L’opera che presentiamo raccoglie il momento di riflessione sulla concezione materialistica della politica iniziato a metà degli anni '70, momento reso necessario dal lavoro sullo sviluppo della società, dei rapporti sociali, dei contrasti, delle contraddizioni.
Chi, per lungo tempo e costante impegno, si sforza di analizzare la vita economica e sociale a livello generale ed a livello nazionale si trova obbligato a collegare ogni fenomeno politico a ciò che si muove nel profondo.
Volendo usare un termine dal quale è partita anche la scuola marxista, diremo che l'osservazione della "società civile" ci ha portato alla considerazione della politica. Dal "corpo sociale" alla "testa politica": questo è l'itinerario della concezione materialistica della storia. Non ci può essere altra strada valida.
Importante è, poi, che la "testa politica" venga analizzata con il metodo con il quale si affronta lo studio del "corpo sociale".
La questione che ci si poneva, nella teoria e nell'analisi strategica, era sostanzialmente quella della mancata corrispondenza delle istituzioni e delle forme politiche all'evoluzione economica della società italiana. La moltiplicazione del capitale industriale e del capitale finanziario aveva accresciuto le frazioni industriali e finanziarie private e statali del capitalismo italiano e aveva esteso gli strati salariati, gli strati burocratici e gli strati piccolo-borghesi.
Le forme politiche della società industriale-agricola solo in parte erano divenute le forme politiche di una società industriale-finanziaria. Spesso si erano trasformate in elemento di squilibrio e di scarsa funzionalità.
Che la politica non corrisponda meccanicamente ed istantaneamente all'economia accade spesso nella storia. La concezione materialistica ha ben presente la persistenza della dialettica tra struttura e sovrastruttura che anima il succedersi degli avvenimenti. Nel testo sono riportate alcune citazioni illuminanti, a tal proposito.
L’attenzione all’ "involucro politico" non era, dunque, motivata da esigenze, pur legittime, di riflessione teorica, riflessione comunque necessaria e utile.
Neppure il bisogno di chiarire prevalentemente i nodi italiani era al centro della nostra preoccupazione; gran parte della nostra visione strategica avrebbe, ad ogni modo, conservato la ragione di esistere.
Quali fossero le relazioni tra i risultati dell'economia e le disfunzioni della politica costituiva, senz'altro, un motivo di interesse teorico e politico. Ma il terreno di studio andava ben oltre i confini.
Pensavamo che il crescente inserimento dell'economia nel mercato europeo ne accelerasse lo sviluppo e ne esasperasse la tensione. La società correva ad una velocità doppia in confronto a quella di lungo periodo che pur aveva provocato la crisi politica di fine secolo, la crisi liberale e l'avvento del fascismo nel primo dopoguerra, la crisi del regime mussoliniano venti anni dopo. Ad un ritmo raddoppiato tutta la macchina politica aveva iniziato a dare segni di cedimento e di logoramento.
Il problema era quello di definire il contenuto dell'involucro e, prima ancora, di indicare le caratteristiche del corpo sociale in esame. Così come non esiste l'economia in generale, non esiste la produzione in astratto. Abbiamo una produzione capitalistica ed una economia basata sul capitale, ossia un processo di sviluppo che si differenzia da quello che lo ha preceduto storicamente.
Mantenere la presenza in un mercato europeo, sempre più competitivo avrebbe richiesto uno Stato maggiormente attrezzato, uno "Stato imperialista" adeguato alla maturità raggiunta dalla struttura italiana nella ripartizione dei profitti mondiali, ripartizione ineguale per sua natura.
Solo con uno "Stato imperialista" riformato le frazioni del capitalismo italiano, i grandi gruppi privati e statali, la piccola borghesia, determinati strati salariati avrebbero potuto conservare la quota di prodotto mondiale acquisita ed allargare il parassitismo che connota ogni paese capitalista che possieda una consistente parte del capitale costante del mondo.
Altrimenti è destinato ad indebolirsi nei confronti dei nuovi concorrenti, dei vecchi e dei nuovi Stati che si ripartiscono la torta mondiale.
Da questa analisi è venuta, ad un certo momento, la riflessione sull’ "involucro politico", cioè sul rapporto tra il contenuto economico e sociale e il rivestimento politico che è sempre presente nell'analisi marxista.
L’ "involucro politico" è, però, in questo caso figlio della "crisi di squilibrio", semplicemente figlio.
Introduzione di copertina
Perché in Italia gli eventi europei della fine degli anni Ottanta hanno prodotto una crisi politica che ha coinvolto tutti i partiti e tutti i maggiori centri economici e finanziari? Se la crisi politica italiana non è solo il riflesso locale del crollo dell'URSS e del muro di Berlino, per rispondere alla domanda occorre riferirsi a una valutazione di più lungo periodo. È detto nell'introduzione: "Le forme politiche della società industriale-agricola solo in parte erano divenute le forme politiche di una società industriale-finanziaria. Spesso si erano trasformate in elemento di squilibrio e di scarsa funzionalità". Era la questione strategica della "mancata corrispondenza delle istituzioni politiche all'evoluzione economica della società italiana", sviluppata negli scritti su "L'ineguale sviluppo politico 1968-1979", pubblicati in volume nel 1991.
"L'involucro politico" rappresenta il parallelo sviluppo metodologico connesso a quell'analisi del perdurante squilibrio della metropoli italiana. L'opera infatti "raccoglie il momento della riflessione sulla concezione materialistica della politica" degli anni 1977-81 e 1984-89. È il lato teorico di un problema strategico.
Si trattava di mettere a fuoco il carattere dialettico del rapporto tra struttura e sovrastruttura, affilando la critica sia verso il meccanicismo, che ridurrebbe l'analisi politica a valutazione econometrica, sia verso l'illusione del primato della politica che non vede l'effettiva determinazione economica.
Il riferimento alle forti radici del pensiero di Marx ed Engels è documentato nel testo attraverso illuminanti citazioni, spesso poco conosciute. Altrettanto è fatto per Lenin. Su tali basi è posto il confronto con le posizioni liberali di Eduard Bernstein e quelle revisionaste di Heinrich Cunow, con il tatticismo di Lev Trotsky tra le due guerre, con le tesi normativiste di Hans Kelsen, con l'oggettivismo di Petr Struve.
Lo studio dei caratteri reali della democrazia nell'epoca dell'imperialismo attraversa tutta l'opera e ne motiva la grande attualità in una fase di crisi del migliore involucro politico del capitalismo.
Ultima modifica 29.12.2000