L'ideologia borghese, in una serie di varianti, sostiene che la politica è autonoma dall'economia, ossia che lo Stato è autonomo dalla struttura economica e sociale. L'opportunismo, succube anche in questo campo dell'idea dominante della classe dominante, cerca di propagandare questa concezione nel movimento operaio. Alcune correnti più eclettiche, e perciò più pericolose, perfezionano la concezione statalista sostenendo che la politica è relativamente autonoma dall'economia, ossia che lo Stato è relativamente autonomo dal capitalismo. Lo sviluppo del capitalismo nel mondo, accentuando il suo andamento ineguale e caotico, pone l'ideologia borghese ed opportunista di fronte ad una grande contraddizione. Essa è sempre più necessaria agli Stati che si combattono in una aspra concorrenza sul mercato mondiale ma, nello stesso tempo, è questa lotta stessa a rendere sempre più evidente la dipendenza degli Stati dalle esigenze economiche.
Cosi si assiste ad una clamorosa manifestazione: da un lato la politica socialimperialista viene giustificata come inevitabile esigenza della crescente interdipendenza economica internazionale e, dall'altro, quella stessa politica esalta l'ideologia dello Stato autonomo dal movimento della struttura. La posizione del PCI è significativa. Questo partito socialimperialista mentre è costretto ad affermare che senza la riduzione del costo del lavoro l'economia italiana sarebbe emarginata dal mercato mondiale ed entrerebbe in una decadenza irreversibile proclama, nello stesso tempo, che la classe operaia deve e può entrare nello Stato per esercitare una egemonia politica e culturale di trasformazione economica e di transizione al socialismo.In questo guazzabuglio ideologico, parto dell'imputridimento storico di tendenze intellettuali piccolo-borghesi, quello Stato che è soggetto alle potenti leggi economiche del mercato mondiale sarebbe, contemporaneamente, un campo neutro dove è in atto uno scontro tra una egemonia borghese in decadenza ed una egemonia proletaria, in ascesa, esercitata dalla volontà degli intellettuali organici! Questo capolavoro teorico viene spacciato, o creduto, come scienza politica.
"Non basta dire che la lotta di classe diviene reale, conseguente, sviluppata solo quando essa abbraccia il campo della politica... Il marxismo riconosce che la lotta di classe è completamente matura, ‘nazionale’, solo quando non soltanto abbraccia la politica, ma nella politica prende l'elemento essenziale: la struttura del potere dello Stato": ecco cosa dice Lenin della politica. Non nelle elucubrazioni degli opportunisti possiamo trovare l'essenza della politica ma nei rapporti tra gli Stati imperialisti. Questi rapporti costringono i principali responsabili a mettere a nudo, anche verbalmente, la struttura del potere dello Stato, ossia a scoprire la sostanza della politica.
In marzo vi è stato un incontro, negli Stati Uniti, tra Carter e Fukuda che sono i rappresentanti della prima e della terza potenza dell'imperialismo mondiale. La concorrenza tra queste due metropoli sta raggiungendo livelli acuti, il contenzioso è abbondante, pochi i punti di accordo e molti i dissensi.
In un discorso tenuto al National Press Club di Washington, discorso poco analizzato dalla stampa italiana, Fukuda ha detto che il vertice economico di Londra del 1933 era fallito e che "questa fu la goccia determinante per lo scoppio della sfortunata seconda guerra mondiale. Perché ricordo quei lontani giorni? Perché molti aspetti oggi ricordano quei tempi passati. Non voglio dire che siamo di nuovo sulla strada per la guerra mondiale. Tuttavia provo una profonda ansietà per le conseguenze sociali e politiche mondiali se noi scivoliamo ancora una volta nel protezionismo e in una rottura dell'economia mondiale in blocchi commerciali rivali".
Questo significa parlare chiaro!
Per ammissione di uno dei massimi dirigenti lo scontro politico in seno all'imperialismo è giunto al punto da far riapparire le ombre del 1933. Ciò rende ancora più chiaro lo sfondo italiano della politica imperialistica sui salari. La contingenza della lotta politica, in Italia, è incentrata tutta su quella linea generale delle frazioni borghesi. La politica imperialistica sui salari è combattuta all'interno in un campo determinato di rapporti di forza tra le classi che vede il proletariato colpito dai gruppi capitalistici privati e statali, con base di massa piccolo-borghese, che usano il loro Stato a questo scopo. Questa è "la struttura del potere dello Stato" esistente in Italia, questa è l'essenza della politica esistente. Il resto è secondario, non essenziale.
