Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza

Immanuel Kant (1783)


Introduzione

Due anni dopo la prima pubblicazione della Critica, ai lamenti che gli venivano da amici e nemici per l’oscurità e la prolissità della medesima, ai malintesi dei critici e dei recensenti, Kant rispondeva con la pubblicazione d’un’operetta intitolata “Prolegomeni ad ogni metafisica futura che vorrà presentarsi come scienza„, la quale doveva essere un riassunto breve e perspicuo dei punti fondamentali della nuova filosofia. Non si può dire tuttavia che con questa pubblicazione Kant abbia raggiunto completamente il suo fine. Certamente i Prolegomeni sono un’ottima guida per orientarsi nei labirinti della Critica, per questo sopratutto che la brevità loro lascia più facilmente abbracciare d’un colpo il disegno generale e la connessione dei singoli problemi: sotto questo riguardo essi sono ancora oggi la migliore introduzione allo studio di tutta l’opera kantiana. Ma non per questo mancano in essi le difficoltà, le oscurità, le ineguaglianze: Kant stesso dice che essi sono scritti per i maestri, non per i novizi: e che non fossero per tutti un modello di chiarezza lo prova il fatto che l’anno appresso l’amico e collega di Kant, Giovanni Schultz, dava ragione della pubblicazione del suo commento elementare alla Critica col dire che i Prolegomeni erano da molti trovati oscuri come la Critica. Ed in verità, se pure da principio essi pongono il problema fondamentale con molta chiarezza e semplicità, non sono in sèguito esenti da prolissità e ripetizioni che oscurano, di tratto in tratto, il nesso logico dell’opera; in più d’un luogo si richiamano esplicitamente alla Critica o la presuppongono riducendosi ad un sunto schematico: di più l’espressione è spesso trascurata, faticosa, involuta*1. Il commento che accompagna la presente traduzione ha per scopo di eliminare anche queste difficoltà e di rendere piana, il più che sia possibile, alla generalità dei lettori una comprensione iniziale, ma chiara ed esatta, del pensiero kantiano.

Il motivo principale che indusse Kant alla pubblicazione dei Prolegomeni fu, come si è detto, l’intento di rimediare in parte all’oscurità ed alla difficoltà della Critica. Non solo infatti questa era rimasta per la gran parte del pubblico còlto come se fosse “il libro dei sette sigilli„*2; ma anche un intelletto acuto come Hamann lamentava nelle lettere ad Herder l’oscurità dell’opera e si rallegrava a sentire che Kant stesso non riusciva ad intendere una traduzione latina allora incominciata; Mendelssohn l’aveva “messa da parte„ e in una lettera a Kant d’un anno dopo non gli dissimulava l’estrema difficoltà che incontrava a leggere il suo libro*3.

