Come abbiamo già dimostrato, era stato proprio Beria a «consigliare» a Stalin che venisse «fabbricato» da lui e dai suoi confidenti materiale di prova come dichiarazioni e lettere anonime o notizie e chiacchiere da spargere in giro.
Il Comitato Centrale ha esaminato questo cosiddetto «Affare di Leningrado»: persone che furono innocentemente perseguitate sono state oggi riabilitate ed è stata riconosciuta l’onorabilità dei gloriosi quadri del partito a Leningrado. Abakumov ed altri che avevano montato questa storia sono stati processati; il processo si è svolto a Leningrado ed essi hanno ricevuto la pena che meritavano.
Viene fatto di domandarsi: perchè mai ci accorgiamo della verità di tale affare soltanto oggi e perchè mai non fu fatto qualcosa prima, durante la vita di Stalin, per prevenire la perdita di vite innocenti? Ciò non fu passibile perchè Stalin controllava personalmente «l’affare» Voznesensky e Kuznetsov. Il loro destino era quindi segnato.
Probativo nello stesso modo è il caso della organizzazione nazionalista Mingreliana che si disse esistere in Georgia. Come è noto, risoluzioni furono approvate dal Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica a proposito di questo caso, nel novembre 1951 e nel marzo 1952. Tali risoluzioni furono approvate senza discuterne prima con il Politburo: Stalin in persona le aveva dettate. Esse formulavano gravi accuse contro fedeli comunisti.
In base a documenti falsificati, si dimostrò che esisteva in Georgia una sedicente organizzazione nazionalista che si propeneva, con l’aiuto delle potenze imperialistiche, di rovesciare nell’ambito di quella repubblica il potere sovietico.
Un buon numero di importanti lavoratori dei Soviet e del partito fu arrestato in Georgia. Come è stato dimostrato più tardi, il colpo era diretto contro l’organizzazione georgiana del partito. Sappiamo che manifestazioni di nazionalismo borghese locale si sono verificate di tanto in tanto in Georgia come in molte altre repubbliche. Sorge quindi la domanda: è possibile che nel periodo cui si riferiscono le summenzionate risoluzioni, le tendenze nazionaliste si fossero talmente sviluppate da creare il pericolo che la Georgia si staccasse dalla Unione Sovietica per unirsi alla Turchia? (Animazione e risa nell’aula).
Queste sono naturalmente delle sciocchezze. È impossibile immaginare che tali idee potessero trovare credito presso alcuno; tutti conoscono lo sviluppo economico e culturale raggiunto dalla Georgia sotto il regime sovietico.
La produzione industriale della repubblica georgiana supera oggi di ventisette volte quella del periodo anteriore alla rivoluzione. Numerose industrie sono sorte in Georgia delle quali non si aveva traccia prima della rivoluzione: fonderie, industrie petrolifere, industrie per la fabbricazione di macchine, ecc. L’analfabetismo che nella Georgia prerivoluzionaria si estendeva al 78 per cento della popolazione, è da tempo scomparso.
Come potevano i georgiani, facendo un paragone tra le condizioni esistenti nella loro repubblica e la dura situazione delle masse lavoratrici in Turchia, aspirare ad unirsi a quello Stato? Nel 1955 la Georgia ha prodotto, pro-capite, nove volte l’energia elettrica prodotta in Turchia. In base al censimento del 1950, l’analfabetismo si estende al 65 per cento della popolazione turca ed all’80 per cento delle donne. La Georgia possiede diciannove istituti di istruzione superiore con una popolazione di circa 39 mila studenti; questa cifra supera di otto volte i corrispondenti dati relativi alla Turchia (per ogni mille abitanti). La prosperità del popolo lavoratore è enormemente aumentata in Georgia sotto il regime sovietico.
È evidente che con lo sviluppo della economia e della cultura e con il radicarsi di una coscienza socialista tra le masse lavoratrici della Georgia, le fonti cui il nazionalismo borghese attinge la sua forza vanno sparendo.
Come si è potuto accertare, in Georgia non esisteva alcuna organizzazione nazionalistica e migliaia di persone caddero vittime della sopraffazione e della illegalità. Tutto ciò si verificò sotto la «geniale» direzione di Stalin, il grande figlio della nazione georgiana», come i suoi compatrioti amavano chiamarlo. (Animazione nell’aula).
La protervia di Stalin si dimostrò non soltanto in decisione relative al paese, ma anche nei rapporti internazionali della Unione Sovietica.
Il plenum di luglio del Comitato Centrale ha studiato nei dettagli le ragioni che provocarono il conflitto con la Jugoslavia. Anche in ciò Stalin ebbe una parte vergognosa. «L’affare jugoslavo» non conteneva problemi che non potessero essere risolti mediante discussioni di partito tra compagni. Non esistevano elementi importanti per gonfiare tale «affare»; era del tutto possibile prevenire una rottura di rapporti fra i due paesi. Ciò non significa comunque che i dirigenti jugoslavi non abbiano commesso errori o manchevolezze. Tali errori e tali manchevolezze furono però mostruosamente ingigantiti da Stalin, con il risultato di rompere i rapporti con un paese amico.
Ricordo i primi giorni in cui il conflitto tra l’Unione Sovietica e la Jugoslavia cominciò ad essere artificialmente montato. Un giorno, rientrando da Kiev a Mosca, fui invitato a recarmi da Stalin il quale, indicandomi una lettera che fu più tardi inviata a Tito, mi chiese: «Hai letto questo?» Senza aspettare la mia risposta egli aggiunse: «Basterà che io muova il mignolo e Tito non esisterà più. Egli cadrà».
Abbiamo duramente pagato il suo «scuotimento del mignolo». Questa dichiarazione rispecchiava la mania di grandezza di Stalin; eppure questo era il suo modo di agire: «Muoverò il mignolo e Kossior non esisterà più; muoverò ancora una volta il mignolo e Postyshev e Chubar non esisteranno più; muoverò ancora il mignolo e Voznesensky, Kusnetsov e molti altri spariranno».
Ciò però non si verificò per Tito. Per quanto Stalin scuotesse il suo mignolo, e non solo questo ma quanto gli era possibile scuotere, Tito non cadde. Perchè? La ragione è semplice: in questo caso di disaccordo con i compagni jugoslavi, Tito aveva dietro di sè uno stato ed un popolo che era passato attraverso la dura scuola della lotta per la libertà e l’indipendenza, popolo che appoggiava in pieno i suoi capi.
Potete constatare dove ci condusse la mania di grandezza di Stalin. Egli aveva perduto completamente la nozione della realtà e dimostrava i suoi sospetti e la sua alterigia non soltanto nei confronti degli individui nell’Unione Sovietica ma anche nei rapporti con partiti e nazioni.
