Le varianti del capitalismo statale
Le forme politiche del capitalismo statale
La forma specifica democratica del capitalismo statale
Le forme politiche tra le due guerre
Il superato utilizzo proletario della forma democratica
La democrazia imperialista reazionaria
I1 ruolo sociale della socialdemocrazia
Le varianti del capitalismo statale
Il "problema democratico" ha, per il proletariato, un interesse politico di estrema rilevanza in tutta la sua storia. Lo ha ancora di più da quando, negli anni'30, si accentua la tendenza al capitalismo statale. A noi interessa analizzare la contraddizione che è alla base dell'errore teorico di Trotsky negli anni '30. Egli è un comunista che crede che la democrazia sia un arma contraddittoria ma che non crede né può credere alla democrazia. è un comunista e non un democratico e, per quanto il suo errore teorico sulla democrazia possa offrire pretesti a chi vuol farlo diventare "democraticista", rimane pur sempre l'autore della risposta comunista alla democrazia di Kautsky.
è l'eccessivo ruolo che egli assegna alla tattica, piuttosto, a costituire la radice del suo errore teorico: un rapporto tra tattica e strategia troppo poco organico per evitare scivolamenti "tatticistici". Ciò avviene quando la strategia si riduce ad alcune idee generali del processo storico e del corso delle lotte di classe e quando l'azione politica, necessariamente contingente ed immediata, è obbligata ad ispirarsi solo a quelle idee generali, senza possibilità di collegarsi a coordinate meglio definite. Al fondo di tutto, il difetto sta proprio nell'analisi scientifica, alla cui carenza non può supplire l'acuta previsione della dinamica dello scontro tra le potenze e della guerra imperialistica.
L'analisi di Trotsky coglie i movimenti nel loro carattere di avvenimenti e li coglie in modo magistrale nelle loro sequenzialità e nella loro concatenazione. Avvento e sviluppo dei movimenti nella loro forma politica di nazismo, di stalinismo, di fronti popolari democratici trovano in Trotsky un grande interprete; ma, quando dai movimenti a breve periodo lo strumento analitico deve spaziare su movimenti profondi e a più lungo periodo, anche la valutazione di Trotsky non è sufficiente.
Si pone l'esigenza di individuare la profonda tendenza di sviluppo dell'area euro-asiatica e di ciò che ha provocato, in quell'area, lo scossone della Rivoluzione d'Ottobre. La valutazione sulla "natura sociale" dell'URSS esce dalla contingenza politica e necessita un più ampio giudizio storico. La formula diplomatica dello "Stato operaio degenerato" è inadeguata ad abbracciare la prospettiva strategica e di ciò, con atto di lodevole modestia rivoluzionaria, si rende conto Trotsky. è consapevole della necessità di dare sistemazione teorica alla questione russa: se l'URSS è una nuova ed inedita formazione economico-sociale si dovrebbe ritenere superato il marxismo.
Trotsky riafferma, invece, la sua fedeltà al marxismo e lascia in sospeso la questione, ben sapendo che la seconda guerra mondiale imperialistica in corso la risolverà in modo pratico e definitivo con il ferro e con il fuoco di tutte le grandi svolte storiche. La piccozza staliniana troncherà il filo della riflessione teorica del grande rivoluzionario. Non sappiamo come quel poderoso concentrato di dedizione, di cervello e di volontà, che solo quarant'anni di lotte rivoluzionarie potevano produrre, sarebbe uscito dal labirinto del moderno Minotauro. Sappiamo solo che ne voleva uscire e che coraggio e forza non gli mancavano per farlo.
Quello che la personalità non riesce e non può fare, deve, però, compierlo il movimento rivoluzionario del proletariato. Nella sua storia si trova di fronte a compiti vitali che sono immediati perché il non risolverli blocca la strada e che sono storici perché il risolverli la spiana per un certo periodo. è inevitabile che una mancata soluzione teorica dei problemi derivati dallo sviluppo capitalistico conduca ad una incomprensione della evoluzione a lungo termine delle forme politiche che tale sviluppo esprime. E il caso di quella forma che abbiamo definito "democrazia imperialistica".
La centralizzazíone del capitale e la concentrazione dei mezzi di produzione accentua la tendenza al capitalismo statale nei due ruoli, previsti da Lenin, di controllo e di proprietà. Nella pratica, poi, questi due ruoli si articolano in numerose varianti, dallo "Stato controllore" allo "Stato proprietario", dallo "Stato imprenditore" allo "Stato azionista", dallo "Stato banchiere" allo "Stato finanziere". Resta comunque, al centro di ogni variante, l'impresa capitalistica caratterizzata dal rapporto tra il capitale costante e il capitale variabile. Il capitalismo statale non modifica questo rapporto e quindi va analizzato, più che nel processo di produzione, in quello di circolazione del capitale e, soprattutto, nel processo complessivo.
Trotsky, nel definire la natura sociale dell'URSS, limita l'analisi ai rapporti di produzione e ai rapporti di distribuzione. Indipendentemente dalla inaccettabile impostazione giuridica della sua analisi, è lo stesso campo di esame ad essere arbitrariamente ristretto e, quindi, scientificamente non valido. Si capisce anche che Trotsky rifiuti la esistenza stessa del capitalismo statale, rifiutando di fatto le indicazioni di Engels e di Lenin.
Se il problema del capitalismo statale viene confinato all'aspetto giuridico di proprietà dei mezzi di produzione e se i ruoli indicati da Lenin non vengono visti come perni fondamentali di varie combinazioni delle categorie economiche nel processo complessivo del capitale, è più che naturale che tutto il problema venga ridotto all'intervento dello Stato nell'economia, o statalismo, come lo chiama Trotsky.