Kant stesso riconosceva queste accuse come non del tutto immeritate: e sebbene nella prefazione dei Prolegomeni ricerchi le cause delle difficoltà dell’opera sua nella novità e nel rigore dialettico che essa esigeva, confessa (Kr. r. Vern., 25) di non avere il dono di un’“esposizione lucida„. Lo scrittore elegante, arguto, limpido dei “Sogni d’un visionario„ aveva del resto volontariamente adottato il metodo pedantesco, scolastico, per essere preciso, sottile, sistematicamente perfetto: “in molti luoghi (dice egli stesso, Reflex., II, 16) la mia esposizione avrebbe potuto essere molto più chiara se non avesse dovuto essere così chiara„. Fin dall’epoca della pubblicazione della Critica, anzi, come sembra, anche prima, era sorto quindi in lui il disegno di darne un’esposizione breve e popolare; e già fin d’allora Kant meditava applicare in essa il metodo analitico e cominciare dall’esposizione delle antinomie per eccitare il lettore a “risalire alle sorgenti di questo conflitto„*4. A questo primitivo progetto d’un’esposizione elementare della filosofia critica, a questo piano d’un “estratto popolare della Critica per i profani„, del quale ci parla Hamann nelle sue lettere dell’agosto 1781, sembra, secondo le scarse e poco precise notizie che abbiamo a questo riguardo, si debba ricondurre l’origine prima dei Prolegomeni. Una versione lievemente diversa di quest’ipotesi è propugnata nell’edizione dei Prolegomeni da Benno Erdmann; secondo il quale Kant, sebbene ne avesse scritto ad Herz e ne avesse parlato con qualche amico, non avrebbe dato seguito al piano d’un’esposizione popolare; a questo sarebbe prevalso, già verso l’autunno del 1781, il disegno d’un breve estratto della Critica, di carattere più elevato, diretto a chiarirne e commentarne i punti fondamentali: quell’estratto che Hamann attende impazientemente fin dal novembre 1781 e del quale il libraio Hartknoch verso la stessa epoca scrive da Riga a Kant come d’un lavoro che doveva essere finito*5. Anche questa versione non altera tuttavia sostanzialmente l’ordine dei fatti: ciò che sembra fuori di dubbio e che già verso la fine dell’anno 1781 Kant attendeva seriamente ad un “estratto„ della Critica, dal quale ebbero origine gli attuali Prolegomeni.

Ma questo disegno primitivo, fosse esso costituito dell’esposizione popolare prima meditata o del “breve estratto„, doveva nel principio del 1782 subire una grave modificazione per l’intervento d’un nuovo fatto: e cioè per la pubblicazione nel Gelehrte Anzeigen di Gottinga di un’anonima recensione della Critica della Ragion pura, dalla quale Kant fu vivamente colpito. Tra i dirigenti del Gött. Gelehrte Anzeigen era G. G. Enrico Feder (1740-1821), professore a Gottinga, uno dei più illustri rappresentanti della filosofia eclettica, il quale contemperava una metafisica leibniziana molto “moderata e purificata„ con tendenze nettamente empiriche: uomo mite e simpatico sotto più d’un rispetto, ma pensatore superficiale e gonfiato dal successo accademico delle sue lezioni e dei suoi compendii6. Egli aveva già vivamente lodato, al loro apparire, i “Sogni d’un visionario„ di Kant ed aveva risposto con vera cordialità ad una raccomandazione di Kant in favore del suo amico, poi collega, Chr. Jakob Kraus7. Della Critica della Ragion pura egli aveva avuto un’impressione non buona: l’opera gli era parsa “non conforme al genio dei tempi„; la sua presunzione, della quale nell’autobiografia candidamente si confessa pentito, gli fece commettere l’“imperdonabile errore„ di giudicare la nuova opera dall’alto, con eccessiva leggerezza8. La recensione fu affidata a Cristiano Garve, che allora si trovava casualmente a Gottinga, ospite di Feder; Garve (1742-1798), filosofo moralista a tendenze eclettiche, elegante traduttore di Cicerone e di Aristotele, anima mite e delicata, scrittore limpido e geniale, citato già da Kant nel 1776 accanto a Baumgarten e Mendelssohn fra i maggiori “analisti„ dell’epoca9, ma non incline a profonde speculazioni filosofiche, non era certo la persona più adatta al difficile compito. Egli infatti se ne pentì subito; ma, vergognandosi di ritrarsi, condusse a termine la sua recensione; la quale, per essere troppo diffusa, venne da Feder ancora ristretta in più brevi confini, non senza l’aggiunta di sue personali considerazioni, e venne pubblicata, senza nome, nel Gött. Gelehrte Anzeigen del 19 gennaio 1782. La recensione era superficiale e presuntuosa e giudicava, in fondo, la Critica come un libre mancato, Kant come un rinnovatore, senza originalità, dell’idealismo berkeleyano. Kant si risenti vivamente e del giudizio e del tono e specialmente dell’ultima accusa: e vi rispose con asprezza nell’“Esame d’un giudizio sulla Critica, etc.„, che è inserto nell’appendice ai Prolegomeni. Feder non replicò a Kant che molto tardi col suo scritto “Ueber Raum und Causalitdt„ (1787). Aggiungiamo qui a titolo di curiosità che la polemica kantiana non ebbe per Feder lieta fine. Per combattere la filosofìa kantiana egli aveva fondato nel 1788 col Meiners una rivista: ma e la rapida fine della rivista e la diminuzione considerevole del numero dei suoi uditori gli dimostrarono ben presto che il genio dei tempi volgeva in un senso diverso da quello ch’egli si era immaginato. Tutto questo lo indusse, dopo qualche tempo, ad abbandonare l’insegnamento della filosofia e ad assumere la carica di direttore in un pubblico istituto di educazione in Hannover. Molto più tardi, nel 1800, parlando con un amico di Kant, ad Hannover, mandava a Kant i suoi saluti esprimendo il suo rincrescimento d’avere scritto contro di lui10.