Abbiamo attentamente esaminato il caso della Jugoslavia ed abbiamo trovato la soluzione più adatta che è stata approvata dai popoli dell’Unione Sovietica e della Jugoslavia nonché dalle masse lavoratrici di tutte le democrazie popolari e da tutta l’umanità progressista. L’eliminazione di questi rapporti non normali con la Jugoslavia è stata compiuta nell’interesse dell’intero campo socialista, nell’interesse di un rafforzamento della pace nel mondo intero.
Ricordiamo anche “l’Affare del complotto dei medici” (animazione nell’aula).
In realtà nessun «affare» è mai esistito, se si eccettua la dichiarazione della dottoressa Timashuk la quale fu probabilmente influenzata e costretta a subire gli ordini di qualcuno (dopotutto la dottoressa era un collaboratore non ufficiale degli organi di sicurezza dello Stato) ed a scrivere a Stalin una lettera nella quale dichiarava che i medici ricorrevano a metodi da lei definiti inadatti nelle cure da essi ordinate.
Una lettera del genere fu sufficiente a Stalin per concludere immediatamente che nell’Unione Sovietica esisteva un complotto di medici. Egli ordinò di arrestare un gruppo di importanti specialisti sovietici e prescrisse personalmente come doveva essere svolta l’inchiesta e a quali metodi si dovesse ricorrere per interrogare gli arrestati. Egli prescrisse che l’accademico Vinogradov fosse posto in catene e che un altro fosse picchiato. Presente al nostro Congresso nella sua qualità di ex Ministro per la Sicurezza di Stato è il compagno Ignatiev. Stalin gli disse bruscamente: «Se non otterrai una confessione dei medici ne andrà di mezzo la tua testa» (tumulti nell’aula).
Stalin chiamò personalmente il giudice incaricato dell’istruttoria, gli impartì direttive e consigliò i metodi investigativi da seguire; tali metodi erano molto semplici: picchiare, picchiare e ancora picchiare.
Poco dopo l’arresto dei medici, noi membri del Politburo ricevemmo dei documenti che contenevano le confessioni dei medici. Dopo che tali documenti erano stati distribuiti, Stalin ci disse: «Siete ciechi come dei gatti appena nati; cosa succederebbe se non ci fossi io? Il paese perirebbe perchè non sapete riconoscere i nemici».
Il caso fu trattato in modo che nessuno potè controllare i fatti su cui l’inchiesta si basava; nè fu possibile tentare di verificarli mettendosi in contatto con coloro che si erano confessati colpevoli.
Comprendemmo, comunque, che il caso dei medici arrestati era dubbio. Conoscevamo personalmente alcuni di essi, in quanto ci avevano curato. Quando esaminammo il «caso», dopo la morte di Stalin, costatammo che esso era stato «fabbricato» dal principio alla fine.
Questo «caso» ignominioso era stato montato da Stalin; egli non ebbe però tempo materiale per portarlo a termine (quel termine che egli aveva concepito) e solo per tale ragione i medici sono ancora vivi. Essi sono stati pienamente riabilitati e lavorano oggi negli stessi luoghi dove lavoravano prima curando personaggi di primo piano, non esclusi i membri del governo. Essi godono della nostra piena fiducia ed assolvono i loro compiti onestamente, come facevano prima.
Una parte abbietta fu svolta da un rabbioso nemico del nostro partito, un agente di un servizio straniero di spionaggio, Beria, che aveva saputo conquistarsi la fiducia di Stalin.
Come aveva potuto questo provocatore conquistarsi nel partito e nello Stato una posizione tale da divenire Primo Vice Presidente del Consiglio dei Ministri dell’Unione Sovietica e membro del Politburo del Comitato Centrale? È ora accertato che questo ribaldo aveva compiuto la sua ascesa al potere passando su un numero indicibile di cadaveri.
Esistevano indicazioni tali da identificare Beria come un nemico del partito? Sì, ne esistevano. Già nel 1937 ad un plenum del Comitato Centrale, l’ex Commissario del Popolo per la Sanità, Kaminsky, aveva dichiarato che Beria lavorava per il servizio di spionaggio Mussavat, ma non appena il plenum era terminato Kaminsky veniva arrestato e fucilato. Stalin aveva esaminato le dichiarazioni di Kaminsky? No di certo, poiché egli credeva in Beria e ciò era sufficente. Quando Stalin aveva fiducia in qualcosa o in qualcuno, nessuno poteva avanzare opinioni contrarie alla sua. Chiunque avesse osato esprimere parere contrario avrebbe subito la stessa sorte di Kaminsky.
Vi erano anche altre indicazioni. La dichiarazione fatta dal compagno Snegov al Comitato Centrale del partito è interessante (ricordiamo che anche Snegov fu riabilitato non molto tempo fa, dopo aver trascorso 17 anni in campi di prigionia). Nella sua dichiarazione, Snegov scrive:
«Per quanto riguarda la riabilitazione proposta per l’ex membro del Comitato Centrale Kartvelishvili Lavryentiev, ho consegnato nelle mani del rappresentante del Comitato per la sicurezza dello Stato una deposizione dettagliata relativa alla parte sostenuta da Beria nello svolgimento del caso Kartvelishvili ed ai motivi criminali che lo guidavano.
«Secondo me è indispensabile ricordare un fatto importante connesso a tale caso e comunicarlo al Comitato Centrale, in quanto non ho ritenuto appropriato includerlo fra i documenti dell’inchiesta.
Il 30 agosto 1931, durante una seduta dell’Ufficio organizzativo del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’ Unione Sovietica Kartvelishvili, segretario del Comitato Transcaucasico Krai, presentò una relazione. Erano presenti tutti i membri dell’Esecutivo del Comitato Krai; io sono il solo sopravvissuto tra tutti loro. Durante tale sessione, I. V. Stalin presentò, alla fine del discorso da lui tenuto, una mozione in base alla quale la Segreteria del Comitato Transcaucasico Krai avrebbe dovuto essere cosi composta: primo segretario Kartvelishvili; secondo segretario Beria (fu la prima volta nella storia del partito che il nome di Beria fu fatto come candidato ad una carica di partito). Kartvelishvili rispose che egli conosceva bene Beria e che per tale ragione si rifiutava energicamente di lavorare con lui. Stalin propose che la questione fosse lasciata in sospeso e venisse risolta durante lo svolgimento dei lavori.
Due giorni dopo fu presa la decisione di dare a Beria una carica nel partito e di deportare Kartvelishvili dalla Transcaucasia.
Tale fatto può essere confermato dai compagno Mikoyan e Kaganovich che erano presenti a tale sessione.