L'analisi del capitalismo statale e della natura sociale dell'URSS è incentrata, in seguito, nello studio dei rapporti di produzione per scoprirvi le categorie della teoria marxista: il capitale costante, il capitale variabile e il plusvalore. Questa utile ricognizione è, in realtà, più una riscoperta che una scoperta. Il capitalismo statale non può essere altro che capitalismo, ma se tutto si limitasse a tale constatazione non vi sarebbe neppure bisogno di parlarne poiché il problema non esisterebbe. Se nella teoria marxista e nella pratica il problema, invece, esiste è perché il processo complessivo del capitale, e della società divisa in classi, non si esaurisce nel processo di produzione e nei rapporti di produzione ma comporta l'insieme delle funzioni del capitale e l'insieme dei rapporti sociali.
Il capitalismo statale, come l'imperialismo, è capitalismo, ma così come individuiamo i tratti caratteristici o specifici dell'imperialismo, che non annullano quelli tipici del capitalismo essendone da questi generati, dobbiamo altresì individuare i tratti caratteristici o specifici del capitalismo statale. Ciò è indispensabile per potere comprendere con quali forme politiche si esprime la tendenza al capitalismo statale. Una di queste è quella democratica. è, ed è stato, un errore ritenere che la forma esclusiva sia quella cosiddetta totalitaria, di tipo stalinista o di altro tipo.
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Le forme politiche del capitalismo statale
Premessa all'analisi delle forme politiche del capitalismo statale è la corretta delimitazione del terreno da indagare. Ne "La catastrofe imminente e come lottare contro di essa", Lenin scrive: "I socialisti rivoluzionari e i menscevichi ripetono la contrapposizione tanto cara alla borghesia: borghesia e democrazia. Ma in fondo siffatta contrapposizione è altrettanto insensata quanto il confronto tra chilogrammi e metri. Esiste una borghesia democratica. esiste una democrazia borghese: soltanto una ignoranza completa sia in fatto di storia che in fatto di economia politica potrebbe negare ciò. I socialisti rivoluzionari e i menscevichi avevano bisogno di una falsa contrapposizione per mascherare il fatto incontestabile che tra la borghesia e il proletariato sta la piccola borghesia. Questa, inevitabilmente, data la situazione di classe, oscilla tra la borghesia e il proletariato".
Possiamo solo aggiungere che le false contrapposizioni e gli insensati confronti fra chilogrammi e metri hanno continuato a proliferare. Continueranno inevitabilmente finché il metodo scientifico marxistá non si sarà imposto nell'analisi delle forme politiche. Se nell'analisi della struttura economica non è possibile confondere i chilogrammi con i metri, lo è invece nell'analisi della sovrastruttura dove le unità di misura lasciano il posto a termini generici e a parole onnicomprensive. Borghesia e democrazia sono termini usati in mille modi e lo sono tanto più quanto più interessi si scontrano. A ragione, Lenin richiama storia ed economia politica per fissare punti di riferimento che, in qualche modo, possano costituire unità di misura. Ma la storia è anche il presente e la contrapposizione reale di interessi di classe partorisce continuamente false contrapposizioni di concetti.
Dalla tesi di Lenin si ricava che è menscevica la posizione di chi dice che la borghesia non può essere conseguentemente democratica e che la democrazia può essere portata avanti solo dal proletariato. Infatti, non esiste contrapposizione tra borghesia e democrazia poiché esiste una borghesia democratica ed esiste una democrazia borghese. La forma democratica, nell'uno e nell'altro caso, ha il contenuto capitalistico, ossia borghese. Da questo punto fermo bisogna partire nell'affrontare il problema delle forme politiche del capitalismo statale.
Contrapporre capitalismo statale e democrazia è compiere una falsa contrapposizione ed un insensato confronto tra chilogrammi e metri. Possiamo dire che esiste un capitalismo statale democratico ed esiste una democrazia capitalistico-statale. La forma democratica, nell'uno e nell'altro caso, ha il contenuto capitalistico, ossia borghese. In fondo la falsa contrapposizione tra capitalismo statale e democrazia nasce dalla lacuna di analisi scientifica del capitalismo statale stesso e del processo di sviluppo che conduce ad esso.
La teoria marxista dello sviluppo capitalistico è chiara in proposito. Engels vede nel capitalismo statale uno sbocco storico del processo di centralizzazione del capitale e di concentrazione dei mezzi di produzione. Lenin vede delinearsi questo sbocco nel corso della prima guerra mondiale imperialistica. Ciò che prende corpo negli anni '30 non è, perciò, una novità per il marxismo ma una conferma della previsione scientifica enunciata con mezzo secolo di anticipo. Il problema di analisi sarà, casomai, quello della combinazione multiforme tra elementi privati ed elementi statali, espressa concretamente e contingentemente dal processo di concentrazione del capitale statale.
Essendo il capitalismo statale il risultato di un processo e non una improvvisa apparizione, non può, in ogni caso, presentarsi come fenomeno sociale puro. Settori a capitale privato e settori a capitale statale coesistono a breve, medio e lungo termine, come dimostra la storia dell'URSS. Per meglio dire, i vari ruoli, privati e statali, del processo di produzione e di circolazione del capitale si combinano in un intreccio multiforme che, per sua natura, è sempre specifico, essendo tipico solo il rapporto fondamentale capitalistico di produzione, ossia il rapporto tra capitale e salario.