Il Garve invece, dopo la pubblicazione della risposta di Kant nei Prolegomeni, scriveva a Kant come per scusarsi, rigettando la colpa sulla mutilazione che la sua recensione aveva subito e facendo poco appresso, nell’agosto del 1783, pubblicare integralmente la sua recensione nell’Allgem. Deutsche Bibliothek di Nicolai. Emilio Arnoldt, che ha stabilito un minuto ed accurato esame della recensione del Garve con l’abbreviamento del Feder11, ha mostrato come la differenza tra di esse non sia tanto grande quanto il Garve pretende: solo un terzo della nuova recensione appartiene al Feder ed ancora in questo egli non fa che riassumere le idee del Garve: anche il tono, che nel Feder è pretensioso ed arrogante, non è qui eccessivamente rispettoso. Tuttavia Kant non ne ebbe, sul momento, un’impressione troppo sfavorevole; rispose al Garve con una lettera cortese e, se anche più tardi non si mostrò molto soddisfatto12, non diede altro seguito alla cosa. I rapporti fra Kant e Garve si mantennero sempre cordiali: a Kant il Garve, quasi morente, dedicava con una lettera commovente la sua “Rassegna critica dei principali principii della morale„ (1798), nella quale la parte più importante è costituita dall’esame critico della morale kantiana.

Per quanto Kant abbia direttamente risposto alle critiche del Feder e del Garve solo nell’appendice ai Prolegomeni, non è certo un’ipotesi troppo ardita il supporre che esse abbiano esercitato un’influenza anche sulla composizione della nuova opera, alla quale Kant allora attendeva: e che in questa egli abbia colto l’occasione per difendere e chiarire la sua dottrina là dove essa era stata oppugnata o fraintesa. Ed infatti, se noi analizziamo la disposizione interna dei Prolegomeni, vediamo che l’esposizione della dottrina nelle sue grandi linee è in più d’un punto interrotta da trattazioni accessorie, che hanno tutto l’aspetto di aggiunte, di spiegazioni e di difese: possiamo quindi senza difficoltà riconoscere che i Prolegomeni sono costituiti, nella loro forma attuale, da un doppio elemento: da una parte il nucleo primitivo costituito dall’estratto della critica; dall’altra i chiarimenti e le difese occasionate dalla recensione. Anche qui Benno Erdmann crede di poter spingere le supposizioni un poco più innanzi: secondo l’ipotesi da lui avanzata l’estratto della critica sarebbe già stato, nel principio del 1782, in gran parte composto; dalla recensione Kant sarebbe stato indotto ad abbreviare la parte non ancora compiuta (dal § 55 in poi, dei Prolog.) e ad inserirvi le aggiunte da quella occasionate: di più l’Erdmann crede si possa ancora con una certa sicurezza separare nei Prolegomeni le due parti, che nella sua edizione del 1878 sono state distinte con carattere diverso13. Ma la faticosa costruzione, sulla quale si fondano questi particolari, è un troppo fragile intreccio di ipotesi e di deduzioni arbitrarie, perchè noi possiamo attribuire ad essi qualche valore sotto l’aspetto speculativo od anche storico: lo stesso, del resto, si dica della nota controversia sulla “doppia redazione dei Prolegomeni„, che, come la maggior parte delle controversie simili, nate da piccole rivalità erudite, non ha condotto ad alcuna seria conclusione. L’opinione più ragionevole è quella espressa fin dal 1880 dal Vaihinger14, seguito anche dal Vorländer15: e cioè che, pur riconoscendo genericamente la derivazione dei Prolegomeni da una doppia sorgente, è per ora inutile, data l’insufficienza dei documenti, voler determinare più precisamente quale fosse il disegno primitivo di Kant ed in qual misura esso sia stato alterato dalla recensione di Gottinga.