I cattivi rapporti che correvano tra Kartvelishvili e Beria erano assai noti; essi risalivano al tempo in cui il compagno Sergo (nomignolo con cui veniva chiamato Ordizhonikidze) svolgeva la sua attività nella Trans-Caucasia: Kartvelishvili era la persona più vicina a lui. Tali cattivi rapporti indussero Beria a montare «un caso» contro di lui.
È caratteristico che in tale «caso», Kartvelishvili sia stato accusato di un’azione terroristica nei confronti di Beria».
L’atto di accusa, nel caso di Beria, contiene una descrizione dei crimini da lui compiuti. Alcuni elementi devono, comunque, essere ricordati soprattutto perchè può darsi che non tutti i delegati all’attuale Congresso abbiano letto tale documento. Desidero ricordare le brutali decisioni di Beria nei casi di Kedrov, Golubiev e della madre adottiva di Golubiev, Baturina, persone tutte che desideravano informare il Comitato Centrale sull’attività proditoria di Beria. Essi furono fucilati senza processo e la sentenza promulgata a fatti compiuti, dopo l’esecuzione.
Ecco quanto un vecchio comunista il compiagno Kedrov scrisse al Comitato Centrale a mezzo del compagno Andreyev (allora segretario del Comitato stesso):
«Invoco il tuo aiuto da una oscura cella della prigione Lefortorsky. Il mio grido di orrore possa giungere alle tue orecchie; non rimanere sordo ad esso; prendimi sotto la tua protezione; fai sì, di grazia, che scompaia l’incubo degli interrogatori e che venga dimostrato che si tratta di un completo errore.
«Sono un innocente che soffre. Credimi, te ne scongiuro. Il tempo dimostrerà la verità. Non sono un agente provocatore della Okhrana Zarsta; non sono una spia: non sono membro di una organizzazione antisovietica come si accusa di essere sulla base di denuncie. Non sono neppure colpevole di altri delitti contro il partito e il governo. Sono un vecchio bolscevico, senza macchia; ho onestamente combattuto per quasi 40 anni nelle file del partito per il bene e la prosperità della nazione
«...Oggi, a 62 anni, i giudici istruttori mi minacciano di metodi di coercizione fisica ancor più duri, crudeli ed umilianti. Essi non sono più in grado di rendersi conto del loro errore e di riconoscere che il loro modo di agire è illegale e inammissibile.
«Essi cercano di giustificare tale modo di agire dipingendomi come un nemico incallito e pazzo e invocano misure repressive sempre maggori. Fai dunque sapere al partito che sono innocente e che nulla può trasformare, neppure sulla soglia della morte, un fedele figlio del partito in un nemico.
«Non vi è per me alcuna via d’uscita. Non posso sottrarmi a nuovi e più potenti colpi che incombono su di me.
«Tutto però ha un limite. Le mie torture sono giunte allo estremo. La mia salute è finita, la mia forza e la mia energia stanno scomparendo. La fine si avvicina. Cosa può esservi di più mostruoso per un uomo onesto che morire in una prigione sovietica, tacciato di essere un traditore della patria? Come è mostruoso tutto ciò! Una amarezza e un dolore indicibile stringono il mio cuore. No! No! Non accadrà — io grido — ciò non potrà accadere! Nè il partito, nè il governo sovietico, nè il Commissario del popolo Beria permetteranno che tale crudele e irreparabile ingiustiza venga compiuta. Sono fermamente convinto che un esame tranquillo ed obiettivo, senza urla di energumeni, senza sfuriate e senza paurose torture, sarebbe facile dimostrare l’ignominia delle accuse. Ho pienamente fiducia nel trionfo della verità e della giustizia. Ho fiducia, ho fiducia».
Il vecchio bolscevico compagno Kedrov fu giudicato innocente dal Collegium militare; ciononostante egli fu fucilato per ordine di Beria (Indignazione nell’aula).
Beria trattò crudelmente anche la famiglia del compagno Ordzhonikidze. Perchè? Perchè questi aveva cercato di impedire che Beria realizzasse i suoi vergognosi piani. Beria eliminava dalla sua strada tutte le persone che potevano ostacolarne l’attività. Ordzhonikidze era sempre stato un oppositore di Beria, e non lo aveva nascosto a Stalin. Anziché esaminare la questione e prendere le misure adatte, Stalin permise che fosse liquidato il fratello di Ordzhonikidze ed esasperò questi al punto da costringerlo ad uccidersi (indignazione nell’aula). Questi era Beria.
Beria fu smascherato dal Comitato Centrale del partito poco dopo la morte di Stalin. A seguito di un processo particolarmente dettagliato si è accertato che egli aveva commesso delitti veramente mostruosi ed è stato quindi fucilato.
Sorge la domanda: perchè Beria che aveva liquidato decine di migliaia di lavoratori del partito e dei Soviet non fu smascherato durante la vita di Stalin? Egli non fu smascherato prima perchè aveva saputo molto abilmente servirsi della debolezza di Stalin; alimentandone i sospetti, egli lo aveva aiutato in tutto, agendo a sua volta con l’appoggio di lui.
Compagni,
Il culto” della personalità acquistò simili mostruose proporzioni principalmente perchè Stalin stesso, servendosi di tutti i mezzi possibili, favorì la glorificazione della sua persona.
Questo è confermato da numerosi fatti. Uno dei più caratteristici esempi dell’autoglorificazione di Stalin e della assenza in lui della più elementare modestia è l’edizione della sua «Breve biografia», pubblicata nel 1948.
Questo libro è l’espressione della più sfrenata adulazione, l’esempio di come si trasforma un uomo in una divinità, si fa di lui un saggio infallibile, «il più grande capo», «il sublime stratega di tutti i tempi e di tutte le nazioni». In ultimo, non era possibile trovare altre parole con cui portare Stalin alle stelle.
Non abbiamo bisogno di dare qui esempi delle disgustose adulazioni di cui questo libro è pieno. Basterà aggiungere che esse furono tutte approvate e rivedute personalmente da Stalin e che talune di esse furono aggiunte di suo pugno alle bozze del libro.
Che cosa Stalin giudicò essenziale scrivere in questo libro? Volle forse temperare gli ardori di quegli adulatori che avevano composto la sua «Breve biografia?» No! Egli segnò invece quei passi in cui giudicò insufficienti gli elogi della sua opera.
Ed eccovi alcuni brani che descrivono l’attività di Stalin e che furono aggiunti di suo pugno:
«In questa lotta contro gli scettici e i rinunciatari, i seguaci di Trotsky, di Zinoviev, di Bukharin e di Kamenev, fu definitivamente saldato, dopo la morte di Lenin, quel nucleo direttivo del partito... che innalzò la grande bandiera di Lenin, radunò il partito intorno ai precetti di Lenin e condusse il popolo sovietico sulla grande via dell’industrializzazione del paese e della collettivizzazione dell’economia rurale. Capo di questo nucleo e forza-guida del Partito e dello Stato fu il compagno Stalin».