Se tale è il processo di formazione del capitalismo statale, con i suoi aspetti privati e statali combinati, non vi è ragione per ritenere che le sue forme politiche siano corrispondenti. Il capitalismo statale non è un nuovo modo di produzione e non è una nuova formazione economico-sociale. La sua sovrastruttura non rappresenta il dominio della politica sulla economia, come affermano, senza riuscire a dimostrarlo, i teorici del totalitarismo. Essi definiscono "totalitarismo" quella che è la naturale tendenza al capitalismo statale e non è un caso che instaurino una nuova, ma falsa, contrapposizione tra "totalitarismo" e democrazia. Ancora una volta confondono i chilogrammi con i metri.
L'analisi della combinazione multiforme, la quale concretizza specificamente la tendenza al capitalismo statale, comporta, di conseguenza, una analisi delle forme politiche che sia coerente alla impostazione generale del problema. La soluzione non è facile, come facile non è ogni questione che si presenta alla scienza del marxismo. Marx ha potuto fondare la sua teoria dello Stato anche sulla base di materiale politico accumulato da secoli. Le forme di Stato del capitalismo statale, ovviamente, rappresentano un minore accumulo di materiale per chi deve ricavarne costanti e varianti. Ma, ormai, possiamo ritenere che costituiscano un materiale sufficiente ed adeguato a superare semplificazioni ed unilateralismi interpretativi sorti, ad esempio, negli anni'30.
è proprio in quegli anni che l'imperialismo, stretto dalla crisi, accentua quella tendenza al capitalismo statale che già forte slancio aveva avuto con il conflitto mondiale. La tendenza si espresse nella forma staliniana in Russia, nella forma fascista in Germania e in Italia e nella forma democratica negli Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia. La tendenza al capitalismo statale, come si vede, assumeva varie forme politiche. Fu un errore teorico, gravido di conseguenze politiche, non comprenderlo. Vi fu, in Trotsky e in Bordiga, la propensione a pensare che l'interventismo statale portasse all'esaurimento della forma democratica. Invece, l'incremento dell'interventismo statale doveva, proprio perché risultato della concentrazione e dell'imperialismo, portarla alle sue estreme conseguenze storiche.
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La forma specifica democratica del capitalismo statale
Errore meccanicistico è stato ritenere che il capitalismo statale determinasse una sua forma politica, una forma diversa da quella democratica. L'intervento statale nell'economia, cresciuto con l'economia di guerra nel primo conflitto mondiale, diventa massiccio durante la crisi ciclica degli anni '30. La tendenza storica al capitalismo statale è generalizzata nei principali paesi ed assume varie forme politiche proprio a dimostrare che non determina una sua forma politica specifica.
Si può dire che l'intervento statale nell'economia non determina una particolare forma di Stato, come pensava Bucharin teorizzando il trust capitalistico-statale, frutto della fusione di economia e politica. Rimane valida la teoria di Marx, espressa nel Terzo Volume de "Il Capitale", che vede nella forma democratica la "forma specifica" dello Stato capitalistico e nelle altre forme politiche "variazioni" e "gradazioni" della "forma specifica". La tendenza al capitalismo statale ha confermato la teoria di Marx sulla "forma specifica" che Lenin sintetizza nella formula "migliore involucro". Non averlo capito ha portato a parecchi errori.
Ne "La rivoluzione tradita" del 1935, Trotsky titola il capitolo "Capitalismo di Stato?" con l'interrogativo per escludere, in definitiva, la possibilità di un capitalismo statale. Esaminando quello che definisce "statalismo fascista", sostiene che: "... lo statalismo frena lo sviluppo della tecnica sostenendo imprese non vitali e mantenendo strati sociali parassitari; in una parola è profondamente reazionario".
Soffermiamoci su questa tesi. Se è vero che lo "statalismo fascista" è reazionario, per le ragioni indicate da Trotsky, è anche vero che lo statalismo non è necessariamente legato alla forma politica fascista. Infatti, abbiamo statalismo anche nelle forme democratiche e staliniste. Se lo statalismo è reazionario quando sostiene imprese non vitali, perché frena lo sviluppo della tecnica, e quando mantiene strati sociali parassitari, lo è per la funzione sociale che oggettivamente svolge e non solo per la forma politica che riveste tale funzione.
Non si può dire che sia una particolare forma politica a permettere allo statalismo di assolvere a tale funzione oggettivamente reazionaria, poiché lo statalismo sostiene imprese non vitali e strati sociali parassitari in tutti i regimi politici. Ma lo statalismo non può essere ristretto a quella funzione: esso può promuovere imprese vitali per la concorrenza imperialistica e per la realizzazione del plusvalore e del profitto.
Occorre, quindi, affrontare tutti gli aspetti della tendenza al capitalismo statale, tendenza che non si limita, come crede Trotsky, allo "statalismo". La tendenza al capitalismo statale è nella dinamica di centralizzazione e di concentrazione dei capitale entrato nello stadio supremo dell'imperialismo. E l'imperialismo è reazionario nel suo complesso per le forze produttive che distrugge in crisi e guerre, più di quanto ne crei. Anzi, è proprio perché crea enormi forze produttive che le sue crisi e.le sue guerre sono tanto distruttive. Solo in questo senso, e nella valutazione storica dello stadio imperialistico, si può parlare dello statalismo come freno allo sviluppo delle forze produttive.
Altrimenti si cade nell'errore di concepire la storia dei capitalismo come uno stadio di sviluppo delle forze produttive a cui segue uno stadio di crescente intervento statale che frena tale sviluppo. Lenin, giustamente, dice che lo stadio imperialistico, dove aumenta il capitalismo statale, accelera lo sviluppo delle forze produttive nel mondo. La storia di un secolo lo ha dimostrato, così come ha dimostrato quanta distruzione ha provocato uno sviluppo retto dalle leggi del capitalismo.