Di altre influenze minori che probabilmente concorsero, con la recensione di Gottinga, a modificare il disegno primitivo, abbiamo ancora tracce più o meno visibili. Il primo di questi fattori è lo stesso svolgimento interno del pensiero kantiano in rapporto ad alcuni punti della Critica, che egli aveva ben presto sentito il bisogno di ripensare e di rielaborare più profondamente16; vi sono già nei Prolegomeni, in confronto alla prima edizione della Critica, dei mutamenti che preludono al posteriore rifacimento della seconda edizione. Non fu inoltre senza efficacia l’avere Kant allora rivolta la sua attenzione ai problemi morali ed all’elaborazione della sua “Fondazione della metafisica dei costumi„ (1785), specialmente in rapporto ai punti per i quali, come nel problema della libertà, la sua critica della ragione si connetteva con le questioni pratiche. Nè può essere messo in dubbio infine che le digressioni polemiche dei §§ 57-58 ebbero il loro primo movente nella lettura dei “Dialoghi sulla religion naturale„ di D. Hume, che Kant conobbe nel 1781 nella traduzione tedesca; come, a chiarire la sua posizione di fronte a Hume in rapporto al problema critico, fu mosso secondo ogni probabilità dalle critiche e dalle discussioni verbali dell’Hamann17

Noi non abbiamo però, in questo periodo, notizie precise e dirette sulla composizione dell'opera: le vaghe indicazioni, specialmente dell’Hamann, che l’Erdmann ha raccolte nell’edizione dell’Accademia (p. 600 ss.), non ci danno alcuna luce a questo riguardo. L’opera fu pubblicata nella primavera del 1783. Le quattro o cinque ristampe che se ne fecero prima della fine del secolo dimostrano che, nonostante l’accusa di oscurità di cui anch’essa fu segno e nonostante “l’indifferenza con cui fu accolta dai metafisici di professione„ (Pistorius), essa contribuì efficacemente alla diffusione della filosofia critica. Il teologo e psicologo G. Cristiano Lossius (1743-1813) ne pubblicò l’anno appresso una recensione nella sua Uebersicht d. neuesten Literatur d. Philosophie (Gera, 1784, I); un’altra ne pubblicò l’acuto Pistorius nella Allgem. Deutsche Bibliothek (1784, Bd. 59, riprodotta dall’Hausius nei Materialien, I, 131-155). Più tardi ne diedero un estratto il Kiesewetter (Auszug aus Kants Prolegom. zu jed. k. Metaph., 1796) e Bernardo Stöger (Kants Proleg., Salzburg, 1794), un benedettino, già discepolo di Feder, che, come più d’uno dei suoi correligionari, aveva subito vivamente l’influenza kantiana. Ma già nel 1819 Schopenhauer deplorava, nella sua Critica della filosofia kantiana, che quest’opera, così atta ad iniziare allo studio del pensiero critico, fosse poco letta; infatti dal 1800 al 1850 essa non fu più ristampata che unitamente alle altre opere di Kant (Rosenkranz 1838, Hartenstein 1839).