Questo scrive Stalin di se stesso. E aggiunge:
«Benché eseguisse il suo compito di capo del Partito e del popolo con consumata abilità e godesse dell’appoggio senza riserve di tutto il popolo sovietico, Stalin non consentì mai che la sua opera fosse contaminata dalla minima ombra di vanità, di presunzione o di auto-adulazione».
Dove e quando si è visto un capo elogiarsi in questo modo? È degno questo di un capo politico di scuola marxista-leninista? No. Proprio contro di questo Marx ed Engels presero decisamente posizione. E tutto ciò fu energicamente condannato anche da Vladimir Ilic Lenin.
Nel testo originario del suo libro compariva la frase seguente: «Stalin è il Lenin di oggi». Questa espressione parve a Stalin troppo debole, sicché di suo pugno la modificò in questo modo: «Stalin è il degno continuatore dell’opera di Lenin o, come si dice nel nostro partito, Stalin è il Lenin di oggi». Vedete come il concetto sia stato ben formulato, non dalla nazione ma dallo stesso Stalin.
Sarebbe possibile citare molti altri di questi giudizi di auto-esaltazione, inseriti nel testo originale di quel libro con la calligrafia di Stalin. Con particolare generosità egli si prodiga elogi relativi al suo genio militare, al suo talento strategico.
Vi citerò ancora un passo inserito da Stalin sul tema del genio militare staliniano:
«La già progredita scienza bellica sovietica ricevette ulteriore impulso — egli scrive — per merito del compagno Stalin. Il compagno Stalin elaborò la teoria dei fattori permanentemente operanti che decidono l’esito delle guerre, della difesa attiva, nonché le leggi della controffensiva e dell’offensiva, della collaborazione di tutti i servizi e le armi nella guerra moderna, della funzione delle grandi masse corazzate e delle forze aeree nella guerra moderna e dell’artiglieria come la più formidabile tra le armi. In varie fasi della guerra il genio di Stalin trovò le soluzioni giuste che tenevano conto di tutti gli elementi della situazione». (Reazioni nell’aula).
E Stalin scrive ancora:
«Il genio militare di Stalin si manifestò sia nella difesa che nell’offesa. Il genio del compagno Stalin gli permise di intuire i piani del nemico e sventarli. Le battaglie in cui il compagno Stalin diresse gli eserciti sovietici sono brillanti esempi di arte militare operativa .
In questo modo Stalin veniva elogiato come stratega. E chi lo fece? Stalin stesso, non come stratega, ma come autore e revisore, come uno dei principali artefici di questa biografia adulatrice.
Questa, compagni, è la verità. Dovremmo anzi dire la vergognosa realtà.
Ed ecco ancora un altro elemento tratto da questa stessa «Breve biografia» di Stalin. Com’è noto, il «Breve corso di storia del Partito Comunista dell’Unione Sovietica» fu scritto da una commissione del Comitato Centrale del Partito. Questo libro, tra parentesi, era anch’esso permeato del culto della responsabilità e fu compilato da un gruppo designato di scrittori. Questo fatto veniva spiegato con la frase seguente nel testo originario della «Breve biografìa di Stalin»:
«Una Commissione del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, sotto la direzione del compagno Stalin e con la sua più attiva partecipazione personale, ha preparato un “Breve corso della storia del Partito Comunista dell’Unione Sovietica”».
Ma anche questa frase non soddisfaceva Stalin: essa venne sostituita nel testo finale della «Breve biografia» con la seguente espressione:
«Nel 1938 uscì il libro “Storia del Partito Comunista dell’Unione Sovietica”, breve corso, scritto dal compagno Stalin e approvato da una commissione del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica». C’è bisogno di aggiungere altro? (Animazione nell’aula).
Come vedete, una sorprendente metamorfosi mutò l’opera creata da un gruppo in un libro scritto da Stalin. Non è necessario dire come e perchè tale metamorfosi ebbe luogo.
Ci viene ora alla mente una domanda pertinente: Se Stalin è l’autore di questo libro, perchè sentì il bisogno di elogiare tanto la persona di Stalin e di trasformare tutto il periodo storico del nostro glorioso partito comunista dopo la Rivoluzione di Ottobre unicamente in una creazione del «genio di Stalin»?
Illustra adeguatamente questo libro gli sforzi del partito per la trasformazione socialista del paese, per l’edificazione della società socialista, per l’industrializzazione e la collettivizzazione del paese, ed anche gli altri passi intrapresi dal partito, che avanzò senza deviare sulla strada tracciata da Lenin? In realtà il libro parla soprattutto di Stalin, dei suoi discorsi, delle sue relazioni. Tutto, senza nessuna eccezione, è legato al suo nome.
E quando Stalin stesso afferma di avere scritto personalmente il «Breve corso di storia del Partito Comunista dell’Unione Sovietica», c’è di che restare perlomeno stupiti. Può un marxista-leninista scrivere a quel modo di se stesso, innalzando la propria persona alle stelle?
Oppure consideriamo la questione dei premi Stalin. (Movimenti nell’aula). Neppure gli Zar crearono dei premi intitolati al loro nome.
Stalin prescelse tra gli altri un testo dell’inno nazionale dell’Unione Sovietica che non contiene una sola parola sul partito comunista, ma racchiude tuttavia il seguente elogio senza precedenti di Stalin:
«Stalin ci ha educato nella fedeltà al popolo, Egli ci ha ispirato a grandi sforzi ed imprese».
In questi versi dell’inno tutta l’attività educativa, direttiva ed ispiratrice del grande partito di Lenin è attribuita a Stalin. Questa, naturalmente, costituisce una palese deviazione del marxismo-leninismo, una palese degradazione e svalutazione della funzione del partito. Per vostra informazione dobbiamo aggiungere che il Presidium del Comitato Centrale ha già approvato una risoluzione riguardante la composizione del nuovo testo dell’inno, che esprima la funzione del popolo e la funzione del partito. (Scroscianti, prolungati applausi).
E fu forse ad insaputa di Stalin che molte delle più grandi imprese e città furono dedicate al suo nome. Fu forse a sua insaputa che monumenti a Stalin, questi «mausolei per un vivo», furono eretti in tutto il paese? Sta di fatto che Stalin stesso aveva firmato il 2 luglio 1951 una risoluzione del Consiglio dei Ministri dell’URSS che riguardava l’erezione sul canale Volga-Don di un imponente monumento a Stalin; e il 4 settembre dello stesso anno egli emanava un ordine che disponeva di 33 tonnellate di rame per la costruzione di questo imponente monumento.