è solo da questo processo storico che bisogna partire per analizzare le forme politiche del capitalismo statale. La concentrazione del capitale non è l'eccezione ma la regola del processo storico nel modo di produzione capitalistico; l'intervento statale, lo statalismo, il capitalismo statale ne sono la diretta conseguenza. Non si può, quindi, pensare che la democrazia decada mano a mano che il capitale si concentra, poiché, in tale modo, si finisce con il considerare la democrazia una delle forme politiche di un capitalismo poco concentrato.
Porre il "problema democratico" in questi termini significa considerare che all'aumento della concentrazione dello statalismo corrisponda un decadimento della democrazia. è un modo meccanicistico di porre il problema nel quale scivola anche Trotsky. Non è un caso che voglia utilizzare tatticamente la democrazia contro il fascismo, anche se "per mezzo delle organizzazioni e dei metodi del proletariato".
Bordiga esclude questo utilizzo dato che la concentrazione del capitale determina il centralismo politico, e pensa, di conseguenza, che la democrazia si trasformi in fascismo. Il fascismo appare come ultima forma politica del capitalismo, essendo così concepita la forma democratica in un processo storico immaginario e non reale. Mancando una strategia, scientificamente fondata sull'analisi del reale processo di sviluppo capitalistico nello stadio imperialista e sull'individuazione della tendenza al capitalismo statale, gli errori tattici diventano inevitabili.
Ma non è questo il punto principale da considerare. Il movimento rivoluzionario non è esente da errori tattici. Il punto principale è che alla forma fascista in alcune metropoli è subentrata la forma democratica. Il fascismo non era, quindi, l'ultima forma politica dell'imperialismo ma una delle sue forme.
Una parte del secolo è passata dalla generalizzazione della "democrazia imperialista" nelle principali metropoli; non ci troviamo di fronte ad un singolo episodio ma ad un fenomeno politico che ha tra le sue costanti il contemporaneo sviluppo del capitalismo statale. Se ne deve tener conto nella impostazione della strategia.
è necessario riprendere la tesi di Lenin sulla democrazia come "migliore involucro" del capitalismo e non solo per la dominazione di classe. è il "migliore involucro" per lo sviluppo della classe dominante, ossia per lo sviluppo del capitalismo e della sua legge di concentrazione. In altre parole, la democrazia è la forma sovrastrutturale che favorisce e non ostacola la centralizzazione e concentrazione del capitale, che favorisce e non ostacola la dinamica dell'imperialismo.
Il secondo dopoguerra è il periodo che vede la massima estensione della forma democratica nelle metropoli e la massima espansione dell'imperialismo. è riscontrabile una correlazione anche in termini quantitativi che non ha paragoni in altri periodi e per la stessa estensione di spazio e di tempo. Se la formula di Lenin attendeva una ulteriore verifica storica non ne poteva attendere migliore.
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Le forme politiche tra le
due guerre
La crisi del 1929 rappresenta un sommovimento strutturale che non ha precedenti nella storia del capitalismo. è inevitabile che provochi profonde conseguenze sulla struttura stessa; infatti aumenta il peso del capitalismo statale. è inevitabile che abbia vaste ripercussioni sul ciclo mondiale e sulle relazioni internazionali tra gli Stati; infatti incrementa la produzione bellica, accresce le tendenze riarmistiche ed esaspera le tensioni che sfoceranno nella seconda guerra mondiale imperialistica.
Quali sono i suoi riflessi sulla sovrastruttura e sulle forme politiche degli Stati? La concezione materialistica della politica trovava in quel periodo incandescente un formidabile campo di applicazione, come lo ha avuto nel 1848, nel 1870, nel 1905, nel 1914, nel 1917. Mancò l'apparato scientifico ed organizzativo adeguato a risolvere positivamente il compito, e molte questioni, riguardanti le forme politiche fasciste e democratiche, rimasero attardate ad intralciare il compito ancor più generale di analizzare le conseguenze che il più intenso sommovimento della seconda guerra mondiale ha determinato nello sviluppo della forma specifica democratica del capitale.
In alcuni scritti di Trotsky del 1934, oggi riuniti nel tomo quarto delle "Opere" curate dalla EDI, si può seguire il suo tentativo di affrontare il compito che la storia gli assegna ed il suo sostanziale fallimento. Vediamo come lo affronta. Quella che segue è la sua tesi di fondo.
La prima guerra mondiale imperialistica ha "inaugurato una nuova epoca" nella quale gli "avvenimenti politici" più importanti sono due: la conquista del potere del proletariato in Russia nel 1917 e la sconfitta del proletariato in Germania nel 1933. La rivoluzione socialista iniziata in Russia non si è sviluppata a livello internazionale ed europeo. Il capitalismo è in un "impasse storico" che si esprime sul piano sociale e sul piano politico strettamente intrecciati.
Sintetizziamo in otto i caratteri indicati dall'analisi di Trotsky: 1) disoccupazione cronica che abbassa il livello di vita degli operai; 2) rovina della piccola borghesia urbana e dei contadini; 3) decomposizione e declino dello Stato parlamentare; 4) avvelenamento del popolo con demagogia "sociale" e "nazionale"; 5) liquidazione delle "riforme sociali"; 6) sostituzione dei vecchi partiti dirigenti con un "apparato militare-poliziesco" o "bonapartismo del declino capitalistico"; 7) sviluppo del fascismo; 8) liquidazione delle organizzazioni proletarie.
A questo processo sociale e politico, che è la conseguenza della crisi e della stagnazione del capitalismo, Trotsky oppone la tattica del fronte unico. Il fronte unico è sabotato, dice Trotsky, dalla socialdemocrazia e dallo stalinismo e a tale sabotaggio fa risalire una delle principali cause della sconfitta in Germania.