Il manoscritto originale dei Prolegomeni non ci è giunto. Solo si rinvennero nelle carte d’un amico di Kant due fogli (riprodotti da A. Warda nella Altpreuss. Monatsschrift, Bd. 37), dei quali l’uno comprende una parte dell’Appendice polemica con qualche variante: esso costituisce probabilmente l’ultima redazione di Kant, dalla quale fu tolta poi la copia per la stampa. L’altro invece sembra un semplice abbozzo dell’appendice stessa con osservazioni e note isolate d’un certo interesse: esso è anche riprodotto dal Vorländer nella sua edizione a p. 165-174.

Per le edizioni dei Prolegomeni nel secolo XVIII è da vedersi il minuzioso esame istituito dall’Erdmann sugli esemplari che portano la data del 1783. Da esso sembra risultare che sotto il titolo “Riga, Hartknoch, 1783„, abbiamo quattro (o tre?) edizioni diverse, delle quali l’ultima apparterrebbe agli ultimi anni del secolo. Inoltre si ebbero due ristampe illegittime con la data di Francoforte e Lipsia, 1794 e Grätz (?) 1795. In appresso furono ripubblicati con le altre opere di Kant da Rosenkranz e Schubert nel 1838, dall’Hartenstein nel 1839 e nel 1867; nel 1870 furono editi dal Kirchmann nella Philosophische Bibliothek (3a ed. 1893); nel 1878 da B. Erdmann con larga introduzione critica (Leipz., X, CXIV e 155 pp.); nel 1888 da K. Schultz nella Univ. Bibliothek del Reclam (Leipz., 230 pp.); nel 1903 da B. Erdmann nell’edizione dell’Accademia (Berlin, Bd. IV, p. 253-283 e 598-622); nel 1905 dal Vorländer nella Philos. Bibliothek (Leipz., XLVI, 208 pp.); e, rielaborati in una dizione più facile, da E. Kühn nel 1908 (Gotha, 156 pp.). Nel 1908 è stata pubblicata anche la prima parte d’un commento ai Prolegomeni, di Max Apel (Berlin, 224 pp.).

Delle traduzioni sono a notarsi la traduzione latina del Born (I. Kantii Opera etc., voi. II); le traduzioni francesi del Tissot (1865) e quella apparsa senza nome nel 1891; le traduzioni inglesi del Richardson (Metaphys. Works of Kant, 1836), dell’Abbott (in: Mahaffy, Kants crit. Philos., 1872-4 vol. III°), di B. Belfort Bax (1883), di I. Bernard (nella 2a ediz. del Mahaffy, 1889) e di Paul Carus (Chicago, 1902).