Tutti coloro che hanno visitato la zona di Stalingrado debbono aver visto l’immensa statua che vi si sta erigendo, e questo in una località assai poco frequentata. Ingenti somme di danaro sono state spese per erigerla, mentre la popolazione di quella zona ha vissuto dalla fine della guerra in capanne. Giudicate voi stessi se Stalin avesse ragione quando nella sua biografia scriveva: “... non si permise... neppure l’ombra della prensuzione, dell’orgoglio e dell’autoesaltazione “.
Nello stesso tempo Stalin dette prova della sua mancanza di rispetto per la memoria di Lenin. Non è una coincidenza che, malgrado la decisione presa più di trent’anni or sono di costruire come monumento a Vladimir Ilic il Palazzo dei Soviet, questo palazzo non venne mai edificato, la sua costruzione fu sempre rinviata e infine il progetto cadde nel dimenticatoio.
Non possiamo fare a meno di ricordare la risoluzione del Governo sovietico del 14 agosto 1925 che riguardava «la fondazione dei premi Lenin per l’attività educativa». Tale risoluzione fu riportata dalla stampa, ma fino ad oggi non ci sono dei premi Lenin. Ed anche a questo si dovrebbe porre riparo. (Tumultuosi, prolungati applausi).
Durante la vita di Stalin, grazie ai noti metodi che ho ricordato, e alla descrizione dei fatti, quale si trova, per esempio, nella «Breve biografia» di Stalin, tutti gli avvenimenti venivano spiegati come se Lenin avesse svolto solo una parte secondaria persino durante la Rivoluzione socialista di Ottobre. In molti film e in molte opere letterarie, la figura di Lenin fu presentata in maniera inesatta e svalutata in modo inammissibile.
A Stalin piaceva particolarmente il film «L’indimenticabile 1919», in cui egli compariva sul predellino di un treno corazzato e in cui egli debellava praticamente il nemico con la propria spada. Sarebbe bene che il nostro caro amico Kliment Yefremovic trovasse il coraggio necessario per scrivere la verità su Stalin. Dopo tutto, egli sa bene in che modo Stalin combattè. Sarà difficile per il compagno Voroscilov intraprendere quest’opera, ma sarebbe bene che lo facesse. Tutti lo approveranno, nel popolo e nel partito. E anche i suoi nipoti gliene saranno grati. (Prolungati applausi).
Nel parlare degli avvenimenti della Rivoluzione d’Ottobre e della Guerra Civile, veniva creata l’impressione che Stalin vi avesse sempre svolto il ruolo principale, come se ovunque e sempre Stalin avesse suggerito a Lenin che cosa fare e come farlo. Tuttavia, questo significa calunniare Lenin. (Prolungati applausi).
Probabilmente non commetto un peccato contro la verità se dico che il 99% di coloro che sono qui presenti avevano ben poco sentito parlare e ben poco sapevano di Stalin prima del 1924, mentre Lenin era noto a tutti, era ben conosciuto da tutto il partito, da tutta la nazione, dai bambini ai vecchi. (Tumultuosi, prolungati applausi).
Tutto questo deve essere sottoposto ad una esauriente revisione, affinchè la storia, la letteratura e le belle arti illustrino adeguatamente il ruolo di V. I. Lenin e le grandi conquiste del nostro partito comunista e del popolo sovietico, il popolo creatore. (Applausi).
Compagni! Il culto della personalità ha determinato la adozione di principii erronei nel lavoro di partito e nell’attività economica; ha determinato violazioni delle norme della democrazia interna del partito e dei Soviet, un’amministrazione sterile, deviazioni di ogni genere, il mascheramento delle deficienze e l’abbellimento della realtà. Nella nostra nazione cominciarono a pullulare gli adulatori e gli specialisti del falso ottimismo e dell’inganno.
Non dovremmo inoltre dimenticare che a seguito dei numerosi arresti di esponenti del partito, dei Soviet e degli organi economici, molti lavoratori cominciarono ad essere incerti nella loro attività, manifestarono un’eccessiva cautela, concepirono timore per tutto quello che aveva carattere di novità, presero ad aver paura della loro ombra e a palesare meno iniziativa nel loro operato.
Consideriamo, per esempio, le risoluzioni del partito e dei Soviet. Esse erano preparate secondo moduli fissi, spesso senza prendere in considerazione la realtà della situazione. E questo sistema si diffuse talmente che i lavoratori del partito, anche nelle riunioni di minore importanza, presero l’abitudine di leggere dei testi già preparati. Tutto ciò suscitò il pericolo di dare un carattere puramente formale al lavoro del partito e dei Soviet e di burocratizzare l’intero apparato.
La riluttanza di Stalin a prendere in considerazione la realtà della vita e il fatto che egli non era a conoscenza della vera situazione nelle province, possono essere illustrati dalle sue direttive per l’agricoltura.
Tutti coloro che si interessavano, sia pur superficialmente, della situazione nazionale, vedevano quanto fosse diffìcile la situazione nel settore agricolo, ma Stalin non se ne accorse mai. Ma noialtri, non gliene parlavamo? Sì, gliene parlavamo, ma egli non ci dava retta. Perchè? Perchè Stalin non volle mai recarsi in alcun posto, non si incontrò con i lavoratori delle città e dei colcos, e non conobbe mai la vera situazione nelle provincie.
Egli conosceva il paese e la situazione agricola solo attraverso i documenti cinematografici. E questi documenti avevano mascherato e abbellito la reale situazione nel settore agricolo.
Molti film, difatti, descrivevano la vita dei colcos in maniera tale che vi si vedeva il desco dei contadini piegarsi sotto il peso dei tacchini e delle oche ed evidentemente Stalin pensava che le cose stessero realmente così.
Vladimir Ilic Lenin guardava alla vita in modo diverso; egli si mantenne sempre in stretto contatto col popolo, aveva l’abitudine di ricevere i delegati dei contadini e spesso parlava nelle riunioni di fabbrica, soleva visitare i villaggi e parlare direttamente con gli agricoltori.
Stalin si distaccò dal popolo e non si recò mai in alcun posto. E ciò durò per decenni. L’ultima volta che egli visitò un villaggio fu nel gennaio 1928, quando si recò in Siberia per l’ammasso dei cereali. In che modo quindi avrebbe potuto conoscere la situazione delle province?
E quando una volta, durante una discussione gli venne detto che la situazione era difficile e che nelle campagne essa era particolarmente grave nei settori dell’allevamento e della produzione di carni, fu costituita una commissione con l’incarico di stilare una risoluzione intitolata «Mezzi per sviluppare ulteriormente l’allevamento nei colcos e nei sovcos». Noi elaborammo tale progetto.
Naturalmente, le nostre proposte a quell’epoca non contemplavano tutte le possibilità, tuttavia tracciammo alcune direttive atte a incrementare l’allevamento nei colcos e nei sovcos.