Secondo Trotsky, o il fronte unico arresta, in breve tempo, il processo sociale e politico provocato dall' "impasse" del capitalismo oppure "tutta l'Europa diventerà l'arena della tirannia fascista e della guerra". Trotsky sa perfettamente che le cause della guerra risiedono nel ciclo capitalistico. Perché collega così strettamente la forma politica fascista al contenuto economico della guerra? Perché, internazionalista e marxista, rischia di apparire quale teorizzatore di una delle tante varianti socialimperialiste, le quali attribuiscono sempre la guerra ad uno Stato, ad una forma politica, ad una corrente politica, addirittura ad un uomo e non al modo di produzione capitalistico che tali Stati, forme, correnti, uomini esprime?
Perché, dice Trotsky: "La guerra ha bisogno della "pace civile". Nelle condizioni attuali, la borghesia non può ottenerla che a mezzo del fascismo". Certo, per preparare la guerra la borghesia ha bisogno della "pace civile". Passeranno appena due anni e la borghesia dimostrerà a Trotsky che la "pace civile" può ottenerla anche a mezzo della democrazia, della socialdemocrazia, dello stalinismo, con il "fronte popolare".
Trotsky ha accusato spesso, e spesso a ragione, i suoi critici "settari" di schematismo; ma non è, forse, un grande errore di schematismo quello di ritenere che la borghesia abbia solo un mezzo per ottenere la "pace civile" in preparazione della guerra? Non è forse un errore di schematismo immaginare che la borghesia debba percorrere la via obbligata del fascismo e che il proletariato non abbia altro mezzo per contrastare la borghesia che combattere solo il fascismo?
Verde è l'albero della vita, ammonisce Lenin. La borghesia ha molte frecce nel suo arco ed il proletariato deve lottare su tutti i fronti se vuole conservare la sua indipendenza teorica, politica ed organizzativa. Questo insegna l'albero verde della vita sociale, l'albero della storia della lotta tra le classi.
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Il superato utilizzo proletario
della forma democratica
Trotsky vede l'interesse generale della borghesia alla "pace civile" ma non analizza gli interessi particolari delle frazioni borghesi anche in merito alle forme politiche ed ai modi di utilizzo della "pace civile" stessa. Non è il primo e non sarà l'ultimo. Assolutizzare l'antagonismo inconciliabile tra borghesia e proletariato è utile e fecondo nell'analisi strategica dì lungo respiro; gioca, però, brutti scherzi quando si analizza una situazione contingente al fine di tracciare una linea tattica di condotta del proletariato rivoluzionario. Si vede l'albero ma non le foglie.
Le foglie dell'albero borghese. sono, in definitiva, i suoi interessi particolari, gli interessi delle sue frazioni. è solo dall'analisi complessiva dell'albero, delle sue radici e delle sue foglie che si può ricavare la rispettiva collocazione delle parti che lo compongono. Non basta, quindi, vedere l'interesse generale della borghesia per definire la posizione tattica del proletariato in un dato momento. Occorre vedere come si muovono gli interessi delle singole frazioni e se non si riesce a farlo la valutazione generica di "stallo del capitalismo" perde significato scientifico e politico. è uno slogan ma non una analisi. Può servire all'agitazione ma non all'azione.
Nella impostazione teorica della tesi sull'impasse del capitalismo negli anni '30, risaltano due mancati approfondimenti della concezione materialistica della politica: sul rapporto sovrastruttura-struttura in un ciclo economico di accelerata centralizzazione del capitale e di concentrazione dei mezzi di produzione e sulla natura dello Stato imperialistico in riferimento al ciclo stesso, sia nella espansione che nella depressione. Vedere solo il carattere reazionario dello statalismo, perché frena lo sviluppo della tecnica sostenendo le imprese non vitali e mantenendo strati sociali parassitari, è vedere solo un lato del rapporto sovrastruttura-struttura. è inevitabile, in questo modo, che la conclusione politica sia quella che vede la decomposizione della democrazia parlamentare e l'avvento del "bonapartismo del declino capitalistico". In questo modo, la forma democratica del dominio capitalistico viene ad essere concepita come una forma politica espressa da un grado inferiore di sviluppo delle forze produttive.
Per Bordiga la concentrazione del capitale determina il centralismo politico e l'aumento dell'interventismo statale trasforma la democrazia in fascismo. Per Trotsky la concentrazione del capitale incrementa lo statalismo reazionario e decompone la democrazia parlamentare. Comune è la concezione sulla forma politica democratica superata dalla concentrazione del capitale, divergente è la conclusione tattica. Per Bordiga non si può più utilizzare una forma politica che è finita perché è finita la situazione strutturale che la determinava: la democrazia non può essere ormai che essenzialmente fascismo. Per Trotsky si deve ancora utilizzare tatticamente la democrazia contro la borghesia costretta ad utilizzare il fascismo.
Non si può dare mandato allo Stato della borghesia, come fa l'opportunismo, per difendere la democrazia contro il fascismo, anzi dice Trotsky: "Noi difendiamo la democrazia contro il fascismo per mezzo delle organizzazioni e dei metodi del proletariato... Sul terreno di questi compiti, l'avanguardia rivoluzionaria ricercherà il fronte unico con le altre organizzazioni operaie - contro il proprio governo democratico - ma in nessun caso ricercherà l'unione con il suo governo contro i paesi nemici".
Trotsky non pensa di cambiare la natura della democrazia, pensa di cambiarne l'uso. Ma l'uso che una classe fa di una forma politica non è soggettivo bensì condizionato dallo sviluppo delle classi e della lotta delle classi.