Il testo seguito in questa traduzione è quello del Vorländer, dal quale mi sono discostato in rari casi, del resto senza importanza. L’unico punto che non è possibile a questo riguardo passare sotto silenzio è quello relativo alla trasposizione di alcune pagine proposta dal Vaihinger e qui adottata. Il testo tradizionale ha nelle prime pagine una disposizione diversa da quella che qui incontrerà il lettore: il § 2 finisce col capoverso che si chiude con la parola “immediatamente„ (là dove è segnata appresso la p. 272); il tratto seguente sino alla fine del paragrafo è inserto invece nel § 4, dopo il capoverso che chiude con le parole “le vane fatiche dei primi„ e prima di quello che incomincia: “stanchi così del dogmatismo etc.„. Ora il Vaihinger aveva notato fin dal 187918 come le incongruenze che si incontravano nel testo così disposto si potessero eliminare mediante la trasposizione qui seguita: e come questa trasposizione si potesse benissimo esplicare con una trasposizione meccanica di fogli, sia per una inavvertenza di Kant, sia per una negligenza dello stampatore. In un articolo dei Kantstudien (1904, pp. 538-9) il dr. Sitzler ha mostrato che i due tratti trasposti comprendono esattamente entrambi cento linee e così una colonna di stampa, mentre le pagine precedenti, a cominciare dal § 1, comprendono duecento linee e così due colonne: l’errore sarebbe risultato meccanicamente dalla disposizione seguente delle colonne stampate: 1, 2, 4, 3, 5 etc. invece di: 1, 2, 3, 4, 5 etc. Al Vaihinger si oppose il Witte (Philos. Monatsh., 1883, 145-174 e 597-614); anche l’Erdmann vi si è mostrato contrario e non ha accolta la correzione nel testo dell’Accademia, come non l’ha accolta il Carus nella sua recente traduzione: essa è stata invece accolta dallo Schultz e dal Vorländer. Ora certo può apparire a primo aspetto strano che Kant non si sia accorto di un così grave errore: ma non mancano nei Prolegomeni altre gravi negligenze, che pure non furono corrette (p. es. il periodo rimasto sospeso nel § 60). D’altronde l’esame intrinseco del testo rende la correzione del Vaihinger così sicura, che fa meraviglia vedere come B. Erdmann abbia accolto nell’edizione dell’Accademia l’antico testo evidentemente errato. Infatti: 1°) Nel § 2 Kant si propone di dividere in classi i giudizi sintetici, che comprendono i giudizi d’esperienza, i giudizi matematici e i metafisici; nell’antico testo si avrebbe la divisione solo in giudizi di esperienza e giudizi matematici, mentre i giudizi metafisici spunterebbero fuori senza alcuna connessione col contesto, improvvisamente, nel § 4. 2°) Nel § 4 il tratto inserto interrompe il contesto: mentre i due punti che lo includono, dànno, se ravvicinati, una connessione logica chiarissima. 3°) L’ultimo capoverso del tratto incluso comincia con le parole “La conclusione di questo paragrafo quindi è etc.„, ciò che ha senso solo se venga annesso al § 2, dove veramente costituisce la conclusione del paragrafo. 4°) Kant in principio del § 4 si riferisce al § 2 lettera c; ciò che si comprende solo quando si accetti la trasposizione, riferendo la citazione al § 2 n. 3, dove si tratta appunto dei giudizi sintetici della metafisica.

Per ben comprendere la disposizione complessiva dei Prolegomeni, bisogna tenere presente la diversità del metodo in essi adottato a differenza della Critica. Il fine stesso, che i Prolegomeni si propongono, di dare una specie di visione complessiva dei problemi della Critica e delle loro soluzioni in modo più comunemente accessibile, prescriveva il metodo da seguirsi: perchè “se si mira alla popolarità, è più adatto il metodo analitico, se ad un’esposizione scientificamente sistematica, il metodo sintetico„19. In che consiste propriamente il metodo sintetico della Critica e se Kant lo abbia in essa fedelmente seguito, non è qui il caso di discutere. Per metodo sintetico Kant intende il metodo progressivo, che consiste nel partire dai principii, dagli elementi e nel costruire per mezzo di sintesi necessarie, come avviene sotto altro rispetto nella matematica, il sistema della realtà. Per metodo analitico Kant intende invece il metodo regressivo, che parte dalla realtà data per risalire ai principii generatori; la sua maggiore chiarezza consiste appunto in ciò che esso non forza il lettore a trasportarsi d’un tratto nel regno astratto dei principii per svolgerne sistematicamente le realtà derivate, ma prende il suo punto di partenza nella stessa realtà concreta, in un terreno “famigliare e sicuro„, dal quale si può “risalire alle fonti che ancora non si conoscono„. Quindi invece di procedere alla costruzione graduale del conoscere umano, mostrando come dalla composizione degli elementi suoi costitutivi procedono il sapere a priori della matematica e della fisica pura e l’esperienza e in fine, per una naturale aberrazione della ragione, i vaniloquii della ragione dialettica (nella metafisica dogmatica), Kant parte qui dalla considerazione del sapere a priori della matematica e della fisica pura per ritrovare i principii che lo rendono possibile e le leggi del loro legittimo uso: quindi ne fa l’applicazione, nella terza parte, alla metafisica. Da ciò si vede che la diversità del metodo riflette propriamente solo le prime due parti; nella terza abbiamo essenzialmente, tanto nella Critica quanto nei Prolegomeni, l'applicazione delle conclusioni ottenute nelle prime due parti.