Avevamo ancora proposto di aumentare i prezzi di tali prodotti al fine di creare incentivi materiali che incoraggiassero i lavoratori del colcos, delle MTS e dei sovcos a sviluppare l’allevamento. Ma il nostro progetto non fu accettato e nel febbraio 1953 fu messo definitivamente da parte.
Per di più, nel rivedere tale progetto, Stalin propose di elevare di 40 miliardi di rubli le imposte pagate dai colcos e dai lavoratori dei colcos; secondo lui, i contadini se la passavano bene e ad ogni colcosiano sarebbe bastato di vendere un solo pollo in più per pagare l’intero ammontare dell’imposta.
Immaginate che cosa ciò veniva a significare. Certo, 40 miliardi di rubli rappresentano una somma che i lavoratori dei colcos non ricavavano dal totale dei prodotti venduti al governo. Nel 1952, per esempio, i colcos e i lavoratori dei colcos ricevettero 26.280.000.000 di rubli per tutti i prodotti consegnati e e venduti al governo.
Il punto di vista di Stalin si fondava comunque su qualche dato di fatto? Naturalmente, no.
In tali casi i dati e le cifre non lo interessavano. Se Stalin diceva una cosa, questa non poteva essere che giusta: dopo tutto, egli era un «genio» e un genio non ha bisogno di fare conti. Gli basta dare un’occhiata per poter dire immediatamente che cosa si debba fare. Quando egli esprime la propria opinione, tutti debbono ripeterla e ammirare la sua saggezza.
Ma era saggia la proposta di elevare di 40 miliardi di rubli le imposte agricole? No, assolutamente no, perchè la proposta non si basava su una valutazione effettiva della situazione, ma solo sulle fantasticherie di una persona del tutto distaccata dalla realtà. Ora stiamo cominciando lentamente ad uscire da una difficile situazione nel campo agricolo. I discorsi dei delegati al Congresso riescono a noi tutti graditi; siamo lieti che molti delegati prendano la parola, che esistano condizioni favorevoli alla realizzazione del VI Piano Quinquennale per l’incremento del patrimonio zootecnico, non alla fine dei cinque anni, ma nel giro di due o tre anni. Siamo sicuri che gli obiettivi del nuovo Piano Quinquennale verranno felicemente raggiunti. (Prolungati applausi).
Compagni!
Se oggi critichiamo aspramente il culto della personalità così diffuso quando Stalin era vivo e se parliamo dei molti fenomeni negativi generati da questo culto che è così estraneo allo spirito del marxismo-leninismo, varie persone potranno chiedersi: «Come ha potuto accadere?» Stalin fu a capo del partito e del paese per 30 anni e molte vittorie furono ottenute durante la sua vita. Possiamo negare tutto ciò? Secondo me, la domanda può essere posta in questo modo solo da coloro che sono accecati e irrimediabilmente ipnotizzati dal culto della personalità, solo da coloro che non comprendono l’essenza della rivoluzione e dello stato Sovietico, solo da coloro che non comprendono in maniera leninista la funzione del partito e della nazione nello sviluppo della società sovietica.
La rivoluzione socialista fu realizzala dalla classe lavoratrice e dal proletariato agricolo con l’appoggio parziale del ceto medio contadino. Essa fu conseguita dal popolo sotto la guida del Partito Bolscevico. Il grande merito di Lenin consiste nel fatto che egli creò un partito militante della classe operaia, ma egli era forte della interpretazione marxista delle leggi dello sviluppo sociale e della scienza della vittoria proletaria nella lotta contro il capitalismo, e temprò il partito nel crogiuolo della lotta rivoluzionaria delle masse popolari. Durante questa lotta il partito difese costantemente gli interessi del popolo, ne divenne la guida esperta e condusse le masse lavoratrici al potere, alla creazione del primo Stato Socialista.
Voi ricorderete certamente le sagge parole di Lenin secondo cui lo Stato Sovietico è forte, in quanto le masse sono consapevoli del fatto che la storia viene creata da milioni e decine di milioni di uomini.
Le nostre storiche vittorie furono conseguite grazie all’attività organizzativa del partito, alle molte organizzazioni provinciali e ai sacrifici compiuti dalla nostra grande nazione. Queste vittorie sono il risultato del grande sforzo e dell’attività della nazione e del partito nel loro insieme; esse non sono affatto il frutto dell’opera direttiva di Stalin, come si volle far credere durante il periodo del culto della personalità.
Se vogliamo considerare tale problema da marxisti e da leninisti, allora dobbiamo dichiarare senza equivoci che la prassi direzionale che venne adottata durante gli ultimi anni della vita di Stalin, costituì un serio ostacolo sulla via dello sviluppo sociale sovietico.
Spesso Stalin trascurò per mesi di prendere in esame alcuni problemi particolarmente importanti che riguardavano la vita del partito e dello Stato, e la cui soluzione non poteva essere dilazionata. Sotto il governo di Stalin le nostre pacifiche relazioni con altre nazioni furono spesso minacciate, perchè le decisioni prese da un solo uomo potevano causare e spesso causarono gravi complicazioni.
In questi ultimi anni, quando siamo riusciti a liberarci dalla dannosa pratica del culto della personalità e abbiamo intrapreso vari passi opportuni nel campo della politica interna ed estera, ognuno ha potuto constatare come le attività si siano moltiplicate sotto i suoi occhi, come l’attività creatrice delle grandi masse lavoratrici si sia venuta sviluppando, come tutto ciò abbia influito favorevolmente sull’evoluzione dell’economia e della cultura. (Applausi).
Alcuni compagni potrebbero chiederci: «Ma dove erano i membri del Politburo del Comitato Centrale? Perchè essi non si pronunciarono tempestivamente contro il culto della personalità? E perchè tutto questo viene fatto soltanto oggi?».
Anzitutto dobbiamo tenere presente il fatto che i membri del Politburo ebbero a considerare questi problemi in modo diverso, in momenti diversi. Inizialmente, molti di loro appoggiarono attivamente Stalin, poiché egli era uno dei più autorevoli marxisti, e la sua logica, la sua energia e la sua forza di volontà influenzavano notevolmente i quadri e l’attività del partito.