Vi è alla base della tesi sull'impasse capitalistico un errore sostanziale di analisi derivato da una mancata assimilazione della teoria marxista dello sviluppo capitalistico. In altra occasione, abbiamo sottolineato come tale mancanza è riscontrabile nel Trotsky del 1905 che si differenzia da Lenin e nel Trotsky storico della rivoluzione russa che, in un capitolo, espone la sua versione delle "particolarità" russe.
Nell'analisi del capitalismo tra le due guerre ritroviamo in Trotsky una insufficienza scientifica nell'analisi dello sviluppo capitalistico che lo riconduce sulla vecchia strada. Il "declino capitalistico" è visto anche come freno e stagnazione dello sviluppo delle forze produttive ad opera di un crescente statalismo. Data questa situazione oggettiva, ne deriva come naturale la conclusione tattica dell'uso proletario dell'"arma" della democrazia.
Se la borghesia, dato il declino capitalistico, giunge unita alla decomposizione dello Stato parlamentare e al nuovo bonapartismo, ne consegue che la lotta proletaria contro la guerra imperialista deve essere subito lotta contro il fascismo o nuovo bonapartismo. Questo, per Trotsky, rappresenta la via obbligata del capitalismo declinante per imporre la "pace civile" in preparazione della guerra.
In questa lotta egli vede la possibilità di formazione di un dualismo di potere (controllo operaio nelle fabbriche, autodifesa operaia, ecc.) tra uno Stato in decomposizione parlamentare e in transizione bonapartistica e un fronte unico proletario, il quale difendendo la democrazia la trascende. Se la borghesia punta tutto sul bonapartismo, sconfiggendo questo si mette alle corde la borghesia: ecco, essenzialmente, la riedizione anni'30 della tattica russa su "Kerensky-Kornilov".
Sennonché una soluzione tattica è valida per la fase di sviluppo capitalistico che la permette e per lo scontro tra le frazioni borghesi che affronta. Il fatto che i "fronti popolari", prima, e i "fronti nazionali", dopo, unificassero i Kerensky e i Kornilov nella democrazia, sta a dimostrare che era destinata al fallimento la riedizione della tattica russa in una diversa fase di sviluppo e in un diverso scontro tra le frazioni borghesi.
La democrazia maturata imperialisticamente si affermava, con la riedizione della guerra mondiale, come la forma politica generalizzata nelle metropoli della centralizzazione del capitale e della concentrazione dei mezzi di produzione.
La necessità di continuare la strategia leninista della trasformazione della guerra imperialistica in rivoluzione proletaria internazionale non poteva essere esaurita da una sua formula tattica.
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La democrazia imperialista reazionaria
La tesi che il capitalismo, nel suo sviluppo, abbandona la democrazia per approdare al fascismo, o nuovo bonapartismo, tesi che abbiamo trovato, pur in differenti contesti teorici, in Bordiga e in Trotsky, viene estremizzata, anche se in parte deformata, dallo stalinismo nella teoria del socialfascismo. è comune a tutte queste posizioni l'assenza di un'analisi della "democrazia imperialistica", affermatasi con la prima guerra mondiale, individuata da Lenin e necessitante di un'attenzione particolare proprio negli anni '30.
Durante la prima guerra mondiale, nel 1916, Lenin osserva, va che: "La differenza tra borghesia imperialistica democratica repubblicana e borghesia imperialistica monarchica reazionaria va scomparendo perché l'una e l'altra imputridiscono pur continuando a vivere".
Ci troviamo di fronte alla borghesia che è maturata imperialisticamente e che genera imputridimento e non più sviluppo progressista delle forze produttive. L'imputridimento non significa, in alcun modo, stagnazione dello sviluppo delle forze Produttive; è la qualità dello sviluppo delle forze produttive a cambiare segno storico e non la quantità. Lo sviluppo delle forze produttive, che l'imperialismo addirittura accelera, non genera più progresso e superamento della barbarie, come nella fase ascendente della borghesia; esso genera guerre e reazione.
La struttura economica capitalistica, maturata ed imputridita nell'imperialismo, determina le forme politiche sovrastrutturali, repubblicane o monarchiche, democratiche o reazionarie. Non vi può essere la forma democratica che sia autonoma dal contenuto economico imperialistico che la esprime, che sia progressista mentre la struttura imputridisce. Solo chi non è marxista, solo chi sostiene che la forma politica è autonoma dall'economia, può dirlo ma non dimostrarlo.
Se la forma democratica è stata progressista, lo è stata non in sé ma per il ruolo che ha svolto nell'aiutare e nel non ostacolare lo sviluppo delle forze produttive, quando tale sviluppo ha rappresentato oggettivamente un progresso; essa non può non seguire il suo destino storico di forma politica che ha il ruolo di aiutare e di non ostacolare lo sviluppo delle forze produttive che porta all'imputridimento e al conflitto imperialistico. Lenin ne conclude che: "La reazione politica su tutta la linea è una caratteristica dell'imperialismo".
Sostanzialmente, Lenin dice che, con l'imperialismo, la democrazia è diventata reazionaria. Perciò essa è il "miglior involucro" del capitalismo. Cercando di interpretare Lenin la definiamo "democrazia imperialistica". In nessun modo Lenin parla di decadimento della democrazia o di contrapposizione tra democrazia e dittatura; anzi, secondo Lenin, la democrazia è la migliore dittatura per la borghesia imperialistica, reazionaria su tutta la linea.
Eppure è su questi equivoci che si sono consumati i peggiori disastri teorici e, di conseguenza, politici negli anni '20 e negli anni '30, ossia nel periodo che vedeva il dispiegarsi e il concretizzarsi della tendenza individuata da Lenin come caratteristica politica dell'imperialismo.