I Prolegomeni si dividono così naturalmente, astrazion fatta dall’introduzione, in tre parti.

L’introduzione è consacrata alla posizione del problema. Precede una prefazione, nella quale Kant, dopo di avere dallo stato della metafisica concluso alla necessità d’un esame critico della possibilità sua e d'aver mostrato come questo suo esame critico della possibilità d’un sapere razionale puro (che tale è o vuole essere la metafisica) continui ed integri la critica di Hume circa il principio di causa, giustifica l’oscurità e difficoltà della sua Critica e dà ragione all’opera sua presente diretta a portarvi, in certo modo, rimedio. Quindi nella introduzione mostra, con la distinzione sua dei giudizi in analitici e sintetici, che ogni progresso nella conoscenza avviene per mezzo di atti di sintesi: l’esperienza è un tessuto di sintesi a posteriori, le matematiche, la fisica pura, la metafisica sono costituite da sintesi a priori, cioè da collegamenti che la ragione stabilisce per virtù propria e con assoluta necessità, senza fondarsi sull’esperienza. La questione della possibilità della metafisica si riduce così alla questione della possibilità dei giudizi sintetici a priori della metafisica: e questa non può venir risolta altrimenti che mediante la soluzione del problema della possibilità dei giudizi sintetici a priori in genere.

La prima parte ha il suo punto di partenza nel fatto dell’esistenza dei giudizi sintetici a priori della matematica, il cui insieme costituisce un sistema scientifico, il cui valore non può venir seriamente contestato. Il problema della loro possibilità è da Kant risolto con la sua teoria delle forme sensibili a priori (§§ 6-11). Nel resto della prima parte Kant conferma e chiarisce con considerazioni accessorie la sua soluzione (§ § 12-13, Osserv. I) e si difende contro l’accusa che la sua teoria dell’idealità trascendentale del tempo e dello spazio dissolva la realtà sensibile in una semplice apparenza (§ 13, Osserv. II e III).

La seconda parte ha il suo punto di partenza nel fatto dell’esistenza dei giudizi sintetici a priori della fisica pura: come è possibile che noi possiamo avere a priori la conoscenza d’un certo numero di leggi universali della realtà, di quelle leggi cioè che fondano l’ordine fisso ed immutabile, la “natura„ delle cose? Posta (con divagazioni poco utili alla chiarezza) la questione nei primi quattro paragrafi (§§ 14 17), Kant ne dà nei sette paragrafi successivi la soluzione con la sua teoria dei concetti intellettivi puri (§§ 18-23). In appresso Kant passa in breve rassegna, seguendo le traccie della Critica, le quattro classi di principii a priori corrispondenti alle quattro classi di concetti intellettivi puri (§§ 24-25). In fine mette in evidenza, certo non senza inutili ripetizioni, la conclusione principale delle sue ricerche precedenti: e cioè che i principii a priori della conoscenza servono a costituire in noi l’esperienza, il sapere relativo alla realtà fenomenica, ma non ci dànno più alcun sapere quando si crede di poter con essi penetrare, al di là della realtà che appare a noi, fino alla realtà così come essa è in sè, fino al mondo trascendente delle cose in sè (§§ 26-38). L’ultimo paragrafo (§ 39) è una specie di appendice e contiene una digressione sul sistema dei concetti intellettivi puri (categorie).