È noto che Stalin, dopo la morte di Lenin, si battè attivamente — specie nei primi anni — per il leninismo, contro i nemici della teoria leninista e contro i deviazionisti. Per quanto riguarda la teoria leninista, il partito, con la guida del suo Comitato Centrale, cominciò su vasta scala l’opera di industrializzazione socialista del paese, di collettivizzazione agricola e di rivoluzione culturale. A quell’epoca Stalin si guadagnò grande popolarità simpatie e appoggi. Il partito doveva combattere contro coloro che cercavano di condurre il paese fuori della giusta via del leninismo; doveva combattere i trotskisti, i fautori di Zinoviev, i deviazionisti di destra e i nazionalisti borghesi. Questa lotta era indispensabile. Più tardi, tuttavia, Stalin, abusando smisuratamente del suo potere, prese a combattere contro illustri esponenti del partito e del governo e a far uso di metodi terroristici contro onesti cittadini sovietici. Come abbiamo già visto, Stalin agì in questo modo nei confronti di illustri esponenti del partito e del governo come Kossior, Rudzutak, Eikhe, Postishev, e molti altri.
I tentativi intesi a smentire i sospetti e le accuse infondate portarono gli oppositori a rimanere essi stessi vittime della repressione. La caduta del compagno Postishev fu caratterizzata appunto da questo.
In uno dei suoi discorsi, Stalin aveva manifestato la sua avversione nei confronti di Postishev e gli aveva domandato: «Che cosa sei effettivamente?». Postishev aveva risposto chiaramente: «Sono un bolscevico, compagno Stalin, un bolscevico».
Questa affermazione fu dapprima considerata come una mancanza di rispetto per Stalin; più tardi fu giudicata un atto dannoso e fece sì — in conseguenza — che Postishev fosse liquidato e bollato, senza alcun motivo, come «nemico del popolo».
Nell’atmosfera allora instauratasi, ebbi spesso occasione di parlare con Nikolai Alexandrovich Bulganin; una volta, mentre ci trovavamo insieme in automobile, egli mi disse: «È accaduto talvolta che qualcuno vada da Stalin, invitato come un amico. E quando costui si trova con Stalin, non sa dove andrà in seguito, se a casa o in prigione».
È evidente che queste condizioni mettevano ogni membro del Politburo in una situazione molto difficile. E se teniamo presente altresì il fatto che negli ultimi anni non furono convocate sessioni plenarie del Comitato Centrale e che le sessioni del Politburo venivano tenute soltanto occasionalmente, di tanto in tanto, allora comprendiamo quanto difficile fosse per ogni membro del Politburo prendere posizione contro l’una o l’altra procedura ingiusta o scorretta, contro gravi errori e deficienze nell’attività pratica della direzione.
Come abbiamo già visto, molte decisioni venivano prese o da una persona, o in maniera indiretta, senza discussioni collettive. La triste sorte del compagno Voznezenski, membro del Politburo, che cadde vittima delle repressioni di Stalin, è a tutti nota. È un fatto caratteristico che la decisione di destituirlo dal Politburo non venne mai discussa, ma fu raggiunta in modo scorretto. Con lo stesso sistema, si arrivò alla decisione sulla rimozione di Kuznetsov e Rodionov dai loro posti.
L’importanza del Politburo del Comitato Centrale venne ridotta e il suo lavoro fu disorganizzato con la creazione di varie commissioni nell’ambito dello stesso Politburo: i cosiddetti «quintetti», «sestetti», «settetti» e «novenari». Ecco, per esempio, una risoluzione del Politburo in data 3 ottobre 1946.
«Proposta di Stalin:
1) La commissione per gli affari esteri del Politburo (sestetto) deve occuparsi per l’avvenire, in aggiunta agli affari esteri, anche di problemi riguardanti le costruzioni e la politica interna.
2) Il sestetto deve aggiungere ai suoi membri il presidente della Commissione statale per la pianificazione economica dell’URSS, compagno Voznesenski, e deve essere chiamato settetto.
Firmato: il segretario del Comitato Centrale, G.Stalin»
Questo era un linguaggio da prestigiatore. (Si ride).
È evidente che la creazione nell’ambito del Politburo di questo tipo di commissioni — quintetti, sestetti, settetti e novenari — era contro il principio della direzione collegiale.
Il risultato di ciò era che ad alcuni membri del Politburo veniva in questo modo negata la possibilità di partecipare alla discussione dei più importanti problemi di stato.
Uno dei membri più anziani del nostro partito, Kliment Yefremovic Voroscilov, si trovò in una situazione quasi insostenibile. Per parecchi anni, fu praticamente privato del diritto di partecipare alle sessioni del Politburo. Stalin gli proibì di intervenire alle sessioni del Politburo e di riceverne i documenti. Quando il Politburo si riuniva e il compagno Voroscilov lo veniva a sapere, telefonava ogni volta e domandava se gli sarebbe stato consentito di partecipare alla riunione. Talvolta Stalin glielo permetteva, ma manifestava sempre il suo disappunto. A causa del suo carattere estremamente diffidente, Stalin coltivò altresì l’assurdo e ridicolo sospetto che Voroscilov fosse un agente inglese. (Si ride). Proprio così: un agente inglese. Uno speciale sistema di microfoni era stalo installato in casa sua, perchè fosse possibile ascoltare quel che vi si diceva. (Indignazione nell’aula).
Con una decisione unilaterale, Stalin aveva anche escluso un altro compagno dalla attività del Politburo: Andrei Anndreievic Andreiev. Questo fu uno dei più sfrenati atti di arbitrio.
Ripensiamo per un momento al primo “plenum” del Comitato Centrale dopo il XIX Congresso del Partito, quando Stalin, nel suo discorso al «plenum» stesso ebbe a parlare di Viaceslav Mikailovic Molotov e Anastas Ivanavic Mikoian, e asserì che questi vecchi militanti del nostro partito erano responsabili di alcune colpe senza fondamento. Non è escluso che, se Stalin fosse rimasto al potere per qualche altro mese, i compagni Molotov e Mikoyan non avrebbero probabilmente pronunciato alcun discorso a questo Congresso.
Evidentemente, Stalin aveva progettato di liquidare tutti i vecchi membri del Politburo. Egli diceva spesso che i membri del Politburo dovevano essere sostituiti da nuovi compagni.
La sua proposta, formulata dopo il XIX Congresso e riguardante la scelta di 25 persone per il Praesidium del Comitato Centrale, aveva lo scopo di destituire i vecchi membri del Politburo e di mettere al loro posto persone dotate di minore esperienza, in modo che costoro lo esaltassero in tutti i modi.
Possiamo ritenere che questa proposta mirasse anche alla successiva liquidazione dei vecchi membri del Politburo, e in tal modo a coprire tutti gli ignobili atti di Stalin, atti che stiamo ora esaminando.
Compagni!
Allo scopo di non ripetere gli errori del passato, il Comitato Centrale si è risolutamente pronunciato contro il culto della personalità. Noi riteniamo che Stalin sia stato troppo esaltato. Tuttavia Stalin rese senza dubbio, in passato, grandi servigi al partito, alla classe lavoratrice e al movimento operaio internazionale.