Invece di vedere la maturazione imperialistica e, quindi, reazionaria della democrazia, si generalizzò un aspetto particolare, e limitato ad alcune metropoli, di questo processo storico, arrivando a concepire il passaggio dalla democrazia al fascismo come fenomeno universale quando, invece, il corso storico del capitalismo nel più lungo periodo andava proprio nel senso inverso.
Il periodo, convulso e contraddittorio, di generalizzazione di affermazione della democrazia imperialistica, reazionaria su tutta la linea, periodo che inevitabilmente doveva produrre deviazioni, quali il fascismo, dalla tendenza alla forma politica pura del capitale, venne scambiato per la conclusione definitiva. Un periodo transitorio, nella nuova fase storica delle guerre imperialistiche e delle rivoluzioni proletarie venne considerato, invece, come approdo generalizzato di un'epoca.
Il particolare fu elevato a generale, lo specifico a tipico, il breve a lungo termine. Risultato di tale confusione teorica, abbastanza normale nella storia dell'emancipazione proletaria dove i momenti di massima chiarezza non possono che essere, materialisticamente, rari: la reazione diveniva il fascismo e la democrazia rimaneva progressista. Lenin aveva scritto invano. La formidabile formula della sua dialettica scientifica, paragonabile alla scoperta del plusvalore, la geniale concezione della "democrazia reazionaria" veniva sbriciolata dagli epigoni: la democrazia di qua, la reazione di là. La tradizione, massimalistica e meccanicistica, pesava troppo sulle spalle per permettere loro il salto preparato dalla dialettica materialistica di Lenin.
Nel 1927, E. Varga, ne "I primi dieci anni del periodo di depressione del capitalismo", così poteva affermare che: "Anche la forma politica della dittatura della borghesia si è trasformata nel periodo di depressione... La democrazia parlamentare è l'ideologia e la forma di dominio del capitalismo in ascesa... lo Stato fascista, il terrore sistematico nell'interesse dei capitalisti, è la forma di governo adeguata del periodo di depressione, quando il dominio della borghesia è seriamente minacciato".
Nel 1938, L. Trotsky interpretava, citandola, in questo modo la tesi di Lenin su "la reazione politica su tutta la linea": "In termini generali per la borghesia la democrazia è una necessità nell'epoca della libera concorrenza. Al capitalismo monopolistico, basato non sulla "libera" concorrenza, ma sull'imperio centralizzato, la democrazia non serve affatto: lo ostacola e lo disturba. L'imperialismo può tollerare la democrazia sino ad un certo momento, come un male inevitabile. Ma aspira intimamente alla dittatura".
E aggiunge: "Di fatto, le cricche dirigenti di tutti i Paesi considerano la democrazia, la dittatura militare, il fascismo, ecc., come strumenti e metodi diversi per subordinare i loro popoli ai fini imperialistici; d'altronde, all'interno di uno di questi regimi politici, la democrazia, è racchiuso sin dalle origini, per esempio sotto forma di Stato Maggiore, un altro regime, la dittatura militare".
Trotsky, certo, non è Varga; ma, in comune, hanno il giudizio sulla decadenza della democrazia del capitalismo in ascesa. Lo stesso giudizio, infine, lo ritroviamo nel 1931 in P. Togliatti, critico del "socialfascismo", che scrive: "Il fascismo, sopprimendo la libertà, assicura il profitto. In tempi di crisi, esso fa la politica che è più favorevole alla borghesia, esso fa la politica della borghesia, esso è la borghesia che si difende sino all'estremo".
Di interessante vi è una sua considerazione, sulla quale dovremo ritornare, riguardante la corrente democratica: "Il piccolo borghese e le sue dottrine economiche oggi non servono. Serviranno domani, forse, se vi sarà bisogno di ingannare le masse in forma più sottile".
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Il ruolo sociale della socialdemocrazia
Il pensare che io sviluppo dell'imperialismo conducesse ad una inevitabile decadenza della democrazia portò, negli anni '30, a concepire per la socialdemocrazia, un ruolo sociale e politico di natura opposta a quella analizzata da Lenin. Anche su questo problema lo stalinismo segna una profonda rottura con il pensiero leninista. Lenin studia l'imperialismo nel suo sviluppo strutturale e in questo sviluppo individua il ruolo della socialdemocrazia, come espressione di strati di aristocrazia operaia, ed il ruolo politico, come corrente della borghesia in seno al movimento operaio.
Il processo che porta l'opportunismo e il riformismo in seno al movimento operaio a svolgere tali ruoli è un processo oggettivo di maturazione imperialistica della società borghese. Lenin lo chiama socialimperialismo e in esso classifica una serie di varianti che arricchiscono il fenomeno di una infinità oli sfumature. Per Lenin, quindi, il ruolo della socialdemocrazia o socialimperialismo è determinato dallo sviluppo della struttura capitalistica e non da un'altra forma politica. Il ruolo socialdemocratico è l'espressione del rapporto struttura-sovrastruttura. Non può, di conseguenza, essere l'espressione di un rapporto tra due forme sovrastrutturali; altrimenti si dovrebbe concepire che un ruolo sociale è determinato da una forma politica.
Dire, come fa lo stalinismo, che la socialdemocrazia si fascistizza, significa far dettare dalla forma politica fascista il ruolo sociale, e di conseguenza anche quello politico, alla socialdemocrazia. Dire, in una versione più riduttiva, che la socialdemocrazia prepara la strada al fascismo, significa ugualmente impostare in termini soggettivistici un problema che può essere impostato solo in termini oggettivi e scientifici.
Perché? Perché, in primo luogo, nella storia delle forme politiche, ogni forma politica prepara la strada all'altra. Perché, in secondo luogo, ciò non spiega se il ruolo sociale della socialdemocrazia può essere assolto dal fascismo e tutto viene ridotto alle funzioni politiche, che a volte possono anche essere intercambiabili, della socialdemocrazia e del fascismo.