La politica imperialistica sui salari è combattuta all'esterno, dalla metropoli italiana, in un campo determinato di rapporti tra metropoli, tra queste e giovani capitalismi, in un campo determinato di rapporti economici e in un determinato sistema di Stati. In questo campo i gruppi capitalistici privati e statali della metropoli italiana non sono all'attacco ma sono in difesa. La "struttura del potere dello Stato" che li rende forti all'interno nei confronti del proletariato si traduce, invece, all'esterno in un indebolimento nei confronti delle potenze concorrenti. Il peso parassitario della piccola-borghesia e del lavoro improduttivo che, sulla bilancia interna, favorisce l'offensiva contro il salario e il lavoro produttivo di plusvalore, diventa zavorra sulla bilancia esterna. Perciò, se la politica imperialistica sui salari può essere una battaglia vinta dalla borghesia italiana nella sua metropoli è una battaglia ancora da vincere e tutta da perdere, anzi, nel mercato mondiale.
Che la politica imperialistica sui salari sia, in ultima istanza decisa dai rapporti esterni è un aspetto che non viene tenuto sempre nel dovuto conto. Eppure è quello più importante, poiché l'offensiva borghese contro il salario è stata determinata in Italia dalla crisi di ristrutturazione mondiale. Senza questo condizionamento internazionale la lotta politica in Italia non avrebbe il contenuto e la forma che ha attualmente.
La lotta politica in Italia è, in questo momento, quasi esclusivamente una lotta contro il proletariato. Non può, quindi, meravigliare che il proletariato, disorganizzato nei suoi vasti strati ed egemonizzato dall'opportunismo nei suoi strati superiori, non sia adeguato strategicamente per contenere l'offensiva borghese e per contrattaccare sfruttando la contraddizione del fronte nemico, cioè il fatto che questo sia indebolito dalla zavorra parassitaria nei confronti dello schieramento imperialistico internazionale. Perciò noi riteniamo che, nel riflusso delle lotte operaie, il compito specifico sia quello della organizzazione della ritirata ordinata. L' avventurismo piccolo-borghese, che crede di colpire al cuore lo Stato, non fa che rafforzarlo nella sua offensiva contro il proletariato.
Non si può scambiare la manifestazione esteriore dello Stato con la struttura del suo potere.
Bukarin vedeva il capitalismo come un sistema dove la lotta di classe creava un equilibrio instabile regolato dallo Stato. Da questa teoria del capitalismo organizzato Gramsci riprende alcuni elementi per la sua concezione idealistica ed egemonica dello Stato. L'errore di fondo di Bukarin, e in parte anche di Gramsci, è di non vedere che il ruolo di regolatore continua a svolgerlo il mercato anche nella fase del capitale finanziario e del monopolio. Il ruolo dello Stato, come dimostra anche l'attuale ciclo imperialistico, non fa che adattarsi alle leggi del mercato mondiale. Pensare ad un ruolo regolatore dello Stato per farlo saltare o per utilizzarlo è un grave errore strategico. Presume una realtà che non esiste e permette una analisi astratta non perché si basa su astrazioni scientificamente fondate ma perché manca della realtà stessa su cui astrarre scientificamente. In altri termini: la strategia deve basarsi sul movimento reale della società e sul reale meccanismo di funzionamento dello Stato. L'attacco al proletariato provoca una naturale risposta che è la base per lo sviluppo organizzativo ma che non può ancora costituire una lotta politica alla "struttura del potere dello Stato", se non per una ristretta minoranza di classe. Certo, la lotta economica è anche lotta politica.
"La lotta economica contro il governo è la politica tradeunionista", dice Lenin.
Ma, lo ripetiamo con Lenin, non basta la politica. Occorre la politica fondata sulla strategia, cioè sul lungo ed aspro cammino della scienza e dell'organizzazione del proletariato.
Ultima modifica 23.12.2003