La terza parte infine conclude alla impossibilità d’un sapere oggettivo da parte della metafisica (che ha per oggetto appunto la realtà in sè) e conferma questa conclusione col mostrare che quando la ragione si illude di avere nelle sue sintesi a priori (le “idee„) un sapere circa la realtà in sè, si mette in contraddizione con sè stessa, ossia diventa “dialettica„. Quindi è messa in luce la vera funzione della ragione (metafisica) e delle sue idee: che consiste nell’elevare il pensiero al punto di vista della “totalità„, nel fargli comprendere il carattere fenomenico della realtà immediata, eliminando ogni presunzione dogmatica di sapere con certezza qualche cosa sull’al di là ed assicurando nel tempo medesimo libero campo all’esplicazione dell’attività conoscitiva diretta verso la realtà dell’esperienza (§§ 40-56). In fine (§§ 57-59) Kant chiarisce il suo concetto del sapere che noi possiamo avere circa la realtà trascendente, facendone l’applicazione al concetto di Dio; e ricerca (§ 60) quale possa essere la ragione dell’istinto metafisico, che così facilmente attira la ragione nelle illusioni e negli errori della metafisica dogmatica. L’ultimo capitolo espone la necessità di sostituire definitivamente d’ora innanzi all’antica metafisica dogmatica una metafisica critica, per la quale la ragione venga ricondotta alla coscienza dei suoi limiti e del vero suo compito. L’opera si chiude con un’appendice diretta contro la nota recensione.


Note di Kant

*1. Schultz, Erläuter., tr. fr., 4-5.

*2. Ib., 4: È caratteristico il fatto che una delle prime riviste d’ispirazione kantiana, il Neues philosophisches Magazin di Abicht e Born, comincia con un articolo intitolato “Esame dei lamenti per l’oscurità della filosofia kantiana„ (I, 1, M5).

*3. Kant's, Briefwechsel, 1900, I, 278.

*4. Kant's, Briefwechsel, I, 252; cfr. B. Erdmann, Histor. Untersuchungen über Kants Prólegomena, 1904, 24 ss.

*5. Kant's, Briefw., I, 261.

*6. Si veda la sua curiosa autobiografia, I. G. H. Feder’s, Leben, Natur und Grundsätze, 1825, specialmente il cap. nono: “Storia delle mie controversie circa la filosofia kantiana„.

*7. Kant's, Briefw., I, 235.

*8. Feder’s, Leben, 118.

*9. Kant's, Briefw., I, 184. V. sul Garve A. Stern, Ueber die Beziehungen Chr. Garve’s zu Kant (1884), 6 ss.

*10. Kant's, Briefw., III, 297.

*11. E. Arnoldt, Krit. Excurse im Gebiete d. Kantforschung, 1894, 5-62.

*12. Kant's, Briefw., III, 297.

*13. Sui criteri si veda l’ed. citata, p. xx-xxviii. Secondo l’Erdmann costituiscono il nucleo primitivo i §§ 1, 2, 4 (in parte), 5 (in parte), 6-13 (fino all’Osservazione I), 14-26, 32-38, 40-56.

*14. Vaihingek, Die Erdmann-Arnoldtsche Kontroverse über Kants Prolegomena, Philos. Monatsh., 1880, 44-71.

*15. Prolog., Einl., xiii ss.

*16. Kant's, Briefw., I, 255; Prolog., 381.

*17. B. Ebdmann, Proleg., 1878, Einl., xvi ss.

*18. Vaihinger, Eine Blattsversetzung in Kants Prolegomena, Philos. Monatsh., 1879, 321-332. Cfr. ib., 513-532 e 1880, 401-416, Kantstudien, 1904, 539 544.

*19. Kant, Logik, § 117 Anni. Si cfr. Kr. pr. Vern., 363; Grundl., 392.



Ultima modifica 2021.07