Lo stalinismo, infatti, non riuscirà mai a spiegare come il ruolo sociale della socialdemocrazia possa essere assolto dal fascismo e si limiterà a descrivere la demagogia sociale, compiuta dal fascismo, verso gli strati sociali influenzati dalla socialdemocrazia. Era più che naturale che non vi riuscisse poiché il ruolo sociale della socialdemocrazia si è dimostrato indispensabile, come acutamente aveva visto Lenin, al migliore funzionamento delle metropoli imperialistiche più forti. Tanto è vero che, con l'aumento e la estensione della potenza imperialistica, anche il ruolo sociale della socialdemocrazia è aumentato, si è esteso, si è generalizzato. La teoria stalinista sul "socialfascismo" parte dal presupposto che la borghesia ha bisogno del fascismo e, perciò, usa la socialdemocrazia in funzione di questa sua necessità.
è un ragionamento tipicamente meccanicistico, poiché affermare che la borghesia ha bisogno del fascismo non vuole dire che non ha più bisogno della socialdemocrazia. Vuol dire che la borghesia deve sacrificare la socialdemocrazia al fascismo nella impossibilità di continuare a conservarla. è un segno di indebolimento, non di rafforzamento; tanto è vero che le borghesie più forti non ebbero bisogno di vendere il "gioiello di famiglia" a carati democratici. E quando le borghesie indebolite debbono svendere il "gioiello di famiglia" è naturale che adoperino la socialdemocrazia e la democrazia in tutti i modi per aprire la strada al fascismo. Lo fecero in Italia e in Germania, però l'analisi non deve fermarsi alla superficie delle forme politiche ma andare a fondo nella dinamica delle funzioni borghesi.
Una delle più chiare e sintetiche definizioni teoriche di parte stalinista della socialdemocrazia trasformantesi in "socialfascismo" la dà, nel 1929, il segretario del KPD Ernst Th¬ lmann: "Il socialfascismo consiste nello spianare la via alla dittatura fascista sotto il manto della cosiddetta "democrazia pura"". Dice lo storico liberale inglese E. H. Carr: "Per le sue origini e le sue conseguenze, il concetto di socialfascismo rimase fondamentalmente un concetto tedesco". è vero, anche se c'è da aggiungere che l'uso politico rimase fondamentalmente russo e lo sviluppo fondamentalmente più originale italiano. Infatti è Stalin maggiormente interessato a contrastare nella socialdemocrazia tedesca quelle correnti che tendono ad accettare Versailles e ad allearsi alla Francia, isolando l'URSS, e a parteggiare per quelle correnti, anche dentro al movimento nazional-socialista, contrarie alla alleanza franco-tedesca e alla accettazione del trattato di Versailles.
Per lo stalinismo russo il problema della socialdemocrazia tedesca non è, quindi, di ideologia ma di politica internaziona1e e non riguarda tanto le forme politiche degli Stati quanto i rapporti internazionali tra gli Stati. Tanto è vero che, sconfitte le correnti socialdemocratiche tedesche favorevoli all'avvicinamento alla Francia e assurte al potere le correnti nazional-socialiste che rimettono in discussione l'assetto di Versailles ma in direzione dell'Europa Orientale, lo stalinismo russo riabilita democrazia e socialdemocrazia nella tattica del "fronte popolare" antifascista e antitedesco, salvo, poi, alla vigilia della seconda guerra mondiale imperialista, pattuire con Hitler la spartizione della Polonia.
Come si vede, i concetti in sé c'entrano ben poco e sono fondamentalmente derivati ed utilizzati dallo scontro di interessi. è proprio nello scontro di interessi tra i grandi gruppi finanziario-economici tedeschi che deve essere trovata la dinamica strutturale dei movimenti socialdemocratici e fascisti in Germania tra le due guerre.
Nel 1946, Ottorino Perrone, riflettendo su quegli avvenimenti, scriveva che lo Stato, "nel periodo dell'imperialismo finanziario" evolveva "nel senso totalitario e fascista e tutte le forze politiche del capitalismo non potevano che favorire e solidamente concorrere a questo sbocco". Perrone si sofferma più sullo sbocco che sulla dinamica, durata più di un decennio, provocata da due potenti schieramenti finanziari-industriali che sostengono l'uno la soluzione socialdemocratica e l'altro la soluzione che sboccherà nel nazismo. Lo sbocco, evidentemente, rappresenta la ricomposizione unitaria delle frazioni borghesi; in Germania richiese, però, quindici anni di dinamica sociale e politica, in Italia solo quattro.
Ciò dovrebbe condurre ad affrontare il problema delle forme politiche con il metodo materialistico storico impiegato da Lenin e a rifiutare facili generalizzazioni come quelle adoperate dal Togliatti di quel periodo il quale, se sottilmente individua la novità nell'intreccio tra la corrente democratica, di provenienza finanziaria milanese, e la vecchia socialdemocrazia italiana, degrada, nello stesso tempo, nella più sciatta conclusione della teoria staliniana.
L'originale uso italiano della teoria staliniana sul cosiddetto socialfascismo si esaurisce e si conclude nella erroneità della premessa. Perrone, almeno, inserisce il ruolo della socialdemocrazia nello sviluppo "totalitario" dello Stato dell'"imperialismo finanziario". Palmiro Togliatti, con il suo tipico soggettivismo, dice che la socialdemocrazia italiana "sta percorrendo rapidamente le tappe della sua fascistizzazione" e vede "nei socialdemocratici e nei democratici dei servi migliori dei fascisti stessi" per la borghesia. Perrone tenta un'analisi, Togliatti compie solo un servizio.
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Ultima modifica 9.1.2001