Questo problema è complicato dal fatto che tutto ciò che abbiamo appena discusso avvenne durante la vita di Stalin, sotto la sua direzione e con il suo concorso; Stalin era convinto che ciò fosse necessario per la difesa degli interessi della classe lavoratrice contro i complotti dei nemici e contro l’attacco del fronte socialista. Egli considerava tutto questo dal punto di vista degli interessi della classe operaia, degli interessi del popolo lavoratore, degli interessi della vittoria del socialismo e del comunismo. Non possiamo dire che il suo sia stato l’operato di un despota folle. Egli riteneva che ciò dovesse essere fatto nell’interesse del partito, delle masse lavoratrici, in nome della difesa delle conquiste rivoluzionarie. In questo sta l’essenza della tragedia!
Compagni!
Lenin aveva spesso affermato che la modestia è una qualità assolutamente indispensabile per un autentico bolscevico. Lenin stesso era la vivente personificazione della più grande modestia. Non possiamo dire di aver seguito sotto tutti gli aspetti questo esempio leninista. È sufficiente rilevare che abbiamo attribuito a molte città, molte fabbriche, molti stabilimenti industriali, colcos e sovcos, istituzioni sovietiche e istituzioni culturali un titolo — se così posso esprimermi — di proprietà privata, chiamandole coi nomi di questi o quegli esponenti del partito e del governo che sono ancora attivi e in buona salute. Molti di noi hanno partecipato alla decisione di assegnare nomi a varie città, distretti, stabilimenti e colcos. Dobbiamo correggere questo errore. (Applausi)
Ma ciò deve essere fatto con calma e gradatamente. Il Comitato Centrale discuterà questo problema e lo esaminerà attentamente, allo scopo di impedire errori ed eccessi. Posso ricordare come gli ucraini furono informati dell’arresto di Kossior. La radio di Kiev usava cominciare i suoi programmi col seguente annuncio: «Questa è Radio Kossior». Quando un giorno i programmi ebbero inizio senza nominare Kossior, ognuno fu certo che qualcosa gli era accaduta, e probabilmente era stato arrestato.
Perciò, se oggi cominciamo a distruggere i simboli dappertutto e a cambiare i nomi, la gente crederà che questi compagni in onore dei quali sono state battezzate imprese, colcos e città, siano incorsi anche loro in qualche disavventura e siano stati anch’essi arrestati. (Animazione nell’aula).
Come viene giudicata l’autorità e l’importanza di questo o quel dirigente? Sulla base di quante città, imprese industriali e fabbriche, colcos e sovcos portano il suo nome. Non è ora di eliminare questa «proprietà privata» e «nazionalizzare» le fabbriche, le imprese industriali, i colcos e i sovcos? (Risate, applausi, voci: «È giusto»). Ciò si risolverà a beneficio della nostra causa. Dopo tutto, il culto della personalità si manifesta anche in questo modo.
Dobbiamo considerare in tutta serietà il problema del culto della personalità. Non possiamo lasciare che questo argomento esca dall’ambito del partito, e in particolare che vada in pasto ai giornali. È per questa ragione che stiamo esaminando il problema in questa sede, in una sessione segreta del Congresso. Non dovremmo passare i limiti; non dovremmo fornire munizioni al nemico; non dovremmo lavare i nostri panni sporchi sotto i suoi occhi. Penso che i delegati al Congresso comprenderanno e valuteranno giustamente tutte queste proposte. (Tumultuosi applausi).
Compagni!
Dobbiamo abolire il culto della personalità decisamente, una volta per tutte; dobbiamo arrivare a conclusioni adeguate riguardanti l’attività ideologico-teoretica e quella pratica.
È necessario per questi scopi:
Primo, per condannare a sradicare in maniera bolscevica il culto dell’individuo come estraneo al marxismo-leninismo e non consono ai principi della direzione del partito e alle norme della vita di partito, e per combattere inesorabilmente tutti i tentativi di ripristinare questa pratica in un modo o in un altro. Per ripristinare e mettere effettivamente in pratica in tutto il nostro lavoro ideologico i più importanti principi della scienza marxista-leninista sul popolo come creatore della storia e come creatore di tutti i beni materiali e spirituali dell’umanità, sul ruolo decisivo del partito marxista nella lotta rivoluzionaria per la trasformazione della società, sulla vittoria del comunismo.
A questo riguardo saremo costretti a compiere molto lavoro per esaminare criticamente dal punto di vista marxista-leninista e per correggere opinioni erronee largamente diffuse e legate al culto della personalità nel campo della storia, della filosofia, dell’economia e delle altre scienze, così come in letteratura e nelle belle arti. È necessario in particolare che nell’immediato futuro compiliamo un serio manuale di storia del nostro partito che sarà edito in conformità dell’oggettivismo scientifico marxista, un manuale di storia della società sovietica, un volume relativo agli avvenimenti della guerra civile e della grande guerra patriottica.
Secondo, per continuare sistematicamente e coerentemente l’opera svolta dal Comitato Centrale del Partito durante gli ultimi anni, un’opera caratterizzata da una fedele e minuziosa osservanza in tutte le organizzazioni del partito, dalla base al vertice, dei principi marxisti della direzione di partito, una opera caratterizzata soprattutto dal principio fondamentale della direzione collegiale, caratterizzata dal rispetto delle norme della vita di partito contenute negli statuti del nostro Partito, e caratterizzata infine da una diffusa applicazione pratica della critica e dell’autocritica.
Terzo, per ripristinare completamente i principi leninisti della democrazia socialista sovietica espressi nella Costituzione dell’Unione Sovietica, per combattere l’arbitrio dei singoli che abusano del loro potere. Il male causato dagli atti che violavano la legalità socialista rivoluzionaria e che si sono accumulati per un lungo periodo di tempo come conseguenza dell’influenza negativa del culto della personalità, deve essere completamente sanato.
Compagni!
Il XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica ha dimostrato con rinnovata energia l’incrollabile unità del nostro partito, la sua compattezza intorno al Comitato Centrale, la sua decisa volontà di assolvere al grande compito della edificazione del comunismo. (Tumultuosi applausi). E il fatto che noi esponiamo in tutte le loro ramificazioni i problemi fondamentali del superamento del culto della personalità, che è estraneo al marxismo-leninismo, nonché il problema della eliminazione delle sue onerose conseguenze, è una prova della grande forza morale e politica del nostro Partito. (Prolungati applausi). Siamo assolutamente certi che il nostro Partito, forte delle storiche decisioni del XX Congresso, condurrà il popolo sovietico lungo la via leninista a nuovi successi, a nuove vittorie. (Tumultuosi prolungati applausi). Evviva la bandiera vittoriosa del nostro partito: il leninismo! (Tumultuosi prolungati applausi che terminano in una ovazione. Tutti si levano in piedi).
Ultima modifica 2020.